Copertina 6,5

Info

Genere:Death Metal
Anno di uscita:2021
Durata:45 min.
Etichetta:20 Buck Spin

Tracklist

  1. FORGED FROM BEDLAM
  2. UNDAUTED HEREAFTER
  3. DISENTHRALLED
  4. FRACTURING PROCLIVITY
  5. FLOODS WITHIN A SPLINTERED CORTEX
  6. LARKER, SANGUINE PHANTOM
  7. DESPOT OF AMORPHIC DOMINIONS
  8. ANIMUS REFLECTION

Line up

  • Brian Rush: bass, keyboards
  • Pierce Williams: drums
  • Eli Lundgren: guitars
  • Kelly McLaughlin: vocals, guitars

Voto medio utenti

Piccoli Obscura crescono, potrei dire così di questa seconda uscita a nome Aenigmatum.
Il quartetto originario di Portland ha studiato molto bene la lezione della band tedesca; questo ritorno discografico è pieno di tecnica, sferzate black metal e influssi melodici.
Già tecnica, qui si pesca a piene mani; il quartetto è molto ben preparato ma in alcuni frangenti ho idea che si siano lasciati prendere la mano togliendo pathos emotivo e rendendo asettico il tutto.
Partiamo dall’opener “Forged from bedlam”; dopo una rullata d’apertura ecco che il tutto decolla con riffing ai confini con il black, blast beats come se piovesse, un vocione in growl e apertura melodica su velocità moderata.
La band vuole aggredire l’ascoltatore con violenza, techno death metal e spruzzate più nere con un bel solo armonizzato.
Undaunted hereafter”, prosegue la scia con una prestazione strumentistica eccelsa, tra riffing melodici ma sovrastati da cambi di tempo ispirati al combo di Steffan Kummerer.
Qui si hanno due scambi vocali tra growl e scream, riffing che s’intersecano in controtempo con un solo melodico prima dell’aggressione che sopraggiunge poco dopo.
Fracturing proclivity”, viene aperta da un riff malsano e scurissimo; mid tempo con doppia cassa innestata prima dell’ennesima sfuriata con un buon lavoro di chitarra.
I cambi di tempo si sprecano e vanno dalle accelerazioni serrate a rallentamenti improvvisi nei quali si inserisce il solo virtuoso e armonizzato.
Floods within a splintered cortex”, è un buon brano strumentale atmosferico che poggia su arpeggi uniti ad un tappeto di tastiere e rumorismi.
Ma veniamo al brano che mi ha fatto un po' esacerbare; “Despot of amorphic dominions” sembra solo un mero esercizio di tecnica con tanti pezzi di brani che presi singolarmente sono buoni, ma non hanno un filo comune per costruire una canzone.
Mi dispiace, ma qui si sfora; l’ho ascoltato per ben due volte e ancora non trovo il nesso logico, un tema guida; per carità i nostri sono bravi ma si sono lasciati prendere forse troppo la mano.
Un discreto come back, che viene in parte ostacolato da troppi giri di valzer tecnico/ strumentali lasciando in disparte l’emozione; promossi ma con riserva, però basta asciugare il tutto e ho idea che il terzo centrerà l’obbiettivo primario.
Recensione a cura di Matteo Mapelli

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