Copertina 6,5

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2021
Durata:36 min.
Etichetta:Cruz del Sur

Tracklist

  1. SERPENTS DIE
  2. DELOMELANICON
  3. I WILL LOSE YOU
  4. TO DUSK AND I LOVE YOU
  5. AND SILENCE SCREAMED
  6. THE DARKNESS BETWEEN THE STARS

Line up

  • S. Hamacher: bass , vocals
  • J. Zehner: drums
  • Max: guitars
  • K. Hamacher: guitars
  • Robert Röttig: vocals

Voto medio utenti

Sono state messe molte mani avanti su questo nuovo ed atteso lavoro dei Lunar Shadow, quasi come a voler indorare la pillola, un disclaimer luminoso che recita “Attenzione! Abbiamo cambiato molto il nostro stile spostandoci verso lidi indie/post-punk e questo a molte persone non piacerà”. Parole e musica di Max Birbaum, chitarrista e principale compositore della band tedesca. Ma Max è un gran paraculo, e ora mi spiego meglio.

Nella top ten 2017 avevo inserito il loro primo grande album, Far From Light, descrivendolo brevemente così: lo ascolti la prima volta e dici “che produzione di merda!”. Lo ascolti la seconda volta e dici ”che voce del cazzo!”. Ma poi ci entri dentro e dici “che disco clamoroso!”. Il precedente The Smokeless Fires mi aveva assolutamente conquistato con il suo mix personale di classico heavy metal, black metal di stampo svedese, epicità e leggerissimi echi post punk e, va da sé, ero davvero curioso di sentire cosa avessero creato questa volta. Certo, senza nascondere un po’ di timore viste le premesse iniziali di cui sopra.

Beh, Brirbaum ci ha fatto un bello scherzone perché sul nuovo Wish to Leave la personalità ed il marchio dei Lunar Shadow sono assolutamente impressi a fuoco e quel cambiamento ventilato, che tanto aveva impaurito, è meno traumatico di quanto si potesse pensare. Sì, la distorsione delle chitarre è molto, molto contenuta e le asce sono quasi pulite, il lavoro del basso è stato portato in primo piano, la batteria macina a dovere con un sound essenziale ma… il trademark c’è ancora tutto, anzi, sembra che abbiano preso diversi pezzi dal disco precedente e li abbiano riarrangiati (depotenziati?) in questa chiave post-qualcosa. Però questa chiave post-qualcosa a volte è davvero mosciarella, tipo per "I will lose you".

Mi sono chiesto più volte se questo nuovo disco fosse da intendere come una sorta di passaggio, per portare l’ascoltatore in modo graduale dalle sonorità passate a quelle future (?) presentandoci i pezzi sotto questa nuova veste.
Al netto di canzoni abbastanza buone, la sensazione è infatti quella di sentire le stesse melodie di chitarra prese da album precedenti e qui riportate ed inserite in nuovi brani. Anche per il cantato vale lo stesso discorso: deve trovare altre linee, assolutamente. Già le chitarre rimandano ad altri brani, se anche il cantato si ripete, il senso di deja vù diventa molto, troppo forte.

Ma ripeto, non abbiate troppa paura. Il secondo brano, ad esempio, si apre con chitare gemelle di maideniana memoria, solo con meno gain e un certo vibe dark, quasi New Wave, è presente in più punti. E come se i Lunar Shadow si fossero spogliati di qualcosa per calarsi in un percorso più darkeggiante e melodico, abbandonando le parti di ispirazione black. In certi momenti i ritmi sono quasi ballabili, su "To Dusk And I Love You" abbiamo poi un inizio blueseggiante, compreso di bacchetta sul rim del rullante, e lungo l’ascolto è interessante cercare sempre di capire fin dove vogliono spingersi. Curioso vedere come, anche nel lavoro precedente, la quarta canzone fosse una ballad. Per contro, la composizione più carica (e anche quella meglio riuscita) è la conclusiva "The Darkness Between the Stars", della durata di quasi 10 minuti, brano multisfaccettato dove (finalmente!) anche il cantante osa qualcosa facendosi più rabbioso in certi momenti e tentando qualche acuto.

In conclusione non spaventatevi troppo, se già amavate la band lanciatevi all’ascolto di Wish to Leave. I Lunar Shadow sono un pochettino cambiati, hanno perso parecchia energia a favore di un lato più dark, meno metal, con qualche leggero rimando anche a qualcosa di In Solitude, di Hail Spirit Noir (meno satanici) ma la loro firma su ogni pezzo è distinguibile e…questo è il limite che ho trovato. Non tanto il sound rivisto ma l’utilizzo delle stesse soluzioni, delle stesse linee di chitarra e vocali, gli stessi arpeggi che danno la sensazione, come detto poco sopra, che si tratti di vecchie canzoni riarrangiate, alleggerite. Se proprio dovevano osare, avrei preferito l’avessero fatto radicalmente anche dal punto di vista delle strutture, invece ci troviamo davanti ad un mezzo passo più in là, rimanendo aggrappati a certe sicurezze. Per quelli che invece non hanno mai ascoltato la band tedesca il problema non si pone e possono godere del loro sound personale, tenendo però a mente che di metal, in senso stretto, ce n’è pochino.
Recensione a cura di Francesco Frank Gozzi

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