Copertina 8

Info

Anno di uscita:2020
Durata:60 min.
Etichetta:Frontiers Music

Tracklist

  1. THE DUKES RETURN
  2. THE ICE IS THIN
  3. FREAKSHOW
  4. THE MONITORS
  5. MAN OF MACHINE
  6. THE LAST TIME TRAVELLER
  7. A QUEST FOR KNOWLEDGE
  8. THE GREAT BRASS STEAM ENGINE
  9. WHEN RAVENS CRY
  10. UNTIL THEN

Line up

  • John Payne: vocals, bass, guitars
  • Erik Norlander: keyboards
  • Frank Klepacki: drums
  • Alex Garcia: guitars
  • Eric Tewalt: saxophone

Voto medio utenti

Che il debutto eponimo dei Dukes of the Orient, nobile ed esotico monicker scelto per la partnership tra John Payne (ex-Asia, GPS) ed Erik Norlander (Last in Line, Lana Lane, Rocket Scientists), fosse solo un prelibato “assaggio” delle enormi potenzialità della coalizione lo speravo ardentemente io e tutti quelli che, stimando enormemente i due principali protagonisti del progetto, avevano rilevato in quei solchi qualche sfocatura espressiva e creativa.
Con il nuovo album, Payne e Norlander, supportati da musicisti meno “celebri” e tuttavia forse più coinvolti e focalizzati, ci regalano un lavoro oltremodo compatto, vibrante e ispirato, in cui convivono contemporaneamente fantasia, immediatezza, romanticismo e melodramma, il tutto plasmato in una maniera che non può che rievocare nella memoria proprio l’approccio alla materia progressiva ostentata dagli Asia.
La strepitosa voce di John Payne, versatile e intensa, funge da fil-rouge a un legame presente ma non “ingombrante”, perché i Dukes of the Orient dimostrano di possedere una personalità propria e nella loro proposta trovano spazio anche autoctoni richiami a Genesis, Supertramp, Pink Floyd ed ELO, in un bilanciamento tra pop, prog e pomp-rock che appare al tempo stesso peculiare e “familiare”.
Aprire “Freakshow” con un brano intitolato “The dukes return” mette in chiaro fin da subito le velleità “combattive” del gruppo … grande melodia (qualcosa tra i Genesis ottantiani e l’ELO) e un delizioso break di sax (suonato da Eric Tewalt … un’arma supplementare che si rivelerà vincente anche in parecchi altri momenti del programma), rendono l’opener un bellissimo modo per celebrare il ritorno dei nostri e attirare l’attenzione degli appassionati del settore.
The ice is thin” mescola con sensibilità unica enfasi e atmosfere da vaudeville, mentre con la title-track dell’albo il clima si tinge di sinfonico hard-rock (Deep Purple, Quatermass, …) per poi trasfigurarsi con "The monitors” in un’adescante policromia sonora, dominata dalle lussureggianti stratificazioni dei sintetizzatori.
L’ugola ardente di Payne conferisce una spiccata tensione emotiva a “Man of machine” (una specie di mix tra The Beatles, Alcatrazz e … Muse) e a "The last time traveller”, una mutevole ed elegiaca narrazione sull’implacabile trascorrere del tempo, dagli accenti vagamente Floyd-eschi, caratterizzata da una progressione esecutiva da brividi.
Gli estimatori di David Paich, Jeff Lynne e Rick Davies apprezzeranno di sicuro le accattivanti vaporosità di “A quest for knowledge” e se lo strumentale “The great brass steam engine” aggiunge un velo di caligine e psichedelia al ricco canovaccio artistico dell’opera, “When ravens cry“ emerge con prepotenza grazie al suo intenso lirismo e a un catalizzante potere evocativo.
La ballata pianistica “Until then”, appena meno efficace nonostante l’ennesima emozionante prestazione vocale, rappresenta l’epico finale di un tracciato musicale che consacra i Dukes of the Orient come autentici campioni del prog-rock melodico, un ruolo che compete loro non tanto per il “glorioso passato” che li sostiene, ma per lo “splendido presente” che “Freakshow” disegna in maniera nitida e radiosa.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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