Copertina 6

Info

Genere:Power Metal
Anno di uscita:2020
Durata:52 min.
Etichetta:AFM Records

Tracklist

  1. PRESENCE OF MIND
  2. PARADISE OF THE ARCHITECT
  3. THE BLACK
  4. FROM SOUND TO SILENCE
  5. HOLOGRAM
  6. HEARTLESS MADNESS
  7. WATERFALL
  8. THREADING THE NEEDLE
  9. THE MAN AND THE ELEMENTS
  10. APEX
  11. THE ROAD TO REDEMPTION
  12. THE DARK DELIGHT

Line up

  • George Egg: drums
  • Rob Love Magnusson: guitars, keyboards
  • Nils Molin: vocals
  • Mike Lavér: guitars
  • Jonathan Olsson: bass

Voto medio utenti

Dopo una serie di album che vanno dal discreto al molto buono, ritornano gli Svedesi Dynazty, con il nuovo The Dark Delight, sempre per AFM Records, con il loro metal melodico di stampo moderno unito con certe sonorità pop-metal debitrici degli anni 80.
L'ingresso del singer Nils Molin in una band popolare come gli Amaranthe, non può che aver fatto bene a livello pubblicitario alla band, ma si potrà dire la stessa cosa a livello musicale?
Il disco parte bene con la buona Presence of Mind, scelta anche come singolo di apertura. Bel pezzo melodico e ficcante, che entra in testa e si fa apprezzare per la commistione tra suoni moderni ed anima anni 80.
Si inizia però a sentire puzza di bruciato (o meglio di sindrome Amaranthe), con la successiva Paradise of the Architect, che dopo un buon inizio, si perde in un ritornello iperpompato ed ipermelodico sullo stile della band di Elize Ryd.
Questa grave sindrome colpisce i Dynazty qua e là lungo i 52 minuti del disco. Infatti le canzoni sembrano spesso essere scritte solo per la spasmodica ricerca del ritornello ad effetto, da ballare più che da cantare, con l'invadente presenza di effetti ed elettronica che di certo non aiuta e con pezzi che tendono pericolosamente verso la dance.
Esempi di tutto ciò sono Heartless Madness, stucchevole nel suo incedere, e The Black, dove l'ormai classico chitarrone cattivo su una base dance non convince.

I buoni pezzi non mancano, come Threading the Needle, dove il ritornello e la varietà nei ritmi si fanno finalmente apprezzare, il riuscito lento The Road to Redemption, e la title track che risolleva un po' le sorti del disco.

Ci troviamo di fronte quindi ad un album inferiore rispetto ai suoi predecessori, troppo forzato e ruffiano, alla disperata ricerca del ritornello vincente, che potrà piacere ad un certo tipo di pubblico, ma che difficilmente convincerà il metallaro più scafato.
Non ci troviamo di fronte ad un album da buttare, ma ad una mezza delusione di certo si.

Recensione a cura di hellfiregab

Ultime opinioni dei lettori

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 11 giu 2020 alle 22:31

Sono d'accordissimo con la recensione. Album nettamente inferiore del 'nuovo periodo' della band. Dopo un fantastico "Renatus" ed un ottimo "Titanic Mass", già da "Firesign" di sentiva l'ombra di una certa commercializzazione della proposta. I miei timori che accompagnavano l'ingresso di Molin negli Amaranthe, si sono purtroppo concretizzati... Eppure, avrebbero un potenziale incredibile

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