Copertina 7

Info

Anno di uscita:2020
Durata:43 min.

Tracklist

  1. TEAR ME DOWN
  2. THE ONE - EYES AND TONGUES
  3. PREDICAMENT
  4. COLLECT CALL TO REALITY
  5. NULL
  6. WICKED MAN
  7. FINAL SIGNS OF THE END

Line up

  • Frank Zoomer: vocals, rythm guitar
  • Leon Van Vijk: lead guitar
  • Tommy Colle': bass
  • Frank Feij: drums

Voto medio utenti

Un disco di puro stoner-rock, quello degli olandesi Desert Colossus. Il terzo della loro discografia, dopo "Desert Colossus" (2016) e "Omnibeul" (2017) pubblicati solo in versione digitale. Anche il presente "Eyes and tongues" sarà disponibile sulle principali piattaforme on-line, ma anche in formato doppio vinile.
Si tratta di un disco molto vario, anche nell'impostazione stilistica. I brani differiscono parecchio tra loro, evocando molteplici interpretazioni di questo genere musicale. Ad esempio, si può notare l'enorme diversità tra uno spesso brano sludgy-doom come "Final signs of the ends", con il suo andamento lento e narco-esplosivo che profuma di post-metal americano, ed una tiratissima e stradaiola "Null" che deve tutto al groove-rock dei Fu Manchu. Davvero agli antipodi.
Lo stesso si può dire di "Tear me down", traccia scandi-stoner alla Dozer bella tosta e satura, nei confronti della lunghissima "The one - eyes and tongues" che sembra evocare l'ossessività heavy doom degli Sleep unita ad un tocco psichedelico alla Red Giant. Brani validi, ben costruiti, ma che paiono voler ricapitolare in qualche modo tutte le svariate colorazioni dello stoner.
Per non farsi mancare nulla, i ragazzi di Amsterdam aggiungono la pesante e massiccia "Predicament", dalle vibrazioni metalliche motorhead-iane, seguita dalla lisergica e desertica "Collect call to reality" che profuma di Kyuss lontano un chilometro. Forse il pezzo migliore è la furibonda "Wicked man", dove il gruppo spinge sull'accelleratore e si lascia andare ad una cavalcata chitarristica selvaggia e travolgente, di quelle che pompano adrenalina spezzacollo.
Alla luce di tutto questo, non sorprende affatto scoprire che il quartetto aveva esordito come cover-band di Red Fang, Fu Manchu e Queens of the Stone Age, cosa che evidentemente ha influenzato la loro proposta autonoma. Il lavoro è piacevole, vanta buona energia ed episodi interessanti, ma a mio avviso è un pò lacunoso a livello di personalità. I Desert Colossus potranno diventare gruppo davvero brillante ed efficace quando si libereranno definitivamente delle influenze fin troppo marcate presenti nella loro musica.

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