Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2006
Durata:50 min.
Etichetta:Nuerra

Tracklist

  1. INTRO
  2. TOO FAR
  3. SAVE ME
  4. DUH WAYNE
  5. HERBIE
  6. NATURAL DRAG
  7. QUICK & EASY
  8. COCKEYED
  9. DARK
  10. SET YOU FREE
  11. TROOP SUPPORT
  12. CRUTCH
  13. DOG LOVER
  14. PYRAMIDS

Line up

  • Melon: bass
  • Raydn1: keyboards, turntables, sax, guitars, backing vocals
  • Aaron: vocals, guitars, percussion
  • Jazz: guitars, backing vocals
  • Cor(e): drums

Voto medio utenti

Arrivano dall’Arizona questi Evolocity, i quali ci propongono una musica che generalmente si muove all’interno del cosiddetto hard–rock moderno, partendo dagli elementi cari al passato movimento grunge in commistione alla più recente scuola nu-metal, e li sviluppa con l’intromissione di un pizzico di hip-hop, cenni di psichedelia e di intingolo elettronico, cercando di portare, con un approccio estroverso e “open minded”, un minimo di freschezza a questi frequentatissimi territori stilistici.
Possiamo quindi parlare di un melange in cui emergono sprazzi di Adema, Alice In Chains, Incubus, Stereomud e Godsmack, che si scontrano con bagliori di Faith No More, appena un qualcosa dell’attitudine dei Primus (sintetizzabile nell’uso talvolta piuttosto “creativo” del basso!) e di qualche altro qua e là, realizzando, in ogni caso, un album con discrete idee e capace pure di considerevole immediatezza.
La band affronta le influenze con sufficiente personalità e si sposta con disinvoltura tra i vari episodi che le vedono coinvolte, senza fastidiosi eccessi di menzione, in un amalgama sonoro piacevolmente calibrato, anche grazie ad un suono pieno, deciso e corposo.
Dopo l’intro, “Too far” (bello il break vagamente lisergico) e l’ipnotica “Save me” si allineano alle consuetudini del connubio post-grunge/new metal, con una qualità ed un’energia comunque decisamente apprezzabili, mentre in “Duh Wayne” ci si allontana da tali sonorità, con un brano dai tracciati di rock piuttosto “free”, dominati dal sax e da un’accattivante e spigliata linea melodica.
“Herbie” sembra quasi chiamare in causa una versione più commerciale e moderata dei Rage Against The Machine intenta a jammare con i Red Hot Chili Peppers, “Natural drag” si presenta come una forma aggiornata di danza tribale, che nel ritornello riprende un po’ gli schemi iniziali del disco, “Quick & easy” e (soprattutto) “Cockeyed” richiamano alla memoria le genialità che hanno reso grandi i FNM, “Dark” fa onore al suo titolo con un clima oscuro e malinconico molto affascinante e insieme alla successiva “Set you free” rendono omaggio a Sully Erna e ai suoi soci nonché all’imprescindibile Alice In Catene, manifestando buona competenza e abilità.
L’approccio maggiormente “sporco” e “hard ‘n’ roll-istico” di “Troop support”, funge da preludio alla bella melodia di “Crutch”, ancora sotto l’influsso dei creatori del formidabile “The real thing”, alla mutevole “Dog lover” e alla notevole “Pyramids” con le sue suggestive fragranze mediorientali, in qualche modo accostabili a quelle percepibili nei pezzi lenti e meditativi dei System Of A Down.
Gli Evolocity (il singolare nome sembra essere l’effetto della contrazione tra evolution e velocity), non sono straordinariamente innovativi, ma riescono contemporaneamente a non sembrare troppo derivativi per merito di un’accurata fase di composizione, dalle espressioni adeguatamente variegate, e sfruttano anche una profonda conoscenza del genere, che consente loro di dosare con saggezza le varie componenti ispirative senza strafare, miscelandole con la propria sensibilità artistica. L’ottima preparazione tecnica, poi, con la voce di Aaron Ingham a svettare per colore e capacità interpretative, concorre a poter giudicare questo lavoro come un prodotto suonato egregiamente e collettivamente ben realizzato; un ascolto assai gradevole per tutti i sostenitori di questa particolare branca musicale, in cui sfuggire dal rischio di apparire una copia in carta carbone dei suoi fondamentali protagonisti, rappresenta già di per sé un risultato di tutto rispetto.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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