Copertina 7,5

Info

Genere:Power Metal
Anno di uscita:2019
Durata:47 min.
Etichetta:Frontiers Records
Distribuzione:Frontiers Records

Tracklist

  1. THE TIME HAS COME
  2. DIE JUST A LITTLE
  3. RADAR
  4. WHERE WOULD IT BE
  5. MY ANARCHY
  6. WIDE AWAKE
  7. THE PATH
  8. SICK
  9. WEIGHT OF THE WORLD
  10. BOUND IN VERTIGO
  11. SIGNS OF WINGS

Line up

  • Sascha Paeth: guitar
  • Adrienne Cowan: vocals
  • André Neygenfind: bass
  • Felix Bohnke: drums
  • Corvin Bahn: keyboards

Voto medio utenti

Sascha Paeth non ha decisamente bisogno di presentazioni. E’ probabilmente il produttore di metal melodico più famoso e di successo del nuovo millennio, senza dimenticare il suo passato (e presente) come musicista, prima nei seminali e sempre colpevolemente sottovalutati Heavens Gate, ed ora negli Avantasia.
Pur essendo un produttore e musicista di primo piano, il buon Sascha ha sempre dovuto il suo successo alle band altrui fino a che, nel 2018, unendo le forze con la nostrana Frontiers Record, sempre pronta a fiutare una buona occasione, ha capito che il momento fosse giunto per lanciarsi in un progetto solista, che lo vede coinvolto come compositore e chitarrista.
Circondandosi da musicisti di primo piano (quasi tutti presi in prestito dagli Avantasia), mettendo al centro del progetto (considerato come una vera e propria band) la sua nuova musa ispiratrice, la giovane americana Adrienne Cowan, scoperta producendo il di lei gruppo Seven Spires, e dotata di qualità vocali fuori dal comune per versatilità ed estensione, Sasha Paeth tira fuori un buonissimo lavoro, un prodotto dal suono moderno, ma con qualche rimando al passato remoto degli Heavens Gate.
Il nostro timore, prima dell’ascolto del disco, era quello di ritrovarci ad ascoltare un prodotto troppo sinfonico o inutilmente pomposo, paura messa subito a tacere dall’opener The Time Has Come, uno dei pezzi più riusciti del platter, che mette subito in mostra chitarre molto heavy, al limite del thrash, e dove la voce della Cowan la fa da padrona, passando da tonalità proprie di un mezzo soprano, ad uno scream ed ad un growl potenti e naturali.

La versatilità della giovane americana è un bel punto a favore della riuscita del disco, anche se a volte sembra voler strafare quando non necessario, solo per mettere in mostra tutte le sue capacità vocali.
Non c’è bisogno di aggiungere che la produzione è cristallina e perfetta, focalizzata sulle tessiture e trame di chitarra di Paeth, con il supporto di melodie di tastiera mai invadenti o fastidiose.
Il songwriting si assesta su livelli medio alti lungo tutta la durata del disco, raggiungendo bei picchi in occasione della title track, di Die Just a Little, pezzi dalle tinte gothic, o da Bound in Vertigo, con i suoi rimandi alle band di Tobias Sammet, ma ci sono anche passaggi a vuoto, come la stucchevole ballad The Path, o la moderna Sick, banale nella musica e nelle lyrics.
In conclusione, un esordio decisamente interessante con l’augurio che i Sascha Paeth’s Master of Ceremony possano andare avanti, crescere, e maturare come una vera band, e non come uno dei tanti progetti della Frontiers accantonati e dimenticati dopo poco tempo.

Recensione a cura di hellfiregab

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