Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2018
Durata:70 min.
Etichetta:Frontiers Music

Tracklist

  1. ARRIVAL
  2. THE EVERONES
  3. DREAM MACHINES
  4. AGAINST THE GRAIN
  5. VICTORIOUS
  6. FAREWELL (PART 1: TIARA'S SONG)
  7. FAREWELL (PART 2: GOODNIGHT)
  8. FAREWELL (PART 3: BEYOND TODAY)
  9. THE TRUTH
  10. BY THE LIGHT OF THE FUNERAL PYRES
  11. DAMNATION BELOW
  12. PROCESSION
  13. EXHALE

Line up

  • Andreas Blomqvist: bass, lyrics
  • Johan Liefvendahl: guitars
  • Andreas Söderin: keyboards
  • Tommy Karevik: vocals, lyrics
  • Stefan Norgren: drums, percussion, vocals

Voto medio utenti

Ci sono voluti 8 anni per poter ascoltare un nuovo album dei Seventh Wonder. Troppi? Probabilmente sì...

Non fraintendetemi, "Tiara" è tutto fuorché un brutto album, ma un po' deludente per il sottoscritto lo è stato in quanto "solo" un altro buon lavoro dell'amata band svedese, qualitativamente allineato con gli ottimi - e ormai vecchiotti - "Mercy Falls" e "The Great Escape".

La struttura dell'album avvicina l'opera a una performance live, aspetto interessante anche se non particolarmente originale. Si comincia infatti con un preludio epico e sinfonico che rievoca l'ingresso della band sul palco ("Arrival") per concludere con un lungo brano di quasi 10 minuti di puro "Seventh Wonder sound" dove ciascun musicista riesce a ritagliarsi un proprio spazio solistico ("Exhale").

Gli episodi degni di nota ovviamente non mancano: si va dal gustoso power-prog elaborato di "The Everones" alla sfaccettata "Against The Grain" (che sembra provenire dalle session del sopraccitato "Mercy Falls"), dalle radiofoniche "Victorious" e "By The Light Of The Funeral Pyres" (di chiara ispirazione 80s) alle architetture più propriamente progressive della tripartita "Farewell" - un po' Dream Theater, un po' Symphony X e un po' Meat Loaf nei momenti piano/voce - e della splendida "The Truth", vera sorpresa del (lungo) full-length con il suo arrangiamento essenziale costruito intorno al basso di Andreas Blomqvist e a discapito delle chitarre, quasi del tutto assenti.

Tommy Karevik è sempre impressionante, anche se non viene valorizzato a dovere a causa di una produzione - a mio avviso - migliorabile ed eccessivamente "gonfia".

Un buon ritorno, ma - per quanto mi riguarda - non il preannunciato capolavoro che i fan della band stavano attendendo da tempo.

Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 23 ott 2018 alle 10:28

Concordo sul fatto che si tratti di una delusione, non concordo sul fatto che si tratti comunque di un buon disco. A parte la citata Victorius, il resto è davvero brutto. Soluzioni discutibili, linee vocali eccessivamente melense e una prestazione vocale/strumentale decisamente inferiore agli standard a cui la band ci ha abituato.

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