Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2005
Durata:51 min.
Etichetta:Moonjune
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. ASH
  2. 1212
  3. BAKER'S STREET
  4. KINGS & QUEENS
  5. TWO DOWN
  6. BIG CREESE

Line up

  • Elton Dean: sax, saxello, piano
  • John Etheridge: guitars
  • Hugh Hopper: bass
  • John Marshall: drums

Voto medio utenti

Quel che resta dei pionieri del "Canterbury rock" (forma più sofisticata ed orientata verso psichedelia e jazz-fusion del movimento progressive inglese nei tardi anni '60) in un live strumentale a tiratura limitata con 4 pezzi totalmente inediti e 2 non: una versione riaggiornata di "Kings & queens" (tratto da "Fourth", il loro disco più riuscito) e "Ash" (facente parte del repertorio di John Etheridge), un disco di puro jazz rock e fusion pieno di improvvisazioni e grandi momenti veloci e ritmati (grande il duello nei 3 minuti di "Two down" tra chitarra e batteria), atmosfere notturne e soffuse ("Baker's street", all'inizio solo basso e sax, poi anche piano e chitarra), funk rock ("1212"), brani in cui la bravura dei singoli viene elevata alla massima potenza come "Big creese", dove Elton Dean passa con estrema disinvoltura dal sax al piano elettrico e viceversa, mentre il basso di Hopper diventa sempre più presente e nella seconda parte un cambio di ritmo ci porta ad una fase più cupa ed ipnotica sorretta dai riffs nervosi della chitarra di Etheridge. Troppo sottovalutati o peggio dimenticati dalle grandi enciclopedie del rock, i Soft Machine iniziano già nel 1966 a combinare rock, psichedelia e sonorità jazz, gran parte del loro merito era frutto del lavoro del carismatico Robert Wyatt (cantante e batterista dotato di un timbro di voce unico) aiutato sin dagli esordi da Richard Sinclair (finito poi nei Caravan, altro gruppo fondamentale del "Canterbury rock") e dal giullare lisergico Daevid Allen, perennemente dedito alle droghe allucinogene e che ben presto troverà più giusta collocazione a bordo della "Flying teapot" marchiata Gong. La loro maggior sfortuna in quel periodo fu quella di imbattersi praticamente nello stesso discorso musicale sviluppato dai Pink Floyd (con i quali suonarono nel 1966), che però risultavano più "commerciali "della band di Wyatt, che si trasferì per un po' nel sud della Francia ed in USA per un tour con Jimy Hendrix. Dopo "Fourth" (1971, album uscito ad un anno di distanza da "Third", disco con 4 facciate e altrettanti brani, proprio come "Ummagamma "dei Floyd), Wyatt lascia la band perchè l'impostazione rigidamente jazz non gli consente di sviluppare in pieno le sue doti vocali, ma la sua carriera solista è funestata da un incidente che lo paralizza dalla vita in giù, costringendolo sulla sedia a rotelle, la band comunque prosegue il suo percorso strumentale con "Bundles" (1973), disco fusion con energici ritmi di chitarra suonata da un giovane Allan Holdsworth, a cui fa seguito "Soft" (1976), poi lo scioglimento nel '78, poche apparizioni nell'81 e '84, quindi un ritorno nel 2004 col nome di "Soft Machine Legacy". Disco essenziale per i fans della band, io però continuo a preferire i Van Der Graaf Generator di "Theme one" e "The aerosol grey machine", o i più stralunati Gong.
Recensione a cura di Carlo Viano

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