Copertina 8,5

Info

Anno di uscita:2006
Durata:79 min.
Etichetta:InsideOut Music
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. IN EARNEST
  2. LOST IN LONDON
  3. DIY SURGERY
  4. GPS CULTURE
  5. FOLLOW YOUR LEADERS
  6. THE SUN IN MY EYES
  7. A PLACE IN THE QUEUE

Line up

  • Andy Tillison: organ, piano, moog, guitars, vocals
  • Sam Baine: piano, synthesiser, vocals
  • Jonas Reingold: bass
  • Theo Travis: sax, flutes, clarinet, vocals
  • Guy Manning: acoustic guitars, mandolin, vocals
  • Jaime Salazar: drums
  • Krister Jonsonn: electric guitars except track 4
  • Dan Watts: electric guitars on track 4

Voto medio utenti

"A double album on a single CD": in effetti "A Place in the Queue", terzo lavoro dei progster The Tangent, è letteralmente stracolmo di musica, nei suoi quasi ottanta minuti di durata. Il side-project di Andy Tillison (Parallel Or 90 Degrees), orfana di Roine Stolt, leader dei The Flower Kings, ripercorre ancora una volta la tradizione progressive rock(cosa facilmente intuibile, anche non conoscendo la band, dalla meravigliosa copertina ed in generale dall'artwork), da una parte attualizzando la lezione della scuola di Canterbury (Soft Machine, Caravan, Gong) e quindi fondendo il progressive rock al jazz ed rock psichedelico, dall'altra facendo proprie le atmosfere caratteristiche dei "giganti" del prog di tutti i tempi quali Genesis e Yes, non trascurando le melodie tipiche del neo-prog contemporaneo. A manifesto della grande ambizione che ha accompagnato la stesura di questo disco, lo stesso Andy Tillison ha dichiarato che per non dimenticare l'originario proposito di creare qualcosa di unico, durante tutto il periodo di composizione ha tenuto ben in vista una copia di "Tales from a Topographic Ocean" degli Yes. Progetto estremamente ambizioso, quindi, curato nei minimi dettagli, e che ha visto la luce anche grazie all'apporto degli straordinari musicisti che hanno accompagnato Tillison in questa sua nuova "avventura". Ci riferiamo, in primis, alla fidata pianista Sam Baine, già con Andy nei Parallel Or 90 Degrees, al Flower Kings superstite, ovvero il bassista Jonas Reingold ed al chitarrista Guy Manning, presenti fin dal primo album "The Music That Died Alone". A completare la line-up vi sono l'altro chitarrista Krister Jonsson, il batterista Jaime Salazar (tra gli altri, ex drummer proprio dei The Flower Kings) e, soprattutto, il flautista/sassofonista Theo Travis, presente anch'egli nel precedente album. E' proprio la partecipazione di Travis, superbo jazzista (ne è testimonianza l'album "View from the Edge", votato quale miglior disco jazz britannico del 1994), in passato collaboratore di David Sinclair, Porcupine Tree e Gong, l'autentico valore aggiunto, il "quid" che dà alle tracce di "A Place in the Queue" quell'imprevedibilità tipica del jazz, quell'ecletticità che eleva dalla mediocrità diffusa della maggior parte dei dischi che si rifanno alla tradizione del prog-rock dei seventies, formalmente ineccepibili ma sostanzialmente piuttosto anonimi e vuoti. Siamo al cospetto di un'opera importante, complessa ed articolata ma non prolissa, che non vuole rinnegare certo le sue radici, ma che non per questo suona anacronistica. Di abbacinante, stordente bellezza è la traccia iniziale, "In Earnest", prima delle due lunghe suite di cui consta l'album in questione: al delicato incipit pianistico (che porta alla memoria addirittura gli Style Council di "Confessions Of A Pop Group") segue il tema portante dell'intero brano che si sviluppa seguendo trame prog-rock via via più complesse, dinamiche e coinvolgenti(in alcuni frangenti non si può non pensare ai The Flower Kings), in un climax ascendente che trova la sua acme negli ultimi tre minuti, il crescendo musicale si sublima alle stupende linee vocali di Tillison. Segue l'elegante e raffinata "Lost in London", in cui emerge prepotentemente il moog di Tillison in pieno Canterbury's style, ripescando in parte le sonorità proprie di "The Canterbury Sequence" dell'esordio "The Music That Died Alone", ed il free-jazz di "DIY Surgery" in cui, ovviamente, sale in cattedra Mr. Theo Travis. Più canonica, quantunque estremamente gradevole e con passaggi strumentali sempre funambolici(in cui vi è lo zampino del guitarist Dan Watts dei Po90), "GPS Culture", mentre "Follow Your Leaders" ricorda, in alcuni passaggi, i Gong dell'epoca della "Radio Gnome Trilogy" nonchè le sonorità caratterizzanti gli ELP; "The Sun in My Eyes", invece, rovescia completamente le carte in tavola, risultando quasi un brano disco-music di fine anni settanta-inizio anni ottanta. Chiude questo monumentale lavoro, l'altrettanto monumentale title-track, della durata di ben 25 minuti , che ricorda i Genesis di "Selling England By The Pound" ed in cui gli struggenti soli di sax di Travis ed il tappeto sonoro creato dalle tastiere della Baine e di Tillison contribuiscono a creare un'eterea atmosfera squarciata da stacchi prog-sperimentali e melodie vocali sempre particolari e mai banali, per poi concludersi in un finale sinfonico ed avvolgente. Da aggiungere che, come da tradizione, la Inside Out ha previsto anche una versione deluxe, con un secondo dischetto della durata di quasi cinquanta minuti contenente diverse chicche. In ultima analisi, come si evince chiaramente dalla lunga recensione, "A Place in the Queue" è un album importante, di non facilissima assimilazione, che va ascoltato più volte, magari con l'ausilio di cuffie od auricolari, per poterne apprezzare l'enorme valore. Per ora, a modesto avviso del sottoscritto, disco dell'anno 2006.
Recensione a cura di Michele 'Madball' Auriemma

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