Copertina 8

Info

Anno di uscita:2018
Durata:43 min.
Etichetta: Cruz del Sur Music

Tracklist

  1. OVERLORD
  2. RUINATION BE THY NAME
  3. AUTUMN MOON
  4. KEEPING THE LIGHTHOUSE
  5. MY HEART IS LEAVING HERE
  6. MONOCHROME (DISCONTENT)
  7. GREY FAREWELL

Line up

  • Corey Webb: drums
  • Chuck Brown: guitars, vocals
  • Steve Janiak: guitars
  • Mike Naish: bass

Voto medio utenti

Bello ma...
Bello ma è un pochino troppo stoner.
Bello ma li preferisco più classicamente doom.
Bello ma i vecchi lavori sono più intensi e profondi.


Il precedente Of Woe And Wunds, terzo lavoro degli americani Apostle of Solitude, mi aveva lasciato un mix di sensazioni come di... album incompleto. Intendiamoci, parliamo di un signor disco, roba di spessore ma mi aveva lasciato, appunto, con una leggera punta di... "ma", sia ai primi ascolti, sia riprovando ad affrontarlo nei mesi successivi.

Oggi, anno domini 2018, gli Apostle of Solitude tornano a fare quello che a loro riesce meglio, naturale: puro doom.
From Gold To Ash è un disco lento, che ti fagocita, che ti ingloba all'interno delle sue grasse, scure, oniriche vibrazioni. Attenzione però, non è uno di quegli album-macigno, impossibili e indigesti, anzi, è anche capace di muoverti con i suoi mid-tempo, le sue (rare, va detto) accelerazioni e gli assoli trascinanti.
From Gold To Ash sfoggia insomma un ventaglio di soluzioni che toccano tutte le caratteristiche della musica del destino. Soluzioni che vengono rivelate pian piano lungo l'ascolto, una canzone dopo l'altra e che depositano ogni volta uno strato emotivo differente.

Se da un lato il timone del songwriting è saldamente nelle mani di Janik, Naish e Webb, l'istrionico Brown è autore di un cantato magistrale lungo tutto il lavoro, in particolare sulla sabbathiana "Ruination Be My Name" e nella centrale, lunga "My Heart Is Leaving Here". Quest'ultimo brano merita due parole a parte, sia perché è indubbiamente il cuore del disco con i suoi ritmi lenti, lentissimi che lambiscono il funeral doom, sia per le sue melodie evocative rese ancor più intense da un cantato, come dicevo, magistrale. Cantato che raggiunge alte vette espressive anche nella conclusiva "Gray Farewell", ammantata di una malinconia profonda che ti si attacca addosso.
Tutto il disco è un susseguirsi di emozioni e di atmosfere fatte di riff pesanti come palate di terra buttata in faccia, di un groove spesso, nerissimo e quasi palpabile.

Forse, e dico forse, siamo al cospetto del miglior lavoro della band di Indianapolis, sicuramente il più completo, sicuramente tra i più belli album doom dell'anno.

Sono stato volutamente sintetico, non penso che buttando aggettivi a pioggia o sviscerando le canzoni in ogni loro parte io riesca a comunicarvi qualcosa in più. I cultori di questa musica sanno benissimo cosa fare. Premete piuttosto play qui sotto e lasciate parlare la musica.

Recensione a cura di Francesco Frank Gozzi

Ultime opinioni dei lettori

Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?

Ultimi commenti dei lettori

Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?
Queste informazioni possono essere state inserite da utenti in maniera non controllata. Lo staff di Metal.it non si assume alcuna responsabilità riguardante la loro validità o correttezza.