Considero i
Blues Pills una delle espressioni di
classic rock più importanti del terzo millennio.
Una definizione, per certi versi, abbastanza “impegnativa”, tenuto conto del numero esorbitante di valide formazioni devote al culto della storia del genere emerse negli ultimi tempi.
E’ tuttavia sufficiente ascoltare anche solo poche note della loro musica per fugare ogni dubbio … non sono in molti a saper interpretare così bene il suono del
rock sessanta / settantiano, conferendogli credibilità e ammantandolo di un “soffio vitale” capace di distinguerlo immediatamente dalla massificazione contemporanea.
A onor del vero bisogna anche ammettere che poter contare su una voce come quella di
Elin Larsson rappresenta un contributo non trascurabile:
Janis Joplin,
Aretha Franklin,
Grace Slick,
Stevie Nicks e
Mariska Veres “rivivono” nella sua straordinaria timbrica e se ci fosse un minimo di equità il suo nome potrebbe tranquillamente essere accostato a quello di celebrità
mainstream del calibro di
Duffy e
Adele, tanto più che in questo nuovo “
Lady in gold” il gruppo sembra aver voluto enfatizzare la componente
soul della sua magistrale mistura sonora.
La
title-track dell’albo è un eloquente
showcase di tale orientamento artistico e se riuscite a rimanere “impassibili” di fronte alle corde vocali della
Larsson che si flettono e si arrampicano sul pentagramma sfruttando una melodia “antica” tanto semplice quanto efficace, probabilmente questa “roba” non fa per voi.
Agli estimatori di
Rolling Stones,
Fleetwood Mac,
Jefferson Airplane e
Deep Purple, consiglio di proseguire nell’ascolto (e sono certo che non potranno fare a meno di farlo …) scoprendo così altri nove splendidi frammenti d’irreprensibile
rock n’ roll, ipnotico, intenso, vibrante, grondante di benefica tensione emotiva.
“
Little boy preacher” trasporta la
golden era della Motown e le utopie
hippie ai giorni nostri, “
Burned out” aggiunge liquidi sussulti Floyd-
iani all’iridescente impasto sonico e la ballata
bluesy “
I felt a change”, qualora adeguatamente promossa, potrebbe finire per fare bene anche nei
network radiofonici
à la page.
Un’analoga sensazione la riservano “
Gone so long” e il suo suggestivo crescendo, mentre “
Bad talkers”, semplificando un po’ la questione, sembra davvero delineare la quadratura del cerchio di una
band che desidera simultaneamente rendere omaggio a
Janis,
Airplanes e Shocking Blue.
La suadente e notturna “
You gotta try” è un altro colpo al cuore per quei
bluesofili che al contempo non disdegnano le atmosfere “acide”, le quali producono effetti assai coinvolgenti anche quando si fondono con l’ardore quasi
gospel di “
Won't go back”.
Le pulsazioni ancestrali e le distorsioni di “
Rejection” vi porteranno attraverso una taumaturgica bolla temporale a dimenarvi completamente estasiati tra il pubblico di un grande
festival al crepuscolo dei
sixties e “
Elements and things” è semplicemente un piccolo gioiello di
hard-rock lisergico (ed è stata una sorpresa scoprire che si tratta in realtà di una rilettura di
Tony Joe White), alimentato da un magnetismo a cui è praticamente impossibile sottrarsi.
Forse è vero che la voglia di “vintage” è ormai un po’ troppo inflazionata e che l’innovazione sta da qualche altra parte (ditemi dove, però …), ma quando l’ispirazione è così veemente e gratificante per i sensi, credo che ogni altra eventuale considerazione “razionale” diventi francamente superflua e pretestuosa.