Copertina 7,5

Info

Genere:Black Metal
Anno di uscita:2015
Durata:56 min.
Etichetta:Nuclear Blast Records
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. WALPURGIS EVE
  2. YOURS IMMORTALLY…
  3. ENSHRINED IN CREMATORIA
  4. DEFLOWERING THE MAIDENHEAD, DISPLEASURING THE GODDESS
  5. BLACKEST MAGICK IN PRACTICE
  6. THE MONSTROUS SABBAT (SUMMONING THE COVEN)
  7. HAMMER OF THE WITCHES
  8. RIGHT WING OF THE GARDEN TRIPTYCH
  9. THE VAMPYRE AT MY SIDE
  10. ONWARD CHRISTIAN SOLDIERS
  11. BLOODING THE HOUNDS OF HELL

Line up

  • Dani Filth: vocals
  • Marthus: drums
  • Daniel Firth: bass
  • Ashok: guitars
  • Rich Shaw: guitars
  • Lindsay Schoolcraft: keyboards, vocals (female)

Voto medio utenti

Mai come in questo caso, il ruolo di scribacchino musicale appare ai miei occhi banale quanto la trama di un film di Chuck Norris (senza offesa Chuck, non picchiarmi).
Talmente banale che, in barba ai soliti preamboli con cui son solito infarcire gli incipit delle mie recensioni, intendo giungere immantinente al nocciolo della questione:

I Cradle of Filth vi hanno sempre fatto schifo?
Continueranno a farlo anche da oggi in poi.
I Cradle Of Filth vi hanno sempre mandato in brodo di giuggiole?
Quest’album costituirà per voi inesauribile fonte di libidine.

L’articolo potrebbe anche concludersi qui, ma pagherò dazio alla mia pedanteria esponendovi qualche spunto di riflessione ulteriore.
Ecco a Voi, cari lettori:

- il giorno in cui Dio, o Lucifero, convocò a sé le band metal per conceder loro il dono della “continuità di line up”, i Cradle si diedero ammalati.
Ormai gli avvicendamenti in seno al gruppo non si contano più, presumibilmente a causa del caratterino del boss Dani Filth. Stavolta, però, le incognite erano molte e belle grosse: da un lato l’ingresso di ben tre (!) nuovi membri, dall’altro il vistoso avvicendamento del chitarrista Paul Allender, che aveva suonato sullo storico debut The Principle of Evil Made Flesh ed era tornato poi in sella per altri 14 anni e ben 7 album. Ebbene, proprio il povero Paul sembra uscir sconfitto da questo scambio di mercato: il suo progetto White Empress, infatti, ha generato un platter (Rise of the Empress, 2014) scialbo e già avvolto nelle meste spire dell’oblio, manco fosse Zucchero Filato Nero di Mauro Repetto. Dall’altro lato, la nuova coppia di asce costituita dai baldi Rich e Ashok sembra essersi già calata alla perfezione nell’ingranaggio cradleiano; lo stesso può dirsi della dolce (?) Lindsay, che si destreggia senza affanno con keyboards e vocals femminili (come si sa, elementi di centrale importanza nell’economia del sound);

- un sostanzioso aiuto alla resa complessiva la fornisce la produzione. Le sessioni di registrazione nei britannici Grindstone Studios, infatti, hanno saputo donare ad Hammer of the Witches un amalgama invidiabile, mantenendo un’asciuttezza lodevole ed evitando ampollosità eccessive;

- il nuovo platter non tenta nemmeno di cambiare le carte in tavola; al contrario, ripropone con precisione chirurgica tutti i tratti distintivi cui i Cradle ci hanno abituato, nel bene e nel male. Non innovativo, non originale, assemblato con una buona dose di mestiere, per certi versi anche paraculo (perdonate la terminologia inappropriata), eppur bilanciato alla perfezione. Trovo che proprio il bilanciamento costituisca l’autentico valore aggiunto di un’opera in perenne bilico tra componente metal e sinfonica, tra aggressione e melodia, tra solennità e rudezza. Ciò, si badi, vale tanto per il disco nel suo complesso quanto per le singole canzoni;

- a proposito di canzoni: la scaletta, per quanto mi riguarda, è davvero solida, se si esclude un’intro sinfonica meno ispirata del solito e un interludio -The Monstrous Sabbat (Summoning the Coven)- trascurabile anzichenò. La qualità, per il resto, si mantiene alta, anche in virtù dell’assennata decisione di rievocare le atmosfere romantico/decadenti proprie dell’immenso Dusk ... And Her Embrace.
Volendo proprio scegliere, mi soffermerei sulla magnificenza della title track, sull’epicità forsennata di Deflowering the Maidenhead, Displeasuring the Goddess e sul lascivo incedere di Blackest Magick in Practice;

- a questo giro mi aggrada anche l’artwork di copertina, circostanza che non si verificava dal lontano 1998 (Cruelty and The Beast). Dettaglio non decisivo, ma che non guasta. Bravo Arthur Berzinsh!

Dopo lo sperpero di righe che precede, tanto vale far ritorno al punto di partenza: se rientrate nel folto novero di detrattori del minuto Danielino, presumo non siate nemmeno giunti sin qui nella lettura. I restanti sappiano che Hammer of the Witches, a sommesso parere dello scrivente, ci restituisce una band in uno stato di forma che non si ammirava di tempi di Midian (2000).
Di più credo non si possa chiedere.
Recensione a cura di Marco Cafo Caforio

Ultime opinioni dei lettori

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 17 lug 2015 alle 08:29

A mio modo di vedere gli ultimi tre lavori dei Cradle (questo compreso) sono ottimi dischi. Complimenti sinceri.

Inserito il 16 lug 2015 alle 11:40

Midian resta inarrivabile

Inserito il 12 lug 2015 alle 10:31

Ascoltato due volte stanotte. Sicuramente c'è più voglia "di spaccare" che negli ultimi obbrobri, questo è un disco più crudo, meno sinfonico, pieno di stacchi e riff senza ad andare a cadere nel pseudo-thrash di loro infelici uscite. Certo, l'autocitazionismo è evidente ma preferisco così piuttosto che sentire un'orchestrina infilata a forza in ogni buco. Per ora sto sul 7 pieno e concordo sul fatto che sia il più convincente e "meno pocciato" dai tempi di Midian. Vedremo con i prossimi ascolti... p.s. Cafo sempre grande \m/

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