Copertina 8

Info

Anno di uscita:2013
Durata:41 min.
Etichetta:TeePee Records

Tracklist

  1. CLOSING TIME, LAST EXIT
  2. THE OBSCURANTIST FIEND (THE BEAST PT.I)
  3. SHADOWS (THE BEAST PT.II)
  4. SOCIETY OF BARRICADES
  5. PELHAM BLUE
  6. LAND OF THE FREAKS, HOME OF THE BRAVE

Line up

  • Thomas Bellier: vocals, guitar
  • Antoine Morel-Vulliez: bass
  • Mike Amster: drums

Voto medio utenti

Avete presente il ciclo letterario di “Dune”, il pianeta della spezia melange, dei Fremen e dei Vermi delle Sabbie? Ne avevano tratto anche un film, non eccelso, dove compariva in una piccola parte il buon Sting dei Police.
Ecco, questo disco potrebbe essere la perfetta colonna sonora per quella fantastica ambientazione. Deserto e carovane, oasi e caravanserragli, dervisci ed hashish, autorespiratori e camelidi mutanti, un mondo ben illustrato sulla copertina del colossale “Dopesmoker” degli Sleep.
Chi ci propone l’esemplare viaggio onirico, tra psichedelia stoner ed affascinanti melodie medio-orientali, sono i Blaak Heat Shujaa, solito trio di carneadi dal moniker astruso e scritturato dalla meritoria Tee Pee. Prodotto nientemeno che da Scott Reeder (Kyuss e decine d’altri..) il gruppo pubblica un piccolo gioiello hypno-rock, pieno di groove narcotici e profumi levantini.
L’introduzione del disco è affidata al corrosivo poeta Ron Whitehead, che conclude il suo breve recitato con un “..America is an illusion..” che relega il Grande Sogno a pura propaganda nazionalistica. Poi partono i dieci minuti di “The obscurantist fiend”, una totale immersione nel nirvana arabeggiante che rievoca immediatamente gli Om di “Advaitic song”. Solo che qui c’è la chitarra cosmica e spirituale di Thomas Bellier a fare da protagonista, aumentando in modo esponenziale le sfumature lisergiche del sound. Se “Shadows” mantiene fede al suo titolo addensando ombre più cupe, in “Pelham blue” troviamo la voce di Mario Lalli (Fatso Jetson) ad intonare una melodia più classicamente desert rock. Fino alla fine veniamo comunque accarezzati dalle vocals quasi monastiche, rituali, del leader, mentre la coppia ritmica volteggia in arabeschi dilatati da vero trip open-minded. Però i temi trattati si riferiscono anche a questioni molto concrete, come testimonia la bellicosa “Society of barricades”, cosa che giustifica meglio l’intro politicamente scorretto.
Un album al quale occorre abbandonarsi, per visualizzare pienamente le immagini che nascono da questa musica suadente e sensuale ma non letargica. Una band consigliata agli amanti del miglior psichedelic rock. Sorprendenti.

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