Copertina 7

Info

Anno di uscita:2004
Durata:79 min.
Etichetta:Frontiers
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. CHEATED (LIVE)
  2. CAN’T SEE THE ANGELS
  3. A CRY FOR THE NEW WORLD
  4. LETTING GO
  5. JOURNEYMAN
  6. ONLY THE CHILDREN CRY
  7. TURN THE TABLES
  8. DON’T BE AFRAID OF THE DARK
  9. BEST YEARS
  10. FOREVER IN TIME
  11. NOWHERE TO HIDE
  12. NAKED (RE-RECORDED VERSION)
  13. A MOMENT IN LIFE

Line up

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Direttamente da quell’eccezionale fucina di talenti denominata N.W.O.B.H.M., giungono fino all’odierno 2004 anche i Praying Mantis, che dopo l’ottimo “The journey goes on” dell’anno scorso, pubblicano questo “The best of” a coronamento della loro ormai quasi trentennale militanza musicale.
I fratelli Tino e Chris Troy, avvicinatisi alla musica grazie alla loro madre, che regalò a Chris una chitarra classica con l’intento di fargli imparare il flamenco, per riesumare le loro origini spagnole (in realtà ispano/greche, il vero cognome è, infatti, Neophytou), sono affascinati (guarda caso) più dalla musica rock che dalle sonorità latine e, nel 1978, grazie ad un demo tape e all’aiuto del noto DJ Neal Kay, riescono a suonare in alcuni apprezzati live shows. Questi concerti consentiranno ai nostri di incidere alcuni singoli e, soprattutto, di partecipare, con il brano “Captured city”, allo storico “Metal for Muthas”, famoso per aver lanciato una band come gli Iron Maiden …
Nell’81, con l’ingresso in formazione dell’esperto drummer Dave Potts (ex Ten Years After) e del chitarrista Steve Carroll, pubblicano quello che è considerato il loro miglior lavoro “Time tell no lies”, con la splendida copertina disegnata da Rodney Matthews; un disco veramente intrigante nella sua esposizione mediamente più melodica di quelli proposti dai compagni d’avventura dei Mantis di quello stesso periodo e in cui sono rintracciabili anche influssi di southern rock.
Bisognerà attendere fino al 1990 per risentire parlare, sulla lunga distanza (dopo alcuni singoli, partecipazioni a compilation e la parentesi Stratus), dei Praying Mantis, con un disco dal vivo, “Live at last”, che vede anche la presenza dei due ex-Maiden Dennis Stratton (oggi ancora stabilmente in formazione) e Paul Di’Anno (solo per questo disco). Da questo momento in poi, la band inglese, sfornerà un discreto numero di dischetti, accentuando ulteriormente la componente melodica del proprio suono, sconfinando nel pomp, fino a sonorità al limite dell’AOR de-luxe.
I Praying Mantis hanno goduto, negli anni, di innesti di rilievo in formazione, a cominciare con l’altro ex-Maiden Clive Burr, per proseguire con vari singer che si sono avvicendati al microfono della Mantide e che si chiamano Bernie Shaw (ex-Grand Prix e attuale voce degli Uriah Heep), Gary Barden (Statetrooper, Silver, ex-MSG), i forse meno noti ma non meno abili Colin Peels, Mark Thompson-Smith e Tony O’Hora, fino ai recenti John Sloman (ex-Uriah Heep, Lone Star e Gary Moore) e Doogie White (Cornerstone, Malmsteen, ex-Rainbow). “The best of” può essere una buona occasione, per chi non lo conoscesse, per avvicinarsi al gruppo dei fratelli Troy (i fans più fedeli difficilmente troveranno qualcosa d’interessante tra questi “solchi”), in quanto il platter ripercorre in modo abbastanza esauriente la loro intera discografia, privilegiando maggiormente gli ultimi 15 anni di carriera della band, con brani come l’ispirata “A cry for the new world”, la cavalcata chitarristica ad ampio respiro di “Journeyman” (tratte da “A cry for the new world” del ’93, il disco più saccheggiato dalla raccolta), la sontuosa “Only the children cry”, l’intensità melodica della voce di Barden in “Don’t be afraid of the dark” (tratta da “The power of ten” del ’95), le ottime armonie di “Forever in time” e “Nowhere to hide” (title tracks dei rispettivi albums, del ’98 e del ’00, dai quali sono estrapolate), per finire con “Naked” nella versione cantata da un sempre eccellente Doogie White.
La musica dei Mantis è sempre stata un prodotto di buona fattura, e benché, per i miei gusti, talvolta l’afflato melodico che la contraddistingue, superi un po’ il livello di guardia, fino a risultare leggermente stucchevole, è innegabile che il lavoro svolto negli anni e sintetizzato da quest’antologia, nonché l’ultimo disco in studio realizzato, siano una lampante dimostrazione delle doti e quindi della longevità di una compagine che per molti era una formazione “perdente”, capace solo di accogliere illustri ex-Maiden “caduti in disgrazia”. I Praying Mantis saranno anche da considerare come un gruppo “minore”, ma, tornando, al leggendario “Metal for Muthas”, quante formazioni presenti in quel disco (oltre agli “inossidabili” Iron’s), magari anche potenzialmente con qualità superiori ai Praying Mantis (qualcuno ricorda gli anglo/svedesi E.F. Band, gli Sledgehammer, gli stessi Angel Witch, per non parlare di bands già in partenza destinate all’oblio come The Frog o Nuts), sono attualmente ancora “on the road”? Qualcosa vorrà pur dire … o no?
Recensione a cura di Marco Aimasso

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