“
Prendi una donna, trattala male, lascia che ti aspetti per ... “settimane” …” parafrasiamo le immortali parole del
poeta per accompagnare il ritardo con cui tratto il nuovo disco di
Lee Aaron, uscito ormai da qualche tempo per l’etichetta
Metalville Records.
Nella (“vagamente” illusoria …) speranza che la
rockeuse canadese attendesse con ansia il mio commento al suo “
Elevate”, diciamo subito che i contenuti artistici dell’opera proseguono nel solco del
classic-rock dei tempi recenti, accentuando di un pizzico la componente
poppettosa della proposta musicale.
Una scelta non pienamente condivisibile, in realtà, dal momento che avevo apprezzato parecchio l’equilibrio e l’intensità emozionale con cui nei lavori precedenti erano stati toccati un po’ tutti gli stili che hanno reso la cantante un modello per tante sue seguaci.
Rimane intatta la classe, il carisma, il talento innato e il
sex-appeal di una vera
Maestra della fonazione modulata, declinati però attraverso troppe canzoni oltremodo “vaporose”, che dopo un’iniziale infatuazione svaniscono nell’etere con eccessiva facilità.
E pensare che l’
incipit aveva lasciato ben sperare, grazie a una “
Rock bottom revolution”, che un po’ “fantasiosamente” potremmo definire una sorta di fusione “al femminile” tra ZZ Top e AC / DC, seguita dal
blues “radiofonico” “
Trouble maker”, “roba” di certo non “rivoluzionaria” ma abbastanza godibile.
Le successive “
The devil U know” e “
Freak show” solcano territori a metà strada tra
grunge,
alt-rock e
power-pop con risultati contrastanti e se con “
Heaven's where we are” e la pulsante “
Still alive”, il disco recupera l’efficacia di melodie ammiccanti e dinamiche, la
Avril Lavigne-esca “
Highway Romeo” e la leziosa ballata “
Red dress” (nonostante la splendida interpretazione vocale) ritornano a galleggiare sui sensi lusingandoli senza assoggettarli a fondo.
Per ricevere la prima vera “scossa” della raccolta bisogna attendere “
Spitfire woman” (impreziosita da un
cameo di violino elettrico concesso da
Karen Barg), davvero coinvolgente nel suo strisciante crescendo armonico e pure la
title-track finale, un
anthem contraddistinto da vaghe atmosfere
new-wave, fornisce buone vibrazioni all’astante.
Insomma, riprendendo il celebre
trattato di filosofia sentimentale di
Ferradini con cui ho aperto la disamina,
Lee Aaron non merita per nulla di essere “maltrattata”, l’ammirazione e la stima nei suoi confronti rimangono immutate, anche se “
Elevate” si rivela leggermente al di sotto dei suoi
standard … non rimane che lasciare “
aperta la porta del cuore” (e delle orecchie) spronando la
Lady-Rock per eccellenza a ritrovare prontamente lo slancio espressivo con cui ha affrontato il terzo millennio.
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