Quando, sul finire del 1981, gli
Whitesnake entrarono in studio per le registrazioni di
“Saints And Sinners”, la situazione interna alla band non era esattamente delle più felici. Nonostante gli ottimi risultati scaturiti dal successo di
“Come An’ Get It”,
Mick Moody per primo lamentò una costante stanchezza riguardante da una parte sia la continua vita on the road, ma soprattutto verso il lato prettamente economico delle entrate. Tante erano le feste, come tanti erano anche i debiti che la band di
Coverdale si portava dietro e che riusciva a sanare quasi sul filo del rasoio, nonostante suonasse ogni notte nei luoghi più famosi e popolari dell’epoca, registrando il tutto esaurito.
Tutti questi fattori portarono
Moody a lasciare senza avviso gli
Whitesnake a ridosso del 1982, nel mezzo della composizione del nuovo album, con anche
Ian Paice e J
on Lord che seppur in maniera meno irruenta, si mostrarono sempre meno interessati alla band. Il chitarrista
Bernie Marsden suggerì a
Coverdale di sospendere il progetto e di dedicarsi ad altro, ma egli rifiutò, e in una successiva riunione con i membri della band, incaricò il manager
John Coletta di licenziare questi ultimi senza tanti giri di parole, per poi richiamare
Moody e
Jon Lord verso la fine dell’estate dello stesso anno. La formazione quindi fu, ad eccezione del rientrante chitarrista e di
Lord, totalmente rimaneggiata e che, a parte dei cori ri-registrati, poco aggiunse al già completo
“Saints And Sinners”.
Se focalizziamo l’attenzione esclusivamente sulla musica però, possiamo considerare il nuovo album in casa
Whitesnake la naturale prosecuzione dei precedenti dischi, dove la componente blues e rock n’ roll è ancora viva e presente soprattutto in
“Bloody Luxury” e
“Young And Blood”, dove
Mick Moody si scatena con dei riff sempre azzeccati. Le hit del disco però, e a questo punto della carriera degli
Whitesnake possiamo forse parlare di vere e proprie hit da classifica, risultano essere la bellissima
“Crying In The Rain”, dove gli intrecci fra le chitarre e le tastiere di
Lord riescono a dar vita a un pezzo pieno di passione, e il classico da stadio
“Here I Go Again”, con una prestazione vocale di
Coverdale da annoverare sicuramente fra le sue migliori di sempre, e che ancora oggi svolge un ruolo centrale nelle esibizioni della band. Sarebbe tuttavia ingiusto ignorare i riff coinvolgenti di
“Victim Of Love”, la travolgente
“Dancing Girls” che nella parte centrale riporta un notevole assolo di
Lord, o
“Rock N’ Roll Angels” la quale sembra riportare alle scalmanate sonorità alla Elvis.
Giudicare
“Saints And Sinners” dal lato puramente umano, ossia tenendo conto della sua genesi e delle relazioni fra membro e membro, è difficile e sicuramente non contribuirebbe alla stesura di una recensione e di un voto finale oggettivo. Dal lato esclusivamente musicale invece è un album che mostra come gli
Whitesnake non avessero esaurito per nulla le idee, e seppur in molti ancora oggi decretino con questo album la fine dell’era “classica” della band, rifiutandone l’approccio più easy dei lavori successivi, non fatevi troppi pensieri e non rimuginateci troppo.
“Saints And Sinners” è un disco che rappresenta gli anni 80’ dal punto di vista dell’eleganza in maniera più netta di molti altri.