RAGE (Peavy Wagner, guitars)

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I Rage hanno colpito ancora e dopo un ottimo lavoro come “Soundchaser” ed un esauriente album dal vivo che riepilogava le fasi più salienti della loro lunghissima carriera, sono tornati in pista con il bellissimo “Speak of the dead”. Disco speciale, non solo perché è l’ennesima tappa di un percorso artistico davvero ricco di soddisfazioni, ma anche perchè presenta due ritorni di classe: quello della Lingua mortis orchestra e, nella seconda parte, quello del sound tipico di capolavori quali “Missing link” e “Black in mind”.
Ne abbiamo parlato con Peter “Peavy” Wagner, storico bassista e cantante di una delle bands più longeve del metal tedesco, e attualmente fortemente intenzionato a mettere su chilo su chilo (conservo ancora le foto che scattai con lui all’epoca del tour di “End of all days”, ma non gliele ho mostrate per comprensibile pudore… il suo ovviamente!): che voglia far concorrenza a Jon Oliva?

Allora Peavy, la cosa più evidente del vostro nuovo lavoro è la lunga “suite lingua mortis”, che riprende esplicitamente quelle influenze orchestrali che sembravano ormai essere state accantonate: da dove è venuta fuori l’idea di lavorare di nuovo in questa direzione?

Abbiamo iniziato a pianificare una cosa del genere più di due anni fa, e lo stimolo ci è venuto principalmente da Victor, che suona con noi da ormai sette anni: vedi, lui è cresciuto in una famiglia di musicisti, ha iniziato a suonare il pianoforte all’età di cinque anni, poi è passato al violoncello e alla chitarra… insomma, ha sempre avuto un grosso background di musica classica alle spalle, proviene da questo mondo, è un vero professionista in questo campo, penso che nessuno sia in grado di mettere assieme meglio di lui musica classica ed heavy metal. Una volta presa la decisione, si è semplicemente trattato di trovare il momento adatto per farlo. Quando ci siamo messi insieme con questa line up, nel 1999, avevamo già fatto tre album orchestrali, “Lingua Mortis” nel 1996, “XIII” nel 1998 e “Ghosts” l’anno dopo: non potevamo affatto farne uscire un altro, sarebbe stato troppo! Ok, ai fans questa roba è sempre piaciuta, ma sapevamo che molti di loro aspettavamo di vederci tornare ad un suono più tipicamente heavy. Abbiamo quindi deciso di andare subito in questa direzione, in attesa che i fans fossero nuovamente pronti per un esperimento orchestrale.
Circa due anni fa, dopo “Soundchaser”, pensando alla direzione da far prendere al nuovo album abbiamo pensato che sarebbe stata una buona idea tornare all’orchestra, ma poi abbiamo preferito dedicare ad essa solo una parte dell’album, nella forma di una suite di circa 23 minuti, mentre nella seconda parte abbiamo mantenuto un sound molto più diretto e aggressivo, così da accontentare tutte le frange dei nostri fans.

Qual è, a tuo parere, la maggiore differenza tra questa “Suite lingua mortis” e il resto del materiale orchestrale da voi composto in passato?

Le altre volte colui che si era occupato delle orchestrazioni, Christian Wolff, non era un membro della band, aveva lavorato dall’esterno come esterno, mentre ora la persona che ha fatto questo è il nostro chitarrista e uno dei principali compositori della band: Victor è maggiormente dentro alla questione, e questo è molto importante perché ti permette di agire in maniera più consapevole rispetto a qualcuno che si trova a dover gestire del materiale scritto da altri… inoltre, tra Christian Wolff e Victor non c’è paragone! Non ho niente contro il primo, sia chiaro, ma Victor è un musicista nettamente migliore, non c’è nemmeno da discutere su questo, le sue capacità sono molto superiori a quanto normalmente si trova nel mondo dell’heavy metal.

Mi sembra che nella seconda parte del disco siate invece prepotentemente ritornati al sound tipico di dischi quali “Missing link” o “Black in mind”… che ne pensi?

Sì, sono d’accordo con te, la seconda parte dell’album è così aggressiva e potente come non accadeva ormai da molti anni, il paragone che hai fatto con “Missing link” e “Black in mind” è sicuramente centrato, rende bene l’idea… ad esempio, una canzone come “No fear”, è una delle più dure che abbiamo mai fatto… è stata una cosa voluta, perché, avendo messo tutti gli esperimenti, le parti più dinamiche nella suite orchestrale, abbiamo potuto maggiormente sfogarci con la potenza nella seconda…

Hai parlato di esperimenti: è corretto dire che nella “Suite lingua mortis” sono presenti diverse parti in stile progressive? E’ forse dovuto al fatto che adesso puoi avvalerti di musicisti tecnicamente migliori?

Certamente, anche questa è stata una cosa voluta: se si sceglie di fare qualcosa di particolare è anche giusto provare diverse cose! Prendi ad esempio la prima traccia, “Prelude of souls”, che può ricordare gli Emerson lake & Palmer, qua e là poi si sente John Mc Laughlin… certo, ci sono degli elementi progressivi, ma non li abbiamo mai spinti troppo oltre, siamo sempre rimasti all’interno di quello che è il concept dei Rage, abbiamo mantenuto tutte quelle parti dirette che da sempre ci contraddistinguono, così che in episodi come “No regrets” o “Innocent”, la gente può tranquillamente riconoscere il marchio di fabbrica di questa band.

Ci sono state delle novità nel modo di registrare “Speak of the dead”?

No, abbiamo lavorato nel solito modo, in maniera molto semplice e diretta. L’unica differenza viene dal fatto che questa volta abbiamo avuto anche un’orchestra da registrare, ma per il resto tutto si è svolto abbastanza velocemente…

Puoi parlarmi un po’ di questa fase delle registrazioni? Siete andati ancora in una chiesa, come ai tempi di “Lingua Mortis”?

No, questa volta abbiamo registrato a Minsk, nello studio di proprietà di Victor e di alcuni suoi amici, nel quale registrano soprattutto cose per la televisione, la radio, colonne sonore di film etc. C’è un loro amico che è un regista, per cui ogni tanto collaborano insieme… sai, recentemente Victor ha anche recitato in uno di questi film, una cosa fantasy, una storia di cavalieri e simili… ne ho visto un pezzo, è simile a “Lord of the rings”, Victor è vestito con quest’armatura, uno spadone enorme, e combatte contro i draghi, una cosa del genere (ride)… è un bel film, in verità lui ha un piccolo ruolo, ha più che altro scritto la colonna sonora… lavorano anche con altre bands in questo studio, ad esempio i Blind Guardian ci hanno fatto le orchestrazioni del prossimo album, poi una band gothic tedesca, i Lacrimosa, li conosci ?

Certo (come se fossero dei perfetti sconosciuti…)!

Beh, anche loro hanno registrato lì con l’orchestra… che alla fine è una sorta di mix di elementi provenienti dalle tre orchestre principali della Bielorussia. La cosa nuova è che, a differenza della media dei musicisti classici, questi non hanno avuto problemi a suonare col metronomo… sai, di solito la musica classica è molto più libera, è il direttore che di volta in volta dà il tiro al pezzo, mentre invece questi hanno dovuto adattarsi al nostro modo di suonare, che invece prevede il metronomo. Questo ha determinato un passo avanti rispetto a quanto fatto all’epoca di “Lingua mortis”… vedi, quell’orchestra di Praga che avevamo utilizzato… per carità, ottimi musicisti, ma non erano affatto in grado di suonare a metronomo, e quindi il risultato era che la musica andava un po’ dove voleva (ride)! Questi hanno fatto davvero un gran lavoro, hanno seguito molto di più quello che suonavamo noi, rendendo il tutto molto più diretto.

Cambiamo argomento: che cosa puoi dirmi riguardo ai testi dell’album? Sono in particolare incuriosito da un titolo come “Speak of the dead”: che cosa rappresenta esattamente?

Il titolo viene fuori da un gioco di parole: come ben sai “Lingua mortis” vuol dire il linguaggio dei morti in latino, per cui in un primo momento avevo pensato di chiamarlo “The language of the dead”, giusto per richiamare la continuità con quel primo lavoro, ma gli altri non erano molto entusiasti (ride)… così ho girato un po’ attorno alle parole, nel tentativo di tenere buono il concetto base, e me ne sono venuto fuori con “Speak of the dead”, che è sicuramente più suggestivo e che è piaciuto subito a tutti….
Alla fine quello è diventato anche il titolo dell’ultima canzone che ho scritto per il disco, e che è una canzone antimilitarista: sono una persona molto pacifista, e l’idea che sta alla base del testo è che quando vedi tutti questi politici, questi militari che parlano di vittorie, di nemici, di tecniche di combattimento, tutte quelle cazzate sui “danni collaterali”… ma nessuno parla mai dei morti, che alla fine, in una guerra, sono la cosa più importante! No, non è una questione di vittoria, di territori conquistati, e cazzate varie: tutte queste sono idee astratte perchè alla fine l’unica realtà della guerra sono i morti, il fatto che la gente muore.
I politici fanno i soldi con la guerra, è tutto un business, non fanno altro che venderci bugie per cui non riusciamo mai a realizzare ciò che un conflitto veramente rappresenta. Tutte quelle cazzate patriottiche sulla vittoria e sul nemico e reagire e difendere… sono tutte bugie! L’unica realtà sono i morti, ma nessuno parla mai di loro perché questo svelerebbe il vero volto della guerra… cosa che ho cercato di fare io in questa canzone…
Un altro brano molto polemico in questo senso è “Kill your gods”, che parla di come la religione, ogni religione, cattolica, musulmana o quant’altro, non sia altro che uno strumento di potere, una questione politica, un gioco della mente, un modo per controllare le persone. Sinceramente sarei molto contento se le persone potessero farne a meno, potessero vivere senza religione, ma questo ovviamente richiede molta forza, molta maturità, tutti dovrebbero essere più coraggiosi, più consapevoli, dovrebbero prendersi in misura maggiore le loro responsabilità. Purtroppo la gente ha paura di fare questo, ha paura di prendere decisioni riguardo alla propria vita, per cui ha sempre bisogno di qualche dottrina, qualche leader che ti dica cosa fare e… (ride) senti, è ridicolo che delle persone abbiano bisogno di un vecchio come il papa per sentirsi dire che cosa cazzo devono fare… no, è veramente ridicolo, sembrano tutti dei bambini…
Da parte mia, non ho bisogno di nessun libro santo, di nessun profeta per coltivare la mia spiritualità, perché essa viene da dentro di me, sono io stesso una creatura spirituale, non abbiamo bisogno di nessun leader, perché sono solo condizionamenti mentali che ci fanno allontanare da quella che è veramente la spiritualità.
Ok, penso di aver risposto alla tua domanda, ho parlato dei due testi maggiormente significativi, spero non vorrai ti faccia un resoconto dettagliato anche per tutti gli altri…

No, stai tranquillo, mi basta così! Senti, ho visto che per la song “Full moon” avete realizzato versioni in più lingue diverse… puoi dirmi qualcosa di questo progetto?

Abbiamo fatto cinque versioni in cinque lingue diverse, e l’idea alla base è stata semplicemente quella di divertirci un po’… forse hai sentito parlare di un famoso cantante tedesco che si chiama Herbert Gronemeier…

Ad essere sinceri non l’ho mai sentito nominare…

Beh, è una sorta di Eros Ramazzotti tedesco, ha una maniera molto strana di cantare, ha questa voce nasale che fa tipo “niii” (imitazione decisamente improponibile!), e un sacco di comici in Germania fanno sue imitazioni, per cui abbiamo deciso di fare la versione tedesca cantata alla sua maniera, l’abbiamo registrata così, in modo molto spontaneo! Nello stesso periodo poi stavamo discutendo su che cosa inserire come bonus track per il mercato giapponese, e ce siamo venuti fuori con l’idea di fare lo stesso pezzo in giapponese (ride)! Allora ho chiamato un’amica a Tokyo e gli ho mandato il testo perché venisse tradotto, lui me l’ha rimandato unitamente ad una demo cantata da lei in modo che potessi capire la fonetica, noi l’abbiamo registrata, gliel’abbiamo rimandata perché la controllasse… insomma, nel giro di pochi giorni abbiamo fatto la bonus track giapponese! Poi ovviamente è arrivata la versione russa, del quale si è occupato direttamente Victor, e alla fine abbiamo fatto anche quella spagnola… mi spiace non aver potuto farne una anche in italiano, ma non c’era più tempo, e poi non conoscevo nessuno che potesse fare la traduzione…

Beh, la prossima volta chiamami che ci penso io! Dopo “Straight to hell” anche un altro brano dei Rage apparirà nella colonna sonora di un film tedesco…

“Straight to hell” era stata usata per uno dei film tedeschi di maggior successo negli ultimi tempi: il regista, un tizio molto famoso nell’ambiente delle commedie, ha scelto questo brano per il film, ma non ce lo ha comunicato. Pensa che ero al cinema a vedere il film quando ho sentito il nostro pezzo: “oh, ma quella è una nostra canzone” (ride)! Questa volta è andata diversamente: un mio amico regista stava girando il suo nuovo film e mi ha chiamato perché aveva bisogno di una canzone per la colonna sonora. Al momento l’unico brano che avevamo completato era “No fear”, così gliel’ho mandato e gli è piaciuta molto. In cambio ci ha poi offerto di girare un videoclip, che includesse anche materiale tratto dal film stesso, l’idea ci è piaciuta molto e l’abbiamo sfruttata…

Senti, questo è, se non erro, il vostro quattordicesimo album…

No, è il diciottesimo album regolare (in realtà pare che Peavy si sbagli, visto che io mi stavo riferendo ai soli dischi di inediti, i quali sono appunto quattordici)…

Ah ok… ad ogni modo è veramente una carriera impressionante, nella quale la cosa che colpisce di più è l’evoluzione che avete avuto a partire dai primi dischi, le diverse fasi che avete attraversato, ma soprattutto, il fatto che a questo punto del vostro cammino riuscite ancora a tirare fuori dischi di un livello qualitativo così alto: ma dove trovi le energie?

Fare questo lavoro ti dà un sacco di energia, mi piace scrivere e suonare canzoni sin da quando avevo dodici anni, in pratica da quando ho iniziato a suonare la chitarra ho scritto canzoni e le ho suonate… in pratica per me fare canzoni è come per altri fare sesso (ride)! Sono davvero fiero di fare questo lavoro e di continuare a farlo dopo così tanti anni, devo dire grazie ai fans che me ne danno l’opportunità, è un qualcosa che non ti aspetti dalla vita, è veramente un dono la possibilità che si ha di fare questo lavoro…

Un’altra cosa che mi ha sempre colpito molto è l’enorme miglioramento che hai avuto nel modo di cantare: come ci sei riuscito?

Beh, ovviamente continuando a cantare… sai, più canti più migliori! All’inizio ho iniziato a cantare così per sport, mi divertivo a fare note alte, a tenere note lunghe, cose così, come se fosse una gara tra chi faceva le cose più difficili. Col passare degli anni mi sono accorto che non era proprio il caso, che il cantare non è un qualcosa che deve essere misurato in termini di tecnica, di quanto uno riesce a fare cose complicate. Al contrario, una voce ti deve dare certe sensazioni, deve colpirti al cuore, anche se le sensazioni possono essere diverse, possono essere tristi, aggressive, però è sempre un qualcosa che rientra nel campo emotivo…
Col tempo ho imparato quali sono le gamme di tonalità, i punti in cui la mia voce suona meglio, ho lavorato molto anche con Victor su questo, sono riuscito a trovare quell’equilibrio ideale per cui posso farla rendere al meglio senza sforzarla troppo. Con questo album abbiamo fatto proprio così, abbiamo tenuto le linee vocali molto più rilassate, le abbiamo fatte aggrappare più ai sentimenti, una cosa che non avevo mai fatto molto prima… penso a dischi come “Secrets in the weird world”, allora l’unica cosa che la mia voce comunicava era stress (ride)!

Per finire: che cosa ricordi della data al Tradate Iron Festival di quest’estate?

Che è stata la prima in assoluto dopo l’incidente che ho avuto al braccio, e che temevo davvero di non poter più essere in grado di suonare il basso come prima! Fortunatamente le cose sono andate alla grande e adesso ho recuperato pienamente, anche se ho ancora una placca metallica nell’osso!

Intervista a cura di Luca Franceschini

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