Incontro con Yossi Sassi (Orphaned Land), il padre dell’Oriental Metal

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A pochi minuti dalla bella esibizione sul palco del PPM Fest, ho avuto la possibilità di incontrare il rilassatissimo e disponibilissimo Yossi Sassi, chitarrista degli Orphaned Land. Un ottimo musicista e un uomo profondo e rassicurante, devo dire: ne sono uscito quasi avessi parlato per una manciata di minuti con un guru o qualcosa di simile. Rinfrancato nello spirito, dunque, vi riporto il resoconto della nostra chiacchierata.

Ciao Yossi, è davvero un piacere conoscerti! Dunque, raccontaci subito come stanno andando i preparativi per il lancio del nuovo album, cosa dobbiamo aspettarci e cosa vi aspettate voi da questo nuovo disco!
Ciao, grazie mille davvero!
Come sempre, ci sarà qualcosa di simile ai precedenti (e mi riferisco alla linea Oriental Metal che comunque avrà uno spazio rilevante) ma anche qualche differenza. In questo caso, la musica sarà più comunicativa: gli arrangiamenti saranno più catchy e anche il suono sarà diverso. Abbiamo fatto il mixaggio in Svezia, è la prima volta che registriamo fuori da Israele, la differenza nel sound sarà notevole.
Gli ultimi due album hanno avuto un grandissimo successo. Quanto è difficile tornare in studio per provare a ripetere l’impresa?
Per me, come compositore principale della band, è un processo naturale, non ci trovo difficoltà. Io compongo continuamente, anche per me stesso. Porto la struttura delle canzoni e poi la sviluppiamo insieme, il processo di songwriting è sempre quello per noi e il tempo non mi fa rallentare. Amo davvero tanto suonare la chitarra e compongo continuamente…registro riff sul telefono, li tengo in mente finchè non ho la chitarra tra le mani, per me è davvero una cosa naturale.
Partiamo dal significato del titolo del prossimo album, All Is One, per arrivare alle lyrics, cosa ci puoi anticipare?
Il titolo spiega il concept: “Tutto è uguale, All Is One”. Non importa se tu credi in Dio, in Allah, in qualsiasi cosa: il credo è lo stesso, gli diamo solo nomi diversi. Non c’è motivo di odiare o pensar male di altri solo perché hanno un credo diverso dal proprio. Alla fine siamo tutti esseri umani e la musica è il linguaggio universale che ci deve unire, senza permettere che altre cose intervengano a separarci.
Vivete in uno Stato in costante stato di guerra…cosa pensi degli Stati che ancora oggi minacciano di farsi guerra invece di promuovere la pace?
La verità è che poche persone influenzano la vita di tante persone. In tutti i posti della Terra in cui ci sono guerre accade così. La maggior parte delle persone non è interessata alla guerra, anzi, vuole solo svegliarsi al mattino, andare al lavoro, pensare alla propria famiglia, suonare, cose così, cose semplici. Io credo e voglio credere che quello che cerco di fare con i miei progetti musicali possa aiutare il mondo a essere un posto migliore. Anche se il mio contributo è piccolissimo, io ne sono felice.
Pensi sia meglio un mondo senza religione o un mondo dove la religione porti solo messaggi positivi?
Ormai la religione è parte della vita di tante persone da centinaia di anni. Le persone hanno bisogno di credere in qualcosa, secondo me…qualcuno crede in dio, qualcuno nella propria moglie e nella propria famiglia, qualcuno nei propri averi. Abbiamo bisogno di qualcuno o qualcosa da ringraziare quando le cose vanno bene e con cui arrabbiarci quando vanno male. Non vedo come il mondo possa andare avanti senza credere in qualcosa. Ma questo è un aspetto positivo, mentre la religione è una cosa diversa. La religione esalta gli aspetti negativi, i rituali, le differenze, portando odio.
Pensi che la tecnologia di cui disponiamo oggi sia un bene o un male per la musica?
Penso che il mondo di oggi consenta agli artisti di essere enormemente creativi e di realizzare sempre più velocemente le proprie idee, ma allo stesso tempo l’artista oggi si sente perso e disperato, sempre per lo stesso motivo. La tecnologia ti porta velocità e possibilità di sperimentazione infinite. Quando ho iniziato io si registrava su cassetta e con i grandi mixer analogici, che ancora oggi amo. Oggi invece con un click fai tutto e quando tutto diventa più facile lo apprezzi di meno. È come con le donne…se devi conquistarle acquistano molto più fascino.
La musica è come una montagna sacra da scalare, ci vuole tempo, esperienza, errori, aiuto. Oggi invece hai una scala mobile che ti porta in cima. La tecnologia aiuta, anche io la utilizzo con buoni risultati, specialmente in pre produzione, ma le persone devono accettarla come aiuto, non come l’unica soluzione possibile. Il mondo in cui viviamo non è digitale, siamo carne e sangue, non siamo computer. E le onde sonore sono nell’aria, non sono digitali: quando registri in un computer o ascolti la musica con un PC parte del suono si perde irrimediabilmente.
Non vado contro l’evoluzione e lo sviluppo, solo cerco di non perdere l’esperienza acquisita e il gusto per il suono curato e registrato in una certa maniera.
Quanto è importante la dimensione live per gli Orphaned Land?
E’ davvero molto importante. Il nostro genere, l’Oriental Metal, è potente ma allo stesso tempo felice, coinvolgente, quindi non c’è niente di meglio che suonarlo dal vivo, davanti alla gente. Quello che ci interessa è riuscire a trasferire tutte le caratteristiche del nostro sound anche dal vivo, ed è il motivo per cui mi hai visto suonare con una doppia chitarra: la parte elettrica per riprodurre i suoni metal e quella acustica per riprodurre i suoni folk.
Ieri qui hanno suonato gli Avantasia…hai mai pensato a un simile progetto basato solo su musicisti o band mediorientali?
Certo, ci ho pensato, ma non come un supergruppo o cose del genere, ma come un grande festival con un sacco di Oriental Metal band. Il tour del 2011 era simile, ma mi piacerebbe fare una cosa molto più in grande. Anche perché oggi sono produttore e aiuto tante band con varie ospitate, quindi avrei davvero molti musicisti da coinvolgere. In generale sono sempre aperto a nuovi progetti e nuove esperienze musicali, mi rende felice ed è proprio il mio modo di essere.
Intervista a cura di Alessandro Quero

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