Rustless: eroi silenziosi (Steve Tessarin, guitars)

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Gruppo:Rustless

Forse i più giovani non hanno idea di cosa abbiano rappresentato i Vanadium per la generazione degli anni ’80. Furono la “vendetta” dei metallari contro i paninari, coloro che sdoganarono il genere anche in Italia, arrivando a calcare i palcoscenici dei vari Discoring (“Easy Way To Love” fu la sigla della trasmissione) ed affini, ovvero quelle trasmissioni che decidevano le sorti discografiche del Belpaese.
Altri tempi, altra storia, e soprattutto un successo su larga scala prima meritato, poi sfiorato, infine sfuggito proprio sul più bello, colpa soprattutto del fallimento della potente Durium, all’epoca casa discografica della band meneghina. Sette album da studio (tra cui capolavori assoluti come “A Race With The Devil”, “Game Over”, “Born To Fight” e “Seventheaven”), poi una lunga pausa fino al 1995, quando il quintetto si riunisce per registrare “Nel Cuore Del Caos” e tenta la “carta” della lingua madre.
Dopo il secondo scioglimento, il vocalist Pino Scotto inizia una carriera solista che dura tuttora, mentre Steve Tessarin (chitarra), Ruggero Zanolini (tastiere) e Domenico Prantera danno vita al cover-project Diumvana, grazie al quale effettuano per anni live gig a ripetizione.
Il tutto fino alla fondazione dei Rustless, band costruita attorno all’inossidabile duo Tessarin/Zanolini ed al rientrante drummer dei Vanadium Lio Mascheroni, che aveva seguito per diversi anni Pino Scotto nel suo “vagabondare” solista.
Oggi, dopo il primo cd “Start From The Past” (titolo piuttosto esplicativo), Steve Tessarin guida la propria ciurma verso i luminosi lidi del nuovissimo “Silent Scream”, un album che proietta definitivamente i Rustless nel gotha del panorama metal tricolore (e non solo).

Ciao Steve. Alla luce di "Silent Scream" e soprattutto del fatto che solo due song provengono dal repertorio Vanadium, si può secondo te affermare che questo è il primo, vero album "completo" dei Rustless?
Rispetto a “Start From The Past”, che considero una sorta di esperimento, si può dire che “Silent Scream” è effettivamente il primo vero album dei Rustless. Anche tenendo conto della produzione artistica che ho preso totalmente in carico, e del fatto che la formazione si è delineata proprio in questo disco.
L'album contiene influenze piuttosto varie, tra metal, hard rock classico e passaggi progressive, eppure il sound risulta compatto ed unitario. E' stato difficile incanalare tanta carne al fuoco in un'unica direzione, oppure si è trattato di un processo naturale?
Quando è partito tutto il processo di composizione, non pensavo affatto al genere o alle influenze che le canzoni potevano avere: la musica fluiva, semplicemente. Fortunatamente si è creato subito il giusto feeling tra di noi, perciò posso dire che non vi sono state forzature o intoppi nel convogliare tutti i nostri input musicali. Certo, a livello di tempo, è stato un lavoro faticoso, che ci ha visto impegnati addirittura un anno, tra scrittura, session di registrazione, arrangiamenti, scelta dei suoni e mixaggio finale. Colgo l’occasione per precisare che tutto è stato autoprodotto, utilizzando la strumentazione presente nei miei due studi.
Rispetto ai Vanadium, con i Rustless ti senti forse più libero di "esplorare", senza paura di "uscire dal seminato", se così si può dire?
Rispetto agli ultimi lavori dei Vanadium, risalenti ad una ventina d’anni fa, sono maturato sia come musicista che come compositore. Ora mi viene più naturale sperimentare nuove sonorità, arrangiamenti inediti. Probabilmente l’esperienza accumulata e l’età hanno ampliato di molto la mia visione artistica. Anche l’avventura con il progetto Diumvana, vista in maniera negativa da alcuni vecchi fan, è stata molto utile per riscoprire vari generi, tra cui il prog, il funky ed il rhythm & blues.
A mio parere, anche la decisione di passare ad una sola voce ha contribuito a compattare il sound ed a renderlo più personale. Come siete arrivati alla decisione di utilizzare Roberto Zari come unico frontman del gruppo?
Dopo l’esperimento di “Start From The Past”, io, Ruggero e Lio abbiamo optato per tornare alla classica formazione ad una sola voce. Questa decisione è maturata per svariati motivi: uno dei più importanti è quello della dedizione al progetto Rustless. Lisy è molto impegnata anche in altre situazioni, e questo influiva inevitabilmente sul nostro lavoro. Ciò non toglie che si tratta di una cantante promettente, a cui auguro tutto il bene possibile per il proseguimento della sua carriera artistica. Nella valutazione finale, è contato ovviamente il fatto che la voce di Roberto si sposa meglio con il nostro sound.
Secondo te, tutti gli anni passati lontano dalla scena dopo il secondo scioglimento dei Vanadium, in cui tu e Ruggero vi siete esibiti moltissimo come cover band, hanno contribuito ad arricchire il vostro stile, magari arricchendolo di influenze inedite?
Il progetto Diumvana ha visto il coinvolgimento, per i primi quattro anni, anche di un altro componente dei Vanadium, il bassista Domenico Prantera. Ci tengo a precisarlo proprio perché è stato fondato da noi tre. Come poi ti ho anticipato prima, quell’esperienza è stata molto importante per il nostro sviluppo ed arricchimento musicale. Senza contare il lato economico, che non guasta mai.
Steve, mi sembra che il tuo modo di suonare sia diventato più “ridondante”, se mi passi il termine. Mi sbaglio?
Hai indovinato! Per questo album mi sono preso tutto il tempo necessario per sviluppare i brani. Oltre alle mie parti, ho lavorato in modo minuzioso, ed a stretto contatto, con tutti gli altri componenti della band, proprio al fine di ottenere il risultato migliore nelle rispettive performance. Ho utilizzato anche strumentazioni vintage di pregio, come una Gibson acustica Hummingbird del 1970: me la sono goduta come un matto nel brano “Weird Game”!
Roberto Zari è un vocalist molto tecnico, che punta decisamente sul vibrato. Praticamente l’opposto rispetto a Pino Scotto. Ti chiedo da un punto di vista strettamente pratico, senza quindi alcun intento di scatenare polemiche, se è stato difficile passare da un approccio all’altro.
Con tutto il rispetto che ho per Pino, che saluto ed al quale auguro di continuare la sua carriera solista e di opinionista il più a lungo possibile, vorrei parlare di Roberto Zari. La prima volta che incontrai Roberto fu nel 1997, prima del progetto Diumvana. Lo scoprì Prantera, grazie ad una musicassetta in cui Roberto cantava delle cover dei Led Zeppelin. Abbiamo poi svolto alcune session di prova, ma purtroppo non abbiamo concretizzato nulla a livello discografico. Quando abbiamo cominciato le audizioni per il posto di cantante nei Rustless, abbiamo ripreso i contatti con lui, e finalmente la nostra collaborazione è andata in porto! La scoperta delle qualità vocali di Roby è avvenuta pian piano, durante le moltissime prove di stesura delle melodie. Mi ha sorpreso per il suo range molto esteso, che calzava perfettamente alle mie composizioni, poi devo dire che si è pure adattato perfettamente ai vecchi brani dei Vanadium. Oltre a questo, Roberto è anche un ottimo autore di testi, e la sua pronuncia dell’inglese è decisamente curata. A differenza della concezione che si ha nell’immaginario collettivo del cantante rock/metal, fatta di eccessi, droga, alcol, fumo e quant’altro, Roberto è un ragazzo che ha capito bene l’importanza dello “strumento” voce, vale a dire studio, cura e dedizione. Questa dovrebbe essere la regola di ogni vero professionista, a maggior ragione per un cantante che deve badare all’usura delle proprie corde vocali. Sai, nella chitarra le corde si cambiano, ma la stessa cosa non vale per l’ugola. Come ben sai, abbiamo tanti esempi di grandi vocalist della storia del rock che, arrivati ad una certa età, in studio continuano a cantare benissimo grazie all’ausilio della tecnologia, mentre in sede live si ritrovano con le corde vocali a pezzi dopo soli tre pezzi. Rispondendo quindi alla tua domanda, l’approccio è stato del tutto naturale e privo di “traumi”.
Ho letto che giudichi "Nel Cuore Del Caos" un errore, soprattutto perchè fu cantato in italiano. Credi quindi che la lingua universale del rock sia l'inglese e che non ti sentiremo mai più in un contesto "italiano"?
Secondo me “Nel Cuore Del Caos” è partito senza i presupposti e gli stimoli giusti. Non ho nulla in contrario all’utilizzo della lingua italiana nel rock, l’importante è avere dei testi all’altezza della situazione. Valutando col senno di poi l’ultimo lavoro dei Vanadium, devo dire che il punto debole era proprio legato ai testi un po’ ingenui.
Rimanendo in zona Vanadium, mi piacerebbe registrare qualche tuo ricordo legato ad ogni album da studio. Iniziamo ovviamente con “Metal Rock”
Avevo diciotto anni, ed ero pieno di energia! Come ora d’altronde… Entrare in studio così giovane e fare un album fu un’emozione indescrivibile. Peccato per il servizio militare, che mi impedì di andare in tour con Alvin Lee. Ringrazio Gegè Reitano, il nostro primo produttore, che credette in noi!
“A Race With The Devil”
Forse questo fu il primo vero album dei Vanadium, quello che indirizzò il nostro stile e che ci aprì le porte della televisione grazie al brano “Don’t Be Looking Back”.
“Game Over”
Un ottimo album, che ha fatto registrare vendite decisamente importanti e che fu supportato da un lungo tour, dal quale scaturì l’idea di pubblicare il disco dal vivo “Live On Streets Of Danger”.
“Born To Fight”
Per quanto mi riguarda, questo è il 33 giri più completo, quello che ha avuto anche la produzione migliore. Indimenticabile la trasferta a Londra ed il lavoro svolto assieme al celebre Lou Austin. “Born To Fight” è il disco più venduto dei Vanadium.
“Corruption Of Innocence”
Un lavoro che non rispecchia il nostro sound, nel quale virammo su sonorità glam metal che poco ci appartenevano. Un album un po’ insipido.
“Seventheaven”
Dopo due anni di stop, dovuti al fallimento della Durium, trovammo un’etichetta minore per realizzare questo album. Nonostante un budget decisamente risicato, riconosco tuttora alla Green Line il grande merito di averci fatto lavorare con un altro noto producer inglese, ovvero Guy Bidmead. “Seventheaven” è un disco con tendenze AOR, ma purtroppo gli anni ’80 stavano per finire e, con loro, il successo del metal italiano.
Pochi lo ricordano, ma all’inizio della carriera tu suonasti assieme al mitico Alberto Camerini, girando l’Italia in lungo ed in largo. Che ricordi hai di quel periodo?
Avevo sedici anni a quell’epoca, ci pensi? Dopo il concerto tenuto all’Arena di Milano in onore di Demetrio Stratos nell’aprile del 1979, fui notato da Camerini che, in quel periodo, stava assemblando la band per il suo tour. Alberto era influenzato dal punk rock, perciò non devi pensare all’autore di “Rock’n’Roll Robot”, ma ad un rocker scatenato! Tengo poi a precisare che lui è un ottimo chitarrista, e mi ha insegnato pure diversi trucchi del mestiere. Abbiamo avuto un bel rapporto di amicizia e, dopo trent’anni, mi è capitato di rivederlo un paio d’anni fa. Per l’occasione, mi ha anche dedicato una canzone!
“Start From The Past” ha venduto piuttosto bene, il singolo “Sand Of Times” è entrato pure nella classifica dei singoli più venduti, eppure non avete fatto molte date dal vivo. Pensi che “Silent Scream” possa segnare una svolta anche in sede live?
Speriamo! Purtroppo l’ambiente live è popolato da personaggi strani che non vogliono intrusi nel loro orticello. Siamo stati un po’ osteggiati, tuttavia speriamo che il vento cambi, anche se noi puntiamo più al mercato estero che a quello italiano. Si vedrà…
Intervista a cura di Alessandro Ariatti

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