Dark Tranquillity (Mikael Stanne, vocals)

Due anni dopo il valido “Character”, gli inarrestabili svedesi ci riprovano con “Fiction”, un disco solido e maturo che non mancherà di soddisfare i numerosi fans della band. Abbiamo fatto il punto della situazione con Mikael Stanne, il cantante dei Dark Tranquillity, come sempre molto disponibile e prodigo di informazioni riguardo al gruppo, al nuovo disco e al prossimo tour.

Come consideri “Fiction” rispetto al suo immediato predecessore, “Character”?
“Credo che questo nuovo album sia sicuramente meglio ‘focalizzato’ rispetto a ‘Character’. Quando abbiamo iniziato a scrivere i nuovi brani abbiamo discusso fra di noi, cercando di capire cosa avremmo dovuto fare o meno a questo punto. Fra le altre cose, ci siamo trovati d’accordo sul fatto che avremmo voluto evitare di appesantire le canzoni con decine di elementi diversi fra di loro. Non volevamo, insomma, ritrovarci a mettere tonnellate di spunti in un solo brano, solo per renderlo interessante; in fondo non ne abbiamo bisogno, penso sia più sensato puntare di più sul feeling e sul tema portante di un determinato pezzo. Quindi, invece di comporre canzoni piene di riff diversi, ci siamo concentrati su ciò che effettivamente fa di un brano un buon brano. In altre parole, volevamo far sì che le canzoni fossero individualmente interessanti e che si reggessero in piedi da sole, senza dover essere solo una parte di un insieme caotico. Abbiamo anche provato ad essere più aperti mentalmente e di considerare qualsiasi tipo di idea, purché ovviamente fosse buona: quando componevamo, se sentivamo la necessità di inserire un lungo passaggio strumentale, oppure parti vocali pulite, o ancora una parte col blast beat [il velocissimo stile di batteria tipico del black metal, Nda], li provavamo senza farci dei problemi.”

Fra i brani di “Fiction” ho apprezzato particolarmente “The Lesser Faith”, che a mio modesto parere potrebbe sembrare un ideale punto d’incontro fra le sonorità di “The Gallery” e quelle di “Projector”. Che ne pensi?
“Si tratta di uno dei miei pezzi preferiti sull’album, sostanzialmente potrei essere d’accordo con la tua interpretazione. In effetti, per certi versi, abbiamo sperimentato delle nuove soluzioni in maniera piuttosto simile a quanto avevamo fatto su ‘Projector’. Desideravamo esprimere emozioni differenti in ogni canzone, offrire una più ampia varietà, ma allo stesso tempo mantenere l’energia e l’intensità che ci ha sempre contraddistinto e che negli ultimi dischi era tornata ad essere protagonista.”

Proprio riguardo a “Projector”, che a seconda dei casi è considerato sia il vostro album peggiore che quello migliore, quali sono i tuoi pensieri al riguardo, ora che sono passati otto anni dalla sua pubblicazione?
“Vedi, il motivo per cui quel disco è risultato talmente particolare e diverso rispetto ai precedenti, è proprio il fatto che abbiamo sentito il bisogno di cambiare qualcosa, di progredire rispetto a quanto prodotto prima. So bene che c’è gente che lo adora, così come ce n’è altra che lo detesta, ma va bene così: questo, infatti, significa che c’è stata una reazione da parte dei fans a ‘Projector’ e quindi che, in un modo o nell’altro, abbiamo colto nel segno. Sarebbe stato molto peggio se fossero rimasti tutti indifferenti! Si tratta di un disco che va assimilato un po’ per volta, tanto è vero che molti di quelli che lo odiavano quando è stato pubblicato, oggi hanno cambiato idea, almeno in parte. Ed è altrettanto vero che, se non fosse stato per ‘Projector’, gli album successivi ad esso sarebbero stati molto diversi, probabilmente non saremmo stati in grado di progredire ulteriormente, se prima non fossimo passati per quell’importante capitolo.”

Una caratteristica, a mio parere decisiva, degli ultimi due dischi (“Character” e lo stesso “Fiction”) è invece il ruolo giocato dalle tastiere e dagli effetti elettronici, ormai perfettamente integrati nel vostro sound…
“Certo, è assolutamente vero. Il lavoro di Martin [Brändström, Nda] in questo senso è stato fondamentale, poiché ha sempre utilizzato le tastiere come uno strumento solista e non solo come un sottofondo. Non si tratta, in sostanza, di un semplice arricchimento delle melodie suonate dalle chitarre, ma di uno strumento in grado di assumere spesso il ruolo più importante nell’economia di una canzone. Inoltre, Martin non si limita alle tastiere, ma ha introdotto nel nostro sound diversi nuovi suoni ed effetti, che si sono rivelati perfetti per definire meglio il nostro stile su questo disco. Per quanto mi riguarda, ne sono estremamente soddisfatto e ritengo che Martin abbia fatto davvero miracoli, integrando il suo sound nel nostro. Ormai siamo arrivati ad un punto in cui non potremmo esistere senza di lui, tanto che i brani vengono direttamente composti con le tastiere in mente.”

La copertina di “Fiction” è anch’essa piuttosto diversa da quelle dei vecchi dischi, è molto semplice, oseremmo dire quasi desolata. Cosa ci puoi dire al riguardo?
“Intanto ti dico che la versione finita della copertina sarà esattamente la stessa delle copie promozionali del cd, ad eccezione dell’edizione limitata: questa sarà infatti accompagnata da un booklet di 20 pagine, pieno zeppo di roba, ed è anche probabile che la copertina stessa sarà un po’ diversa. Sempre riguardo all’edizione limitata, ne approfitto per annunciare che conterrà anche il video di ‘Focus Shift’ e delle riprese effettuate in sala prove, più altre chicche interessanti. Penso che si tratti di una confezione molto interessante per i fans. Tornando alla copertina, io la trovo fantastica, è come sempre opera di Niklas [Sundin, chitarrista. Nda] ed è sicuramente diversa da quella di tanti altri dischi che si trovano nei negozi: questa volta volevamo un’immagine che rispecchiasse la realtà, in un certo senso, andando quindi a contrastare fortemente col titolo dell’album, che invece richiama qualcosa di immaginario. Sulla copertina di ‘Fiction’, alla fine, quello che si vede è una delle più semplici e basilari immagini della realtà di tutti i giorni.”

Cosa ci dici invece dei testi? I titoli delle canzoni sembrano trattare temi abbastanza dark…
“Così come per le parti musicali, volevo che ogni testo avesse una propria identità, senza quindi dover seguire un determinato tema che li unisse. Volevo anche allontanarmi un po’ da quelle tematiche personali che ho affrontato negli ultimi anni, anche per permettermi di rinnovare, almeno in parte, il mio punto di vista su certe cose. Alla fine, ho scritto non più di me stesso, ma di una versione esagerata di me stesso: ho creato, insomma, un piccolo ‘mostro’ su cui riversare tutti i miei pensieri peggiori. In un brano come ‘The Lesser Faith’, per esempio, parlo con odio di quelle persone che credono ciecamente in qualcosa che chiaramente non esiste e di come vivono all’ombra dei pensieri e dei piani di qualcun altro. Ho creato qualcuno pieno di rabbia e odio, cosa che non sono io personalmente, ma che mi permette di affrontare certi discorsi da un punto di vista estremo e diverso. E’ in sostanza una brutta versione di me stesso, che però mi ha dato grande libertà di espressione.”

Da come ne parli, sembra quasi che, per te, scrivere i testi costituisca una sorta di terapia.
“In un certo senso sì, perché gli argomenti di cui scrivo sono solitamente quelli che mi mettono più a disagio, cose magari troppo dolorose o difficili da descrivere normalmente. Spesso si tratta di argomenti talmente particolari che nessuno, a parte me, potrebbe capire cosa realmente io voglia intendere, ma alla fine mi è molto utile parlarne perché così riesco ad espellere certi pensieri dal mio ‘sistema’ e sono in grado di sfogarmi, urlando i miei sentimenti per anni interi. E’ fantastico!”

Questo è forse il motivo per cui hai nuovamente indurito il tuo stile vocale negli ultimi anni?
“Può essere! Può essere uno dei motivi che mi hanno portato a riprendere un certo modo di cantare, a parte forse quello di diventare sempre più vecchio e arrabbiato! O forse, si tratta solo della volontà di definire meglio il mio stile e la mia tecnica… Non saprei dirlo con esattezza.”

Se mi permetti di fare un complimento a te e alla band, direi che sei uno dei pochi cantanti “estremi” che riesce ogni volta a comunicare delle sensazioni diverse con la propria voce. A differenza di altri che si limitano a urlare per il gusto di farlo, ascoltando i Dark Tranquillity si riesce in qualche modo a “sentire” ciò che vuoi dire coi tuoi testi.
“Ti ringrazio tantissimo, questo vuol dire che in fondo sto facendo qualcosa di buono! Sinceramente questo è lo stile vocale che apprezzo di più, quando ascolto un disco o sono ad un concerto, voglio poter sentire, capire ciò che viene comunicato, anche se magari i testi non vogliono dire nulla. Se c’è la passione, se c’è un sentimento dietro a una canzone, allora si può lo stesso comunicare qualcosa alla gente, e questo è qualcosa di incredibilmente importante per me. Altrimenti, in tutta onestà non capisco che senso abbia cantare se non si ha niente da dire… e non lo intendo solo in termini di parole, ma anche e soprattutto di espressione: a volte senti il bisogno di cantare anche senza parole, per esprimerti con certi toni, timbri o anche solo rumore! Ci sono momenti in cui si ha davvero bisogno di urlare, credo che ogni persona su questo pianeta ne abbia sentito la necessità, almeno una volta nella vita. Per quanto mi riguarda, inizio a cantare di mattina sotto la doccia, per poi andare in sala prove a urlare con la band, poi a casa delle volte con mia figlia e ascolto sempre musica prima di dormire. La musica fa sempre parte della mia vita, in ogni momento.”

Sei diventato padre da poco, visto che tua figlia ha solo tre anni: questo ha in qualche modo cambiato l’approccio che hai nei confronti della musica?
“Ha sicuramente cambiato il modo in cui scrivo i testi. Ci sono stati molti cambiamenti nella mia vita, da quando lei è nata: nuove responsabilità, nuove cose di cui aver paura… Sono diventato molto protettivo nei suoi confronti e conseguentemente ho scoperto nuove preoccupazioni. Questo ha senza dubbio influito sui testi dell’album, e anche se non parlo specificamente della mia situazione personale, è comunque qualcosa che occupa costantemente i miei pensieri, dovunque sia e qualunque cosa stia facendo.”

Ora che avete una discografia abbastanza corposa, come scegliete di volta in volta i pezzi da presentare dal vivo?
“Oh, è un incubo, te l’assicuro! Però penso che siamo riusciti a mettere insieme una scaletta che potrà soddisfare i nostri fans, anche se ovviamente non è stato facile. Durante il tour iniziale in America sperimenteremo qualche variazione, come brani d’apertura e di chiusura diversi, così da valutare un po’ la reazione del pubblico. Alla fine, porteremo in Europa la combinazione che avrà raccolto maggiori consensi, così da rendere il tutto ancora più interessante. Parteciperemo per prima cosa ai vari festival estivi, per poi iniziare il tour europeo vero e proprio, verso settembre. “

Pensando a brani molto vecchi, come “Bolt Of Blazing Gold”, “Through Ebony Archways” o “Mine Is The Grandeur Of Melancholy Burning”, ciò che avevano in comune era un’atmosfera molto particolare e melodica: pensi che sarebbe interessante riproporli oggi, con l’apporto delle tastiere?
“In effetti lo sarebbe, ogni tanto ne parliamo e in qualche occasione abbiamo anche suonato ‘Bolt Of Blazing Gold’, un paio di tour fa. Però, purtroppo, siamo dell’idea che non abbia funzionato molto… Voglio dire, non è stato facile integrare una canzone del genere nel nostro set, semplicemente non suonava come avremmo voluto. Ciò nonostante, è probabile che alcuni di quei brani possano essere ancora validi da suonare dal vivo, forse dobbiamo solo provarli un po’ di più, non so. Vedremo…”

Avendovi visti sia durante i festival che in locali molto piccoli, ti chiedo a questo punto qual è la dimensione live che preferisci fra le due.
“Sono certamente due realtà molto diverse fra loro. Amo i grandi festival, perché ci permettono di raggiungere un pubblico molto più vasto del solito, inoltre è bello avere a disposizione uno di quei palchi enormi su cui correre avanti e indietro! Al di là di questo, comunque, mi piace molto anche l’intimità che solo un piccolo club ti può dare: quella è la situazione ideale per essere vicini al pubblico e prenderlo letteralmente per la gola col nostro show. In definitiva, mi trovo a mio agio in entrambi i contesti e sono felice di avere l’opportunità di suonare dal vivo in circostanze diverse, ma sempre e comunque belle.”

Cosa ti aspetti da “Fiction” e dal tour che ne seguirà?
“Sinceramente spero che saremo in grado di suonare in ogni nazione possibile, vogliamo fare in modo che nessuno possa perdere un nostro concerto, dare a tutti i nostri fans sparsi per il mondo la possibilità di venirci a vedere e di ascoltare il nuovo album. Siamo fieri di ‘Fiction’, crediamo di avere realizzato un disco fantastico e vogliamo che tutti possano ascoltarlo. Non ci fermeremo finché la nostra missione sarà compiuta, continueremo a fare dischi e tour finché ne avremo forza!”

Intervista a cura di Michele 'Freeagle' Marando

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