Dragonforce (Herman Li, guitars)

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“Sonic Firestorm” rappresenta il vostro secondo album uscito a breve distanza dal suo predecessore ed esordio “Valley Of The Damned” di poco più di un anno fa, cominciamo parlando proprio di questa nuova uscita…
Partendo dal titolo dell’album, “Sonic Firestorm”, lo abbiamo deciso non prendendolo da una canzone in esso contenuta, come spesso accade quando si decide che titolo dare ad un disco, bensì abbiamo pensato che fosse un’immagine rappresentativa di quello che il disco è in grado di trasmettere durante l’ascolto, qualcosa che ti suscita forti emozioni, che ti esalta.
Rispetto al primo album possiamo dire che ci sia stata una certa evoluzione, a partire dal fatto che i brani del debutto erano stati scritti anche 2 anni prima della data della sua effettiva pubblicazione. Nel nuovo lavoro invece il percorso che ci ha portato alla sua stesura e registrazione è stato più immediato portando così ad un risultato più omogeneo; in esso abbiamo cercato di unire gli spunti migliori del precedente lavoro assieme a tutti gli aspetti e le sonorità che più ci piacciono dei vari stili di metal che più ascoltiamo. Stesso discorso era già stato affrontato nel primo album, dove influenze power venivano mischiate con altre prog o addirittura death, ma il discorso era limitato ad un paio di episodi soltanto; tutto il nuovo album invece è stato scritto in questa ottica, non però prendendo un po’ qua e un po’ là mischiando il tutto alla bene meglio, ma cercando di miscelare e dosare nella giusta maniera tutte le diverse influenze che abbiamo.

Dal punto di vista delle lyrics invece cosa mi puoi dire?
Ogni traccia rappresenta un concept a sé stante, senza che ci sia una storia alla base da seguire e da sviluppare attraverso le singole song. In questo modo abbiamo lasciato che sia l’ascoltatore ad interpretare e fare sua ogni canzone nel modo in cui queste vengono presentate sul disco. Credo che sia decisamente più interessante rispetto al normale concept che il più delle volte corrisponde nient’altro che alla lettura di un libro.

Sul nuovo lavoro presentate un nuovo batterista, David Makintosh (Bal Sagoth), cosa è successo col vecchio batterista e come siete arrivati alla scelta di Dave, il quale con la sua altra band si cimenta con un sound decisamente diverso da quello dei Dragonforce?
Fondamentalmente il nostro vecchio batterista preferiva il solo aspetto speed della nostra musica e non apprezzava più di tanto le altri componenti che ci caratterizzano; la sua nuova band infatti, a quanto ne sappia io, è molto più sul thrash rispetto che il power. Dopo averci mollato, tra l’altro poco prima di una serie di concerti, il problema più grosso era quello non di trovare un batterista e basta, ma che fosse in grado di suonare i nuovi brani così come noi li avevamo in mente e come venivano scritti. Nel giro di due anni le canzoni si sono evolute e avevamo bisogno di qualcuno che fosse in grado di suonare tutte le diverse influenze che li caratterizzano e delle quali parlavo prima, dal thrash al power, dal black al death. Dave dei Bal Sagoth si è rivelata essere la persona giusta per rivestire questo ruolo, anche se suona in una black metal band. Infatti ascolta e ama suonare dai Rush, ai Dream Theater agli Helloween, quindi non poteva che essere lui la persona più adatta per suonare con noi.

Passando alle registrazioni del nuovo album, dove si sono tenute e quanto tempo vi hanno tenuti impegnati?
Dopo la registrazione del primo album ci siamo accorti, guardando ai pezzi che sarebbero comparsi sul successivo, che non saremmo mai stati in grado col nostro budget di portare a termine una registrazione completa con tutte le differenti parti e i differenti aspetti musicali presenti in esse. Per ovviare a questo problema abbiamo lavorato per 2 mesi e mezzo in due studios contemporaneamente, arrivando comunque a non dormire per giorni o quando andava bene, al massimo 2 ore per notte e poi svegliarsi di colpo per portare a termine il lavoro interrotto.
Alla fine siamo molto contenti per quel che riguarda la produzione, soprattutto tenendo conto del fatto che, essendo una band giovane, non potevamo disporre di un budget elevato.

È passato oramai un anno abbondante dal vostro esordio, cosa è successo in questi 12 mesi e come è cambiata la vostra vita dopo questa uscita?
Al momento stiamo ancora promuovendo quel disco, per quel che riguarda i concerti che facciamo in giro per l’Europa; è stato un periodo di tempo molto impegnativo per noi nel quale ci siamo trovati spesso lontani da casa tra un concerto e l’altro e una volta finito con l’attività live verso dicembre siamo subito entrati in studio per registrare questo nuovo album.
È sempre una sorpresa quando ti trovi a dover affrontare una situazione nuova come questa, all’inizio la cosa più importante è sperare che il tuo lavoro possa piacere alla tua etichetta, a chi ha creduto in te, quindi c’è sempre un po’ di attesa per vedere quale possa essere la loro reazione. E per fortuna è andato tutto bene finora!

Quale è stata invece la reazione, più importante a mio avviso, della gente, dei fan, dopo l’uscita del primo album? Vista la forte inflazione di power metal bands sul mercato, quanto è difficile riuscire a far sentire la propria voce e convincere gli ascoltatori di avere qualcosa di buono da offrire?
Da questo punto di vista siamo stati in parte avvantaggiati dal fatto che prima dell’uscita del debutto il nome Dragonforce era già in circolazione da un paio di anni, in particolare via internet dove era possibile trovare facilmente il nostro demo. Molte recensioni dello stesso sono state molto positive e ci hanno fatto capire quanto il nostro sound potesse essere apprezzato dopo una possibile uscita ufficiale. Le previsioni non sono poi state smentite infatti dopo l’uscita, la quale è stata ben accolta un po’ ovunque, anche in paesi dove non ci saremmo mai aspettati, come ad esempio il Giappone.

Credi che la tua band continuerà sempre su queste coordinate power speed metal o non escludi la possibilità in futuro di un cambio di direzione verso altri territori musicali?
Credo che in un certo senso la denominazione “power metal” sia attribuibile a partire dal cantato, forse il tratto che maggiormente contraddistingue questo genere musicale, mentre per la batteria, ad esempio, può benissimo stare anche in altri generi, come il death, così come è nel power. Questo soprattutto per quel che riguarda la musica dei Dragonforce, anche perché noi cerchiamo di inserire tutte le influenze derivanti dai nostri numerosi ascolti, dal metal al rock, in un unico stile: il fatto che ci piaccia il death, il thrash, l’heavy classico si riflette nell’esigenza di suonare un po’ di tutti questi generi all’interno della nostra musica che quindi non finirà mai per stancarci e con la quale credo andremo avanti ancora a lungo.

Parliamo un po’ dei vostri concerti, dato che prima mi accennavi al fatto che puntate spesso sull’impatto e l’immediatezza dei vostri show offrendo il tutto per tutto ogni volta che siete su un palco…
Quando si suona una musica molto veloce come la nostra, o come in molti altri generi che ho fin qui menzionato, capita troppo spesso di vedere la band inchiodata sul palco col cantante come l’unico elemento che si concede qualche movimento in più rispetto agli altri. Per quello che ci riguarda è tutto l’opposto, quando siamo noi sul palco è il caos! Ognuno che corre da una parte all’altra del palco o che salta come un pazzo sulle spie o lungo il palco; è perché sappiamo bene cosa la gente vuole vedere e come vuole divertirsi ad un concerto che cerchiamo di fare lo stesso che vorremmo vedere noi, senza contare che la cosa ci diverte anche un sacco! È importante per noi mostrare che ogni singola nota suonata ha un certo significato che vogliamo trasmettere anche fisicamente. Siamo cresciuti con gli show degli Iron Maiden i quali ancora oggi non stanno fermi un attimo sul palco ed è quello che anche noi nel nostro piccolo cerchiamo di fare; la gente reagisce con molto stupore ai nostri show perché non è più abituata a vedere tanto casino sul palco!

Parliamo un po’ del tuo strumento, la chitarra; quando hai cominciato a suonarla e quali sono sempre stati i tuoi maggiori ispiratori?
Ho cominciato a suonare abbastanza tardi rispetto agli altri ragazzi della band, avevo 16 anni e grazie ad un amico mi sono interessato e ho cominciato a suonare questo strumento.
Come influenze sicuramente citerei i tutti più grandi nomi di guitar heroes che possono venire in mentre, Steve Vai, Joe Satriani o Tony McAlpine, ma anche altri musicisti come Chuck Schuldiner oppure l’intera scena thrash metal dai Metallica in avanti. Questo per dire che non mi sento influenzato da soli chitarristi solisti, ma anche la parte ritmica di questo strumento ha per me un ruolo molto importante. Alla fine quando suoni passi più tempo a suonare ritmiche piuttosto che assoli, e spesso ci si dimentica di citare questo aspetto finendo sempre a parlare unicamente di assoli!
Molte influenze, potrà sembrare strano, provengono dalla computer games music, molti arrangiamenti o anche particolari suoni che usiamo risalgono a questa forma musicale.

Nello specifico, che chitarra utilizzi e preferisci e, in generale, cosa puoi dirci della tua strumentazione?
Principalmente sia in studio che dal vivo preferisco chitarre Ibanez, in studio posso disporre di almeno 5/6 chitarre da poter alternare a seconda delle esigenze in ogni pezzo, ad esempio uso a volte chitarre a 7 corde o con un’accordatura diversa da pezzo a pezzo. Dal vivo invece il problema principale è passare da un suono all’altro nella maniera più veloce possibile per poterti adeguare al sound del pezzo che stai suonando, in questo caso collego tutto via midi e posso così permettermi con un solo movimento di cambiare e adattare il mio sound a ogni circostanza. L’unica cosa che cambierò nel prossimo tour sarà quella di usare due pedaliere poste a entrambi i lati del palco per evitare di correre come un matto ogni volta alla mia postazione per cambiare preset!

Quali sono i prossimi appuntamenti promozionali per la vostra band dopo l’uscita dell’album e il tour in Giappone?
Per quel che mi riguarda sarò a Taiwan per un paio di guitar clinic, poi torneremo a Londra per finire il tour di “Valley Of The Damned” presentando anche qualche nuova song, mentre un vero tour non è al momento stato ancora programmato. Negli ultimi 3 anni abbiamo suonato dal vivo sempre le stesse canzoni, quelle dei demo all’inizio e poi quelle del debut (con alcune tracce dei primi finite poi sul secondo). Quindi è comprensibile che ora abbiamo molta voglia di suonare qualcosa di nuovo, ovvero il materiale del nuovo album, per questo speriamo proprio di raggiungere un accordo per un prossimo tour.
In tal caso ci piacerebbe molto e faremo il possibile per venire anche in Italia, è un must!

Al giorno d’oggi ci sono molte band giovani che suonano più o meno la vostra stessa musica, quali formazioni apprezzi maggiormente della scena contemporanea?
Al fianco dei classici ascolti del passato, per quel che riguarda la nuova scena ultimamente ho ascoltato e apprezzato i Last Tribe, credo siano svedesi, e mi sono piaciuti davvero molto, più qualche altro gruppo prog del quale al momento mi sfugge il nome!
Ho apprezzato davvero tantissimo l’ultimo DVD di Steve Vai invece, impressionante.
Altro non ti saprei dire, per il fatto che durante le registrazioni non hai mai il tempo per ascoltare altro al di fuori di quello che stai registrando…

Cosa ne pensi di questa vita divisa tra lo studio di registrazione, i continui spostamenti, i tour…
È una cosa bellissima, è come una continua vacanza che ti permette di girare un sacco di posti diversi, conoscere nuova gente e arrivare in paesi dove forse non saresti mai stato senza questa enorme possibilità.

È questo ciò di cui vivi oppure hai il tuo vero lavoro che ti permette di mantenerti?
Ultimamente non ho avuto la possibilità di lavorare molto; 2 mesi in studio per registrare e ora come minimo altre 5 settimane per l’attività promozionale prima in Asia e poi di nuovo qui in Europa. Non posso dire comunque che sia la musica a darmi da vivere per il momento, anche se mi da l’opportunità di divertirmi un sacco e di darmi tutti i vantaggi di cui dicevo.

Intervista a cura di Marco 'Mark' Negonda

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