Luca Zabbini: Free As A Bird

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E così, anche per Luca Zabbini - mastermind dei Barock Project - è arrivato il momento del primo album solista. Ce ne parla a ruota libera lui stesso, non senza sorprendenti rivelazioni…

Ciao Luca e bentornato! Cosa ti ha convinto a pubblicare un album solista?
Ci sono diversi motivi. Uno su tutti è stata la decisione di pubblicare quella categoria di brani che scrivo da ormai vent’anni e che rimangono sempre nel cassetto. Sono quelli che non indirizzo all’uso per i Barock Project e che dunque non sarebbero idonei per quel progetto. Purtroppo fare dischi con la band è sempre un parto difficile, specialmente per riuscire a trovare gli altri ragazzi liberi dagli impegni. E così, complici l’arrivo della pandemia e del lockdown, mi sono detto “ma perché non registrarmi un disco tutto da solo?”. Mi sarei potuto arrangiare, organizzandomi le tempistiche a mio piacere e senza dover penare più di tanto.
Il titolo “One”, nella sua semplicità, si presta a diverse letture o sbaglio?
È il primo disco che faccio uscire come solista, dove c’è una sola persona che suona tutti gli strumenti e canta. La prima cosa che mi è venuta in mente e che fosse la più semplice è stata proprio “One”.
I brani spaziano tra diversi generi, dal pop al folk, passando per la musica da camera e il blues: quali ascolti hanno maggiormente influenzato le composizioni?
Sono sempre stato abituato ad ascoltare di tutto sin da bambino, complici i miei familiari. Nella mia vita ho avuto ed ho, come tutti, i periodi e le fasi nelle quali ascolto prevalentemente determinati artisti. Per citarne alcuni i Beatles, Elton John, Eric Clapton, Billy Joel, Cat Stevens, i Queen, ma anche Earth Wind & Fire, i Weather Report, ELP, Jethro Tull, ecc… Per questo disco ho voluto recitare delle parti, un po’ come entrare nei panni degli artisti che amo di più, in primis Paul McCartney. Scrivere musica per me è come fare l’attore: mi piace immedesimarmi ogni volta in ruoli diversi e mettermi alla prova.

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Parliamo dei testi, so che ti sei fatto aiutare…
Ho dei grossi limiti come autore di testi. Forse è questione di abitudine e manualità, ho davvero poca fantasia con le parole. Negli anni sono sempre stato parecchio frustrato dal fatto di non avere nessuno che scrivesse le parole all’altezza della musica, così come è stato durante i primi anni dei Barock Project. Nel 2015 ho avuto la fortuna di incontrare Antonio De Sarno e successivamente Giorgio Franceschetti, con i quali è nata una bellissima collaborazione. Con loro riesco ad occuparmi della musica in totale serenità, sicuro che avrò sempre il loro lavoro totalmente all’altezza.
Come già successo per “Detachment”, hai preso ancora un volta in mano il microfono: preferisci suonare o cantare? Sempre che esista una risposta!
Sarò onesto: io odio cantare. Quando venticinque anni fa misi in piedi il mio primo gruppo, il mio desiderio era quello di occuparmi del mio “reparto tastiere”, scrivere musica e sarei stato felice così per l’eternità. Non era mai facile trovare cantanti che riuscissero a cantare quello che scrivevo, poi con i Barock Project ebbi fortuna. Però anche i cantanti vanno e vengono e, quando sei costretto a fare centinaia di audizioni e qualcuno ti lascia a piedi proprio nel momento dell’uscita imminente di un nuovo disco, ad un certo punto se non vuoi continuare a passare notti insonni devi prendere una decisione: se non lo farà nessun altro me ne occuperò io. Così successe per “Detachment”. Ma se da un lato ero felice e sicuro di poter scrivere cose che sarebbero state cantate come le avevo in testa, dall’altro è un incubo. Sul palco è difficile dover suonare tutte le mie parti strumentali e doverle anche cantare. Fra l’altro io non mi sento affatto un cantante, non ho la minima preparazione tecnica. Dovrei seriamente cominciare a prendere lezioni.
Hai curato l’esecuzione, la registrazione, il mix e il master di “One”: come ti vedi come produttore?
Questa è una cosa che ho sempre fatto sin dal primo disco dei Barock Project. Mi piace avere il prodotto sotto controllo. Anche se ho ancora tanto da imparare sul mix e il mastering e nei primi dischi ho commesso errori madornali. Ad ogni disco che produco imparo una nuova lezione ed è un aspetto che mi affascina tantissimo. Da qualche anno ricevo anche i complimenti per come suonano bene gli ultimi dischi ed è sempre una soddisfazione enorme per me.
Ti seguo anche su YouTube e recentemente ho visto che hai caricato l’audio di un (meraviglioso) brano strumentale per pianoforte solo intitolato “Youth”: perché non è stato incluso in “One”?
Ho sempre scritto diversi generi di musica, dal progressive al pop, dal rock al blues e da pianista ho scritto parecchia musica per solo piano o per altri organici. “Youth” non l’ho inclusa in “One” semplicemente perché non rientrava nel genere e dunque sarebbe stato incoerente col resto. Non escludo che questo brano rientrerà come altri scritti in passato in un prossimo disco che potrebbe essere di composizioni solo strumentali.

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Sempre rispetto a YouTube, come è nata la collaborazione con IK Multimedia?
Gli amici addetti al negozio di strumenti musicali Lenzotti di Modena, dove mi rifornisco fiduciosamente da tanti anni, mi hanno messo in contatto con IK Multimedia in quanto quest’ultima era alla ricerca di testimonial per i nuovi prodotti. È grazie a loro se è nata questa fortunata e stimolante collaborazione.
Ora a cosa ti dedicherai?
In questo momento mi sto dedicando a sistemare la mia nuova casetta, perciò le mie energie (e non sono poche) sono rivolte ad essa. Con le riaperture sono arrivate le prime nuove date e i concerti di quest’estate con i Barock Project e non vedo l’ora di tornare sul palco insieme agli altri ragazzi. Non ci vediamo tutti insieme da un anno e mezzo.
Pensi che “One” avrà un seguito?
Si, è probabile che ci sia un “Two” ed anche un “Three”, chi lo sa. Non mi piace fare programmi. Ma credo sia assai più probabile che prima ci sia un disco strumentale, come dicevo poco fa.
Intervista a cura di Gabriele Marangoni

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