Grave Digger (Chris Bolthendal, vocals)

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Chris Bolthendal è un mito del metal tedesco. Certo, non avrà il carisma di un Kai Hansen o di un Rock ‘n Rolf, non avrà l’ugola straordinaria di Michael Kiske o il talento compositive di Peavy Wagner, ma è innegabile che in vent’anni di carriera questo signore ormai non più giovanissimo (sorprende un po’ notare quanto siano ingrigiti i suoi capelli) abbia dato alle stampe lavori che possono essere tranquillamente annoverati tra i classici di questo genere musicale: lavori come “Heart of darkness”, “The reaper” o “Tunes of war” (il disco che gli ha portati finalmente all’attenzione del grande pubblico) posseggono un livello qualitativo indiscutibile, e poco importa se con il passare degli anni è sempre stato più difficile per Chris e compagni anche solo eguagliare queste prove… con l’ex Rage Manni Schmidt alla chitarra al posto dello storico Uwe Lulis la band ha trovato un nuovo inizio, e dopo un paio di dischi di assestamento ha fatto di nuovo capire di che pasta sia fatta: “The last supper” sembra davvero un ritorno ai fasti del passato, un disco potente e diretto come gli “scavatori” non facevano da tempo… ne abbiamo discusso con un gentilissimo Chris Bolthendal in un freddo pomeriggio milanese:

Allora Chris, partiamo ovviamente dal vostro nuovo album “The last supper”: ti faccio i complimenti perché è veramente un buon disco! Azzarderei che mi sembra un netto ritorno ai suoni del passato, a dischi meno epici e più diretti, come “The reaper”, o il recente “The grave digger”…
Certamente! Quando abbiamo fatto uscire “Reinhgold” abbiamo detto a tutti che sarebbe stato l’inizio di una nuova trilogia, ma poi, quando ci siamo seduti insieme a pensare al suo successore, ci siamo resi conto di non avere delle buone idee per un concept, non volevamo fare un altro lavoro storico, non volevamo parlare di argomenti tipo l’Inquisizione Spagnola, l’Impero Romano, cose così… così Manni salta su e dice: “Hey, perché non facciamo semplicemente un altro disco metal?” E alla fine abbiamo fatto così: ci sono tre canzoni incentrate su Gesù Cristo, ma non è un concept, non si può parlare di concept album…

Parlando della musica, mi sembra che, all’interno di un suono tipicamente Grave Digger, siano presenti alcuni nuovi elementi…
Sì, abbiamo provato a percorrere alcune nuove strade: in passato abbiamo fatto tanti album epici, come “Tunes of war”, “Excalibur”, “Knights of the cross”, uno veramente “malvagio” come “The grave digger”, per cui quello che abbiamo cercato di fare per questo nuovo lavoro è stato di trovare qualche nuovo modo di oltrepassare certi confini, uscire da qualche tunnel in cui eravamo rimasti bloccati, e nello stesso tempo non rinnegare le nostre radici. Alla fine pensiamo di esserci riusciti, penso che chiunque ascolterà questo disco dirà: “Sì, sono i Grave Digger, ma c’è qualcosa di diverso…” E penso che questo sarà il modo con cui lavoreremo anche in futuro: penso che rompere qualche regola ogni tanto renda le canzoni più fresche e potenti…

Che cosa mi dici invece della produzione del disco? Penso che abbia uno dei suoni più potenti da voi mai avuti. Avete lavorato in modo diverso?
Non proprio, perché abbiamo registrato ancora al Principal Studio in Germania, che è il posto in cui andiamo sempre dal 1995, a partire da “Heart of darkness”. Non abbiamo neanche cambiato nessuno all’interno del team dello studio, ci conosciamo molto bene, tra noi c’è un’ottima alchimia, ci sentiamo davvero in famiglia! Aggiungi inoltre che lo studio è situato in aperta campagna, in un posto molto tranquillo, e abbiamo a disposizione dunque tutta la quiete e il silenzio necessari per lavorare. E ci serve davvero questa tranquillità, perché in genere lavoriamo molto duramente, anche quindici, diciotto ore al giorno…
Per quanto riguarda il suono, abbiamo usato un guitar equipment molto semplice: Marshall degli anni ’70, Marshall cabinet, overdrive del basso… mentre invece la batteria ha un suono molto moderno… certo, non nu metal (ride), ma è comunque un suono molto fresco, non quello stupido suono che sentivi negli eighties… ecco, diciamo che tutto questo, combinato assieme, ha creato quel suono potente che poi puoi sentire sul disco. E anche per le parti vocali, ho preferito non appesantirle troppo, rispetto all’ultimo disco ho utilizzato meno harmonizers e meno delays, in questo modo il cantato è realmente “straight in your face”!

Questa volta chi è stato il songwriter principale? Come vi siete regolati per la composizione del disco?
Oh, abbiamo fatto tutto noi quattro, mentre invece il riff di chitarra di “Hell to pay” è stato scritto dal tastierista.

Parliamo dei testi: hai detto prima che non è un concept, ma volevo comunque sapere come mai hai scelto la figura di Gesù Cristo come elemento centrale del disco. Mi incuriosiva soprattutto sapere (anche perché non ho ancora letto i testi!) su quale dei suoi due lati, divino e umano, ti sei focalizzato di più…
Gesù Cristo è semplicemente un simbolo, un simbolo per le credenze della gente, un simbolo che può avere sia valenza positiva che negativa… personalmente mi sento una persona che pensa in maniera molto positiva e ottimista, per cui per me Gesù Cristo ha un significato positivo.
Inoltre abbiamo scelto “Last supper” come titolo del disco perché ci sembra di vedere che ci siano molte “ultime cene” ogni giorno tra la gente: se guardi la televisione vedi bombe in Iraq, bombe in Israele, morte e carestia in Africa… insomma, tutto questo rappresenta un po’ l’ultima cena, l’ultimo momento per questa parte di umanità, e quello che vogliamo fare noi è un po’ prendere a calci in culo la gente dicendo: “Hey, tutto questo accade ogni giorno, sta accadendo ora!” La verità è che siamo talmente abituati a vederlo in televisione ogni giorno che ormai niente ci tocca più, ci impressiona più. Paradossalmente tutto questo è diventato talmente normale che se un giorno mi sedessi davanti al televisore e non vedessi più bombe cadere da nessuna parte mi direi: “Hey, mi sembra che qui manchi qualcosa…”, ma senza prenderne coscienza veramente! Forse possiamo dire la nostra opinione alla gente, e fare in modo che la gente riprenda di nuovo a pensare, che realizzi quanta sofferenza c’è ancora su questa terra. Detto questo, non siamo né preti né politici, vogliamo solo puntare l’accento su tutte le persone che stanno soffrendo nel mondo, che vivono la loro “ultima cena”… tutti i poveri che ci sono in giro, povera gente che non ha soldi e che vive in mezzo alla strada…

Hai visto per caso il film “The passion” di Mel Gibson? Te lo chiedo perché mi sembra che ci sia qualcosa nell’atmosfera di alcune canzoni, in particolare nell’intro, che lo possa ricordare vagamente…
No, non l’ho visto perché… beh, sarò onesto con te: suono heavy metal ma nel profondo del mio cuore sono un tipo molto soft, ed il fatto è che odio i film in cui c’è troppo sangue (ride)… beh, effettivamente l’intro del disco è un qualcosa di speciale, e nasce dal fatto che a casa mi piace ascoltare molta “world music”, sono interessato ad ogni tipo di musica da ogni tipo di paese, e c’è stato di conseguenza il desiderio di mettere un poco di questa musica nel nuovo album dei Grave Digger… il titolo “The last supper” e l’idea della Passione costituivano un legame interessante, e una buona occasione per comporre qualcosa di particolare come l’intro che puoi sentire sul disco.

Recentemente hai pubblicato la biografia della tua band: che cosa mi puoi dire di questa esperienza? Pensi che pubblicherai un nuovo libro in futuro?
No, sarebbe un crimine se lo facessi (ride)! Nel mio libro ho voluto spiegare i miei primi vent’anni con i Grave Digger, la mia vita con i Grave Digger: è una sorta di biografia, ho raccontato alla gente storie tristi, storie allegre, storie divertenti, ma non penso proprio che mi metterò a scrivere un altro libro! E’ un peccato che non siamo ancora riusciti a trovare un editore che sia disposto a tradurlo in inglese, o meglio, il problema non è tanto trovare qualcuno disposto a farlo, il problema è il costo della traduzione, perché spesso utilizzo un linguaggio specifico, tecnico, che non è sempre facile da tradurre…

E quali sono state per ora le reazioni al libro in Germania?
Molto buone, abbiamo venduto 2000 copie: è molto per un libro di questo tipo, è certamente meno di quanto normalmente vende un nostro disco, ma bisogna considerare che non tutti i metal fans sono anche dei lettori…

Non avete pensato all’idea di fare uscire una sorta di box set contenente il libro e il nuovo cd?
Oh, ci sarà qualcosa davvero molto speciale tra poco: l’anno prossimo, per il ventesimo anniversario dei Grave Digger c’è questa etichetta (non dice il nome) che sta preparando questo box fatto a forma di bara, piuttosto grande, che i fans potranno ordinare via internet e riempire con il merchandising che desiderano… penso che sia una buona idea, sarà veramente una bella bara (ride)!

Cambiamo argomento: con “The grave digger” avete realizzato un lavoro molto back to the roots, più diretto e molto meno epico dei predecessori. Personalmente ho molto apprezzato quel disco, pensavo potesse rappresentare l’inizio di un nuovo corso, invece poi avete fatto “Reinhgold” che, personalmente, mi ha molto deluso, mi è sembrato un passo indietro un po’ troppo forzato… puoi spiegarmi le ragioni che ci sono state dietro a questa scelta?
Abbiamo avuto molte richieste, poiché tutti… beh, non proprio tutti, ma comunque un sacco di gente, ha iniziato a dire che avrebbe voluto un altro concept con un sound epico molto più accentuato, e noi ci siamo detti che poteva andar bene, dopo tutto avevamo ancora una storia lasciata indietro, cioè questo concept sui Nibelunghi, inoltre siamo tutti amanti della musica di Wagner, per cui ci siamo detti: “D’accordo, facciamolo ancora e vediamo cosa succede!”
Poi, come al solito un paio di persone si sono lamentate dicendo: “Oh no, un altro concept!” Proprio come stai facendo tu adesso (ride), e questa è stata la ragione che ci ha fatto decidere che la prossima volta avremmo fatto quello che avremmo voluto noi, e non quello che la gente voleva che facessimo. Il risultato lo puoi sentire adesso, “The last supper” è veramente un disco che abbiamo voluto fare noi!

E infatti suona molto sincero, molto heavy metal…
Sì, ad esempio, abbiamo messo delle background vocals, ci sono anzi un sacco di background vocals, ma non sono troppo in primo piano: adesso sono veramente background vocals, non lead vocals (ride)!

Come descriveresti, nell’arco di questi vent’anni di Grave Digger, il cammino che hai fatto come musicista, come cantante, come uomo?
La cosa più importante per me è fare musica per potere esprimere me stesso alla gente, per poter comunicare alla gente i miei outputs e la mia creatività… non faccio musica per soldi, non ho bisogno di guadagnare soldi dalla musica, anche perché ho un altro lavoro: lavoro per una casa discografica, vado in cerca di nuove bands e posso dire di essere davvero un uomo felice!
Per me è davvero molto importante non andare a “coverizzare” i nostri dischi del passato, capisci cosa intendo? E da questo punto di vista “Reinhgold” forse è stato un errore: pur non essendo esattamente la stessa cosa di “Tunes of war” o “Excalibur”, va comunque nella stessa direzione. Penso che un momento fondamentale sia stato due anni fa, quando ci siamo separati da Uwe Lulis: quello era un momento molto difficile per noi, non c’erano più idee, scrivevamo sempre gli stessi riffs, le stesse canzoni… eravamo finiti! Poi per fortuna è arrivato Manni, che è davvero un chitarrista incredibile, una mente davvero creativa, e il lavoro fatto con lui suona davvero come un nuovo inizio per la band!
Vedi, sin dall’inizio di questo tour promozionale la gente mi sta chiedendo se ci sarà una seconda parte della trilogia, e io rispondo sempre che, sì, ci sarà una seconda parte della trilogia, ma non crediate che sarà un qualcosa di simile a Reinhgold o “Tunes of war”! No, perché adesso sono veramente ansioso di continuare a rompere gli schemi, provare qualcosa di nuovo, perché adesso stiamo veramente rompendo le nostre catene, non faremo più un disco su spade, draghi e cavalieri, questo è sicuro!

Senti, come hai convinto Manni ad unirsi alla band? Giravano voci che avesse ormai appeso la chitarra al chiodo…
E’ vero, lavorava in un negozio di dischi! E’ una storia divertente: quando stavamo cercando un nuovo chitarrista, dopo l’abbandono di Uwe, Jens e Stefan se ne sono usciti fuori con questa idea di riattivare Manni, al che io ho risposto: “Non posso credere che quest’uomo abbia di nuovo voglia di suonare in una band, è grasso, sta tutto il giorno seduto in casa (ride come un matto)…” E alla fine è andata che gliel’abbiamo proposto davvero! La prima persona a parlare con lui è stato Jens, un giorno l’ha chiamato e gli ha chiesto: “Che ne diresti di unirti ai Grave Digger?” E lui: “Oh, è una buona idea, il problema è che odio il true metal!” (risate generali)
Così sono andato a trovarlo a casa, abbiamo iniziato a discutere e gli ho detto che non avevamo intenzione di continuare con “Excalibur”, che pensavamo ad un disco più sullo stile di quello che poi è diventato “The grave digger”, e lui è stato subito più contento.
Poi abbiamo composto “Reinhgold e lui era sempre contento, ma non credo contento allo stesso modo di prima (ride)!

Che cosa mi dici della copertina? Penso che sia il vostro miglior artwork di sempre…
La versione originale, quella che si comprerà nei negozi tra qualche settimana (il disco uscirà il 17 gennaio) sarà marrone: avevamo la possibilità di scegliere tra blu e marrone, ne abbiamo discusso tra noi e abbiamo scelto il marrone, però, visto che alcuni nella band la volevano blu, abbiamo deciso di fare la versione promo di questo colore… (indicando la mia copia) conservala perché diventerà un piccolo tesoro! Sì, alla fine abbiamo scelto il marrone, trovo che faccia sembrare l’immagine più autentica… e devi anche vedere le immagini all’interno del booklet, sono veramente belle, molto provocanti…

Ci sarà un’edizione limitata?
Sì, conterrà due bonus tracks, due pezzi originali, non due covers! Sono due canzoni divertenti, molto back to the roots, le sentirai…

Tra l’altro, rimanendo sulla copertina: ho letto sul vostro sito che alcune persone avrebbero protestato contro il soggetto dell’artwork, ritenendolo offensivo nei riguardi della religione cristiana. Qual è la tua opinione in merito?
Mah, forse è stato il papa che ha scritto una mail sul nostro sito (risate)! No, l’immagine rappresenta Gesù seduto al tavolo dell’ultima cena, abbandonato dai suoi discepoli, si sente solo, sa che morirà entro un paio di giorni, e la Morte è dietro di Lui che lo aspetta… questo è tutto, non c’è nessun messaggio anticristiano o satanico in essa.
Penso che sia un’immagine di alta qualità, potresti quasi paragonarla al dipinto di Leonardo da Vinci dell’Ultima Cena, solo che qui non ci sono i discepoli… davvero, sono molto soddisfatto di questo lavoro, anche perché non sai se Gesù sia dipinto o sia reale… è veramente bello!

Parliamo ora del tour: come vi organizzerete in proposito? Avete in serbo qualcosa di speciale per i vostri fans? Confesso che l’ultima volta che vi ho visto dal vivo risale al 1998, per cui ho perso parecchie date…
Come mai? Mi sembri un grande fan della band (si riferisce a tutti i dischi che gli ho portato da autografare)… di solito quando partiamo per un nuovo tour abbiamo già in mente la successione delle songs, ma ne abbiamo sempre un paio tra cui scegliere, prima di trovare la perfetta setlist… le alterniamo ogni sera finchè non scegliamo quale tenere per tutto il tour. Penso che in questo caso suoneremo un paio di canzoni da questo ultimo disco, anche se non so ancora quali, poi ovviamente ci saranno i classici, e anche due o tre canzoni che non abbiamo mai suonato tanto in passato: hai dei suggerimenti da darci in proposito?

“Shadowmaker”?
Mmm… quella canzone è veramente strana da cantare… ricordo una volta, era forse il mio primo show senza alcool (ride), e durante l’esecuzione di “Shadowmaker” ho perso totalmente il tiro, ero completamente fuori tono…

E perché non recuperare “Ride on”? E’ una delle mie preferite di sempre…
Quale dici?

“Ride on”, da “The reaper”…
Ah sì, quella… (la canticchia distratto, ma non sembra molto entusiasta)

Allora forse “Shadow of a moonless night”…
Ah sì (molto più convinto), questa è bella, potrebbe essere una buona idea…

Cambiamo argomento: che cosa ne pensi della possibilità sempre più crescente di scambiare e condividere files musicali su internet? Pensi che in qualche modo possa essere una cosa positiva, o ti senti invece danneggiato da questo fenomeno?
Da un lato Internet è uno strumento utile per trasportare informazioni: è veloce, puoi portare un numero impressionante di informazioni alla gente in pochissimo tempo. Dall’altra parte però penso che se un numero crescente di persone non fa altro che scaricare dischi dalla rete, allora questo è negativo, perché le bands non guadagnano nulla per il loro lavoro, e ne hanno bisogno per tornare in studio un’altra volta! Sì, penso che scaricare e copiare musica alla lunga uccida la musica…

Ok, per concludere facciamo un gioco: io ti dico i nomi di alcune bands e tu mi rispondi con due o tre parole che associ d’istinto ai nomi che ti faccio… va bene?
Con poche parole? Va bene!

Allora iniziamo con Helloween…
Helloween! Cari e vecchi amici!

Running Wild?
Ogni anno, la stessa musica! Ma non in senso negativo, eh (ride)!

Gamma Ray?
Happy metal!

Rage?
Grandi lavoratori!

Iron Maiden?
Mietitori di denaro…

E per ultimo, perdonami per questo, Rebellion (la band dell’ex chitarrista Uwe Lulis)?
Rebellion? Che cos’è, il nome di una band? Chi ci suona in questa band (ride)? No, a parte gli scherzi, per me sono ok, non ho nessun problema con loro, è stato solo divertente leggere che avrebbero intenzione di fare una trilogia sui Vichinghi: ma come, ci sono in giro così tanti dischi che parlano di Vichinghi, e loro se ne escono addirittura con una trilogia (risate)? Mah, se alla gente piace…

Saremo a Milano il 21 febbraio, per cui dovrai decidere se venire a sentire noi o i Megadeth, visto che suoniamo lo stesso giorno (ride)!

Penso proprio che verrò da voi, ho decisamente troppi arretrati che mi pesano…

Intervista a cura di Luca Franceschini

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