Enzo And The Glory Ensemble: la sacralità del metal

Abbiamo avuto occasione di scambiare due parole con il mastermind che sta dietro al "più ambizioso progetto Christian metal mai fatto". Oltre a rivelarsi un personaggio estremamente colto e profondo, Enzo Donnarumma ha mostrato un lato più "leggero" davvero piacevole e inaspettato. Buona lettura!

Ciao Enzo e benvenuto su Metalhammer.it!
Bentrovati a voi, dopo ventiquattro anni che vi seguo con accanimento!
Ci spieghi da dove viene l'idea di "In The Name of the Father" e com'è nato il curioso moniker?
Ho concepito questo progetto due anni fa, senza pensare a una pubblicazione: desideravo privatamente musicare preghiere, inni e Salmi che recito ogni mattina e volevo che i brani nascessero nel modo più autentico possibile.
Fui così coinvolto che tante idee mi nacquero mentre ero in macchina, poi a casa scoprivo che i testi, per puro caso o per chissà cosa, combaciavano già con le melodie, al punto da non dover arzigogolare quasi nulla. A volte mi sembrava che le canzoni esistessero già, dovevano solo essere scritte.
Non avevo un piano dell’opera, volevo che fossero le mie canzoni a dirmi come nascere.
A lavoro concluso (dopo appena un mese) mi resi conto di aver realizzato, per la prima volta nella storia, un “laudario Metal”. Non è roba che senti tutti i giorni, ma ho voluto avere un po’ di coraggio e fidarmi di ciò che il cuore mi ha suggerito.
Il moniker bizzarro “Enzo and the Glory Ensemble” fu frutto di una discussione con i discografici. “Enzo Donnarumma” è maledettamente impronunciabile in tutte le lingue (ride), ci voleva un nome che esprimesse due forme di gloria: quella di un messaggio divino e quella della partecipazione di alcuni nomi grossi del Metalrama. L’Ensemble della gloria, che ospita musicisti di gloria, canta la gloria. Fu un po’ questo ciò che volemmo comunicare, così balzò fuori un moniker curioso ma che rende l’idea.
Hai deciso di far pubblicare l'album la vigilia di Natale, immagino ci sia un significato dietro a questa scelta...
In realtà la notte del 24 dicembre 2015 fu una data voluta dalla label stessa, come simbolo di un bimbo musicale che nasce, un messaggio celeste che s’incarna in una confezione digipak.
Possibile mai questa sciocchezza? Ebbene sì! Molti, credenti inclusi, hanno un’idea chiusa della fede cristiana, la quale invece ha come base “Amore” e Amore non solo è apertura, ma anche un po’ pazzia. Come non vedere un po’ di follia in Uno che per amor tuo si lascia dissanguare appeso a un pezzo di legno, malgrado tu non abbia ancora capito quanto ti ami? Cose stravolgenti, cose fuori schema deve fare l’Amore, altrimenti non rinnova il mondo, altrimenti non è Amore! Ebbene, oggi un autore italiano ha la pazzia di timbrare un disco metal col Nome di Dio e farlo nascere a Natale insieme a Lui. Se qualcuno dovesse offendersi… s’offenda!! (ride)
In che modo pensi che tematiche che potremmo definire "sacre" si coniughino bene con il metal?
Non sono il solo a ritenere che “Sacro”, metal e tante altre realtà abbiano radici comuni in una sorta di rigetto verso forme massificate di pregiudizio, “conformità ricattante”, omologazione imposta, snaturamento della propria persona originale. La paura è il mezzo con cui ogni forma di tirannia politica e spirituale riesce a darci queste imposture. La paura da sempre altera il nostro carattere e i nostri gusti, perché ci fa piacere tutto ciò che sembra tranquillizzarci, per cui comincerò ad ambire un mestiere che non mi farà sentire l’ultimo della scala sociale, sposerò una donna che non amo purchè io non resti solo, comincerò a vestire, parlare, reagire in modi che, seppur non autentici, ammorbidiscano le mie angosce di fondo, per poi trovarmi appagato ma infelice. Non tutti sanno che il vero Cristianesimo vede proprio in questo l’origine degli errori umani. Cristianesimo originario e cultura metal originaria combattono gli stessi nemici all’insegna della libertà pura dell’uomo. L’immagine che abbiamo di un Cristo che non veste secondo le mode aggiornate del tempo, che non ha cura del suo taglio di capelli, che non si astiene da ambienti malraccomandati e non si risparmia un bicchiere di vino in più, nè una sfuriata teppistica contro i capi corrotti, questa immagine combacia con il giovane ribelle che mangia pane e metallo.
Ma poi che succede? Quando una scuola di pensiero religioso o musicale prende piede, diventa produzione industriale, non ha più l’autenticità come primo interesse e, cosa peggiore, crea uno standard chiuso che impone altre forme di omologazione e non ammette intrusi.
Molti diventano atei perché non riconoscono nel direttivo ecclesiale la libertà per cui Cristo è morto. Molti si allontanano dalla cultura metal perché la trovano o troppo contaminata o troppo monopolizzante.
Bene, a mio avviso il metal può pregare, nulla glielo vieta. Certo, secondo gli schemi comuni può sembrare un’accozzaglia ma, se voglio essere un uomo libero, degli schemi comuni mi frega una mazza. Anzi, sarebbe una gran dimostrazione di tolleranza, da parte del mondo metal, poter accettare un disco cristiano per quel che è, senza per forza convertirsi, ma dando un grande esempio di apertura ai cristiani più bigotti.
Parliamo ora del tuo "Glory Ensemble": come sei entrato in contatto con tanti ospiti "di lusso"?
Neanch’io so spiegare bene come sia successo. Credo che le guests abbiano avvertito una forte ispirazione in queste canzoni che mi è capitato di scrivere. Questo album nasce da sentimenti molto forti: sincerità, drammaturgia, dolore, speranza: sentimenti che ti fanno tirar fuori idee che neanche immagini.
Il lavoro di creazione partì la sera del 25 dicembre 2013. Appena finite le demo, le inviai a Gary Wehrkamp degli Shadow Gallery (siamo profondi amici da tanti anni) che ne fu a dir poco entusiasta e mi propose di coinvolgere anche Brian, vocalist degli Shadow.
Ma che senso aveva un album “Enzo e gli Shadow Gallery in preghiera”? Capii subito che avrei dovuto coinvolgere altre special guests e che questo disco doveva essere una reunion di artisti per una lode musicale.
Man mano che ascoltavo le demo pensavo: “Ecco, qui dev’esserci un assolo drammatico di quelli che solo Marty Friedman può fare”. Lo contattai e, sorprendentemente, una domenica mattina alle sei in punto lui mi chiamò e confermò di esserci. Ascoltando qualche altro brano, più ambientato nel terreno palestinese calpestato da Cristo, pensai: ”Qui o c’è Kobi Farhi o non se ne fa niente!”. Lo contattai e lui accettò. Così è successo con tutti. Non ho usato strategie, li ho convocati e hanno risposto all’appello, fino a raggiungere il numero emblematico di sette mostri sacri, più altri artisti minori solo di fama, tra cui la bravissima Tina Gagliotta dei Poemisia.
Vuoi condividere qualche aneddoto legato al disco e ai tuoi compagni di avventura?
Beh aneddoti ce ne sono tanti. Che raccontarvi? Del mio gatto che, attratto dal calore del monitor, si sedette sulla tastiera del computer inviando un centinaio di “xxxxx” a Ralf, che mi accusò di prenderlo in giro? O di una email di conferma di Mark Zonder finita per sbaglio nella mia cartella spam e scoperta fortuitamente dopo un mese, ormai convinto che non avesse aderito?
Un particolare un po’ più significativo da raccontare c’è: abbiamo tutti lavorato instancabilmente per mesi, ripetendo le registrazioni, a volte rifacendo tutto. La professionalità e l’umiltà delle guests mi ha sorpreso. Non ultimo, un interminabile missaggio di Gary, durato “nove mesi” e ricominciato tre volte, perché ogni tanto me ne uscivo con qualche modifica negli arrangiamenti. Dio solo sa perché quel santo non mi abbia mai preso a parolacce.
Oltre al lavoro "certosino" sui testi, sono rimasto impressionato dall'originale equilibrio che hai creato tra le atmosfere più marcatamente occidentali e quelle più propriamente orientali: cosa ti ha portato a una ricerca e a un risultato di questo tipo?
La musicologia sostiene che tutta la musica colta occidentale sia nata dalla salmodia ebraica: i primi cristiani, in un’epoca in cui la musica era trasmissibile solo oralmente, si avvalsero di vocalizzi ebraici originali, inserendo testi del primo culto cristiano. Questo stile, nel tempo, portò al gregoriano di lingua latina, che nei secoli fu arricchito dall’aggiunta di più voci, diventando “organum”, poi “polifonia corale”, poi polifonia strumentale… ed ecco quell’embrione che avrebbe poi portato alla musica classica!
Ho voluto esplorare queste radici che legano noi occidentali ai nostri “zii” ebrei, nel clima ideale del testo sacro. Pregare è anche commemorare e, sinceramente, non so come avrei potuto commemorare musicalmente il Padre Nostro senza tener conto che fu recitato dall’ebreo di Nazareth nei pressi di Cafarnao, terra la cui musica era suonata dai progenitori di quei flauti e sonagli che ho utilizzato nel disco.
Il tuo è un progetto decisamente ambizioso: cosa pensi della scena metal italiana? Credi che ci sia ancora spazio per lavori di così ampio respiro come il tuo, soprattutto per gli esordienti?
Gran bella domanda! La scena metal italiana è sempre più chiusa nei piccoli pub, in piccole salette da concerto e in pochissimi spazi all’aperto autogestiti. Aprire un buon concerto metal è già considerata una grossa soddisfazione, perché la verità è che la musica alternativa, in Italia, è ormai la guerra dei poveri.
Trovi centinaia di metalband italiane bravissime, ma fra dieci anni ne resteranno solo una decina, a fianco di altre nuove centinaia di band i cui musicisti hanno ancora poco tempo per suonare, prima di laurearsi e cambiare paese. Pochi ci credono al punto da continuare, perché il territorio è ostile e i proprietari dei locali ancor di più.
In questa realtà, sinceramente, non so cosa mi capiterà, so solo dirti che credo in quanto sto facendo.
Stai pensando di promuovere il concept anche dal vivo?
L’idea c’è, sia da parte mia che delle guests. Questo è proprio il periodo in cui dobbiamo consultarci e decidere cosa si può pianificare e come poterci trovare insieme su uno stesso palco, pur provenendo ognuno da una parte diversa del mondo. Il lavoro è tanto ma, visto che è già stato fatto tanto, vale la pena continuare la fatica.
Una curiosità: cosa ascolta Enzo Donnarumma quando non compone?
Enzo quando non compone ascolta di tutto. Pur non abbandonando mai il metal, vado negli ascolti più assurdi, perfino “La Sirenetta”, grande lavoro di Alan Menken. Amo Jr.Walker & the Allstars, i grandi del soul, gli spirituals. Amo Bach, uno dei miei primi amori. Amo grandi sinfonisti come Gustav Mahler, i grandi lavori teatrali della vecchia Broadway, amo la colonna sonora ,il folklore etnico di ogni terra. Amo tutto e, tra un ascolto e l’altro, balzano sempre fuori Sepultura, Testament, Alice Cooper, Fates Warning… troppo metallo da citare.
E ora a te la parola per concludere!
Non sono un opinionista, ma il messaggio che lascio al lettore è un invito ad essere libero, a riscoprire la propria autenticità senza paura del giudizio o della solitudine. Non è facile, ma riuscirci sarebbe di certo molto interessante e qualcun altro se ne accorgerebbe. Magari potremmo cominciare a diventare in tanti…
Intervista a cura di Gabriele Marangoni

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