Strange Here: black, grey and white.

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Riemergono dalle brume e dalla terra umida della gloriosa scuola del dark-sound italico e sfornano uno dei dischi più “impressionanti” e autentici di un settore, il doom psichedelico d’ispirazione settantiana, piuttosto apprezzato dalla discografia contemporanea.
Si chiamano Strange Here e il loro è un cammino affascinante e tortuoso, che affonda le radici nella storia del genere, giunge a un interessante esordio nel 2002 e poi s’interrompe bruscamente, lasciando “in sospeso” un percorso musicale che “doveva” per forza trovare il modo di avere una degna continuazione.
L’attesa appendice, da qualche tempo nei negozi sotto l’egida della storica Minotauro Records, è appunto “Strange Here II”, che diventa anche una ghiotta occasione per interpellare Alexander Scardavian (fondatore della band) e Domenico Lotito e tentare con il loro disponibile supporto di approfondire il visionario universo espressivo di una circostanza artistica fertile, inquieta, immaginifica e, soprattutto, intensa e vera, caratteristiche davvero rare nelle convulsioni del nostro controverso terzo millennio.

Ciao ragazzi, grazie per il tempo che ci dedicate, benvenuti su Metalhammer.it e complimenti per il vostro eccellente “Strange Here II”… e allora, se siete d’accordo, direi proprio d’iniziare con l’esposizione dei motivi che vi hanno condotto, a ben tredici anni dall’esordio, al ritorno in un mercato discografico sempre più “usa & getta” …
Alex: Se sono stato lontano dalle scene per così tanto tempo, oltre che per motivi di salute, è anche vero che oggi il music business è più corrotto e stupido che mai. Ho soltanto voluto dimostrare che chi ha idee che non passano con le mode, e ha una cultura di merito, non può non cercare di fare qualcosa... L'arte non è mai stata così sottovalutata e finta come negli ultimi due decenni, così ho deciso di agire ...

Domenico: Ciao Marco e grazie per lo spazio che ci concedi su Metal Hammer.
Questo ritorno è caratterizzato da un’esigenza artistica molto importante e profonda.
Viviamo in tempi sempre più cupi e oggi l’Arte sembra diventata un sinonimo di business, mentre non dovrebbe essere così. Noi, attraverso la nostra musica, cerchiamo soltanto di comunicare che in questa realtà, molto simile a uno spot televisivo, dovremmo vivere essendo “noi stessi” nella nostra completezza, e non una copia di un’immagine sbiadita decisa da chi ha il potere di influenzare le menti.
Ascoltando l’opera è immediatamente evidente quanto il sodalizio tra Alexander Scardavian e Dom Lotito sia degno delle celebri “affinità elettive” di Goethe … com’è nata questa fruttuosa parnership?
Alex: Io e Dom ci conosciamo da tanti anni. Lui è giovane, sognatore. Io invece so per esperienza cosa il mondo può fare alle persone sensibili e altruiste; così l’ho preso sotto la mia ala per fare questo viaggio impossibile che, a quanto pare, ha funzionato egregiamente.

Domenico: L’affinità con Alex nasce dal fatto che abbiamo un rispetto reciproco non indifferente, e che viviamo per esprimere quello che abbiamo dentro. Abbiamo un modo di vedere le cose, ma soprattutto di viverle, molto profondo. Il resto nasce spontaneamente perché prima di essere musicisti siamo persone, e l’Arte è solo un completamento di ciò che siamo.
Ho letto nella bio che le registrazioni del Cd sono avvenute praticamente in diretta e con molte improvvisazioni … sicuramente “un’anomalia” nei nostri tempi sempre più tecnologici e “virtuali” … vi va di raccontarci perché ritenete che questo sia ancora il modo migliore per realizzare un albo musicale?
Alex: Perché è ovvio che l'improvvisazione è ciò che manca nel nuovo millennio. Da troppo tempo ormai comandano i computer, il web, e tutto ciò che si può falsamente trarre da essi. Ma l'anima di ognuno di noi va purificata da qualsiasi manipolazione di sorta. Registrando alla vecchia maniera abbiamo voluto dimostrare quanto sia debole la tecnologia, se dietro ad essa non vi è un cuore che la ispira ...

Domenico: Oggi le tecnologie ti permettono di fare qualunque cosa e di rendere il suono perfetto, ma poi devi dimostrare quello che sai fare dal vivo. Lavorare a “Strange Here II” è stata una grossa sfida con noi stessi, poiché registrare un album in sole due persone è una cosa non solo anomala per questi tempi, ma difficoltosa. Non ritengo che sia il modo migliore, ma sicuramente il più sincero e anche quello più vicino allo spirito del blues e di tutto ciò che nasce da un’esigenza creativa. I migliori dischi della storia del rock nascono dall’improvvisazione, e noi abbiamo assimilato dai nostri “Maestri” come Jimi Hendrix e i Cream. Il riff di “Sunshine of your love”, ad esempio, fu improvvisato al momento e non preparato. Quando una cosa nasce in modo sincero, rimane dentro la memoria delle persone. Io stesso non sono un bassista puro poiché ho iniziato come chitarrista, ma nel corso degli anni mi sono avvicinato da autodidatta a questo magnifico strumento, trasportando quello che avevo studiato sulla chitarra e improvvisando su molti album di rock e blues.
“Strange Here II” è un lavoro terribilmente fascinoso, pregno di sinistre proiezioni ancestrali e ribollente di forza espressiva che, come tale, dovrebbe essere fruito come un’unica entità … purtroppo, però, spesso si è “costretti” dalla frenesia contemporanea a operare delle scelte … e allora vi chiedo di dirci qualcosa, innanzi tutto, su “Kiss of Worms”, brano scritto nel 1990 con Paul Chain e inciso per la prima volta su disco …
Alex: Quella song l'ho composta con Paul Chain nel 1990, quando il progetto Strange Here era neonato. Mi è sembrato ovvio inciderla per rendere omaggio a quei tempi, che ormai sono cenere.
Inevitabile a questo punto, chiedere ad Alex di esplicitare quanto la passata collaborazione con Paul Chain abbia significato nella sua crescita umana e artistica e, se gli va, di esprimere un parere sull’attuale percorso espressivo intrapreso dal suo “antico” mentore …
Alex: Paul ed Io ci conoscemmo nel lontano 1981, ed io rimasi folgorato da come lui intendeva l'arte, la musica, ma soprattutto la vita. Così all'età di sette anni abbracciai la filosofia viola, il teatro degli opposti e l'ingiusta e macabra oppressione dei giusti. Ho collaborato molto con Paul. Paolo Catena è la giusta evoluzione del suo pensiero, che ora come allora è avanti anni luce in confronto alla normale percezione della falsa realtà dettata dal grande fratello. Oggi siamo due facce di una medaglia dalle molteplici sfaccettature.
Ritornando ai brani, vi chiedo ancora un breve commento su “Still alone”, “Black, grey and white” e “Shiftless”, che ritengo altri tre momenti molto indicativi di “Strange Here II”…
Alex: Il commento va lasciato all'ascoltatore. I parametri per capire ci sono tutti ...

Domenico: “Still Alone” è una song che era stata composta nel 2011, si tratta di un omaggio alla memoria artistica di Gilas (fratello di Alexander) e del brano “17 Days” contenuto del primo EP del Paul Chain Violet Theatre.
“Black, Grey and White” è un brano nato da una nostra improvvisazione acustica, il testo era stato già scritto ma la musica è nata da sola. A mio avviso si tratta di un pezzo molto sperimentale, che ha il compito di portarci alla riflessione verso un mondo dove la serenità è inesistente.
“Shiftless”, assieme a “Still Alone”, è invece il brano più diretto dell’album e parla di come noi possiamo essere “inetti” verso il nostro prossimo. Spesso abbiamo la tendenza a sottovalutare o anche denigrare erroneamente chi ci sta davanti, senza sapere quello che una persona ha dentro o senza conoscere il suo passato. Per questa società basata sull’immagine e sull’apparenza siamo tutti inetti, come lo erano una volta molti musicisti, visti come degli alcolizzati e dei poco di buono. Ora questa tendenza è maggiore poiché l’ignoranza vince spesso sulla razionalità.
Nell’album emerge la presenza di un paio di ospiti importanti … vi va di ragguagliarci sul loro coinvolgimento?
Alex: Come per il resto, anche queste collaborazioni sono il frutto di vecchie e nuove conoscenze. Componendo e suonando un'opera completamente in studio, abbiamo voluto coinvolgere chi sembrava interessato a condividere la nostra filosofia. Così come l'improvvisazione, anche Red Crotalo ed Enri Zavalloni sono stati determinanti per la riuscita dei rispettivi brani.

Domenico: Aver collaborato con due persone speciali mi ha insegnato molto, sia musicalmente che umanamente.
Vivo nella realtà milanese, dove a volte manca il rispetto tra le persone e tutti vogliono essere protagonisti di ogni storia. Ritengo Enri Zavalloni (abbiamo registrato presso il suo “Atomic Studio” di Longiano) un artista delle tastiere e il suo apporto è stato molto importante, poiché la prima cosa che ha fatto è stata capirci artisticamente e umanamente. Il suo contributo a “Black, Grey and White” è fantastico!!!
Altra presenza importante è quella di Paolo “Red Crotalo” Pedretti dei Revenge. Ritengo che non abbia raccolto quello che meriterebbe veramente: prima di essere uno dei migliori chitarristi italiani è una persona fantastica, di una bontà che non so in quanti possano avere. Sono sempre stato un fan dei Revenge e anche dei Midway (progetto che avviò con un’altra leggenda quale Alberto Simonini dei Crying Steel). “Only if ... ” invece è un brano dedicato all’essere femminile poiché, sia nel bene che nel male, le donne sono parte della nostra vita. Amiamo e soffriamo per loro, ma l’amore della donna ci dà una carica emotiva pazzesca. Essendo un brano di grande profondità, ci voleva un’artista di grande sensibilità… chi meglio di Red Crotalo? Un grande onore!!!
I vs. testi sono sicuramente molto particolari e interessanti e ho apprezzato molto l’idea d’includerli nel booklet del Cd direttamente in italiano. Una scelta comunque “inconsueta” … da cosa nasce questa decisione? C’è un “messaggio” univoco dietro le liriche? Considerate i contenuti dei testi un contributo fondamentale alla riuscita di una canzone o l’armonizzazione delle parole con la musica è il primo obiettivo che vi prefiggete?
Alex: Non c'è armonia nei futili ed erronei concetti, tutto ciò che scrivo è di facile comprensione. La fonetica che usavo con Paul Chain mi ha aiutato con l'inglese, ma è soprattutto il messaggio che è molto forte e chiaro: puoi trovarci significati molteplici, ma il senso è uno.

Domenico: L’arte deve essere comprensibile e fruibile a tutti. Siamo orgogliosi del passato italiano.
Siamo il Paese che ha dato lustro al movimento del rock progressivo e dei grandi cantautori.
Si tratta perciò di una scelta ponderata che trae origine dalle nostre origini culturali.
Alexander è quello che si occupa di più delle liriche poiché ha una capacità poetica molto elevata; io ho scritto il testo di “Acid Rain”.
Il Cd esce per la Minotauro Records, marchio storico del dark-sound italico che funge da nobile sigillo alla release … come si è sviluppata questa collaborazione?
Alex: Conosco Marco Melzi sin dall’inizio dall'avventura con Chain. “Whited Sepulchres”, il mio primo LP con Paul, lo ha prodotto lui e quindi la scelta è stata ovvia ...

Domenico: la Minotauro Records era l’unica scelta possibile, poiché è sempre stata attiva e sensibile verso artisti e band che avevano e hanno molto da dire. Ricordiamoci che le maggiori produzioni italiane “storiche” (Boohoos, Revenge, Paul Chain, Spitfire, Strana Officina) sono di questa etichetta, che continua a svolgere il proprio lavoro con grande passione e dedizione.
Impossibile, poi, non chiedevi qualcosa sull’artwork del disco, curato da Fulvio Zagato, già mastermind del Paul Chain Fan Club (del quale conservo gelosamente la mia tessera n° 20 :) ) … sono curioso di sapere come l’avete coinvolto nel progetto, se ha lavorato in completa “autonomia” o se gli sono stati forniti da voi gli input da cui partire per la sua suggestiva elaborazione grafica di copertina e booklet …
Alex: Fulvio è una mia conoscenza dal 1988, sin dall'embrione del Paul Chain Official Fan Club. Stimo molto Fulvio, sia come persona che come professionista. Ci siamo capiti subito: io gli ho dato l'idea e lui l’ha sviluppata. Cogliamo l'occasione per ringraziarlo pubblicamente: senza di lui quest'opera sarebbe rimasta incompiuta.

Domenico: Fulvio è una persona molto creativa e di una cultura musicale molto variegata. È raro trovare una persona che possa dare il suo contributo alla causa con questo entusiasmo.
Gli sono stati dati alcuni input, ma la sua personalità e precisione gli hanno permesso di produrre un lavoro di ottimo livello, e soprattutto molto sentito. Credo che in tanti dovrebbero imparare da lui.
Avete intenzione di trasferire su di un palco l’approccio visionario degli Strange Here? Se sì, quali sono le prospettive da questo punto di vista?
Alex: Fare dei bei concerti in questa Italia comporta un grosso dispendio di denaro e di energie: non ci sono i presupposti. Per una cult band, seppur di nicchia, non ci sono spazi né grandi né piccoli. Non puoi andare a proporre uno spettacolo senza le minime basi: i locali non sono attrezzati, o se lo sono, con le spese a nostro carico non ci verrebbe garantito nemmeno un rimborso decente. Non possiamo suonare per rimetterci, non sarebbe corretto e non disponiamo nemmeno dei fondi necessari. Ci siamo dovuti pagare anche le registrazioni e il master in studio. Non credo sia giusto, dopo ventisette anni di carriera, offrire ai nostri fan uno spettacolo mediocre per ovvi problemi economici. Comunque, chi avrà modo di vederci dal vivo non rimarrà deluso: sarà la rivincita dei giusti, la rivalsa su questo sistema malvagio.

Domenico: La volontà di portare il “concetto” Strange Here dal vivo c’è, e stiamo cercando un batterista che sia disponibile a farne parte. Vedremo cosa ci riserverà il futuro.
Il mercato attuale è saturo di uscite che si rivolgono alla “storia” del rock, e pur apprezzando la riscoperta di certi suoni, non sempre rilevo la necessaria attitudine per rendere il quadro complessivo qualcosa di più di una diligente operazione calligrafica … qual è il vostro pensiero su questo fenomeno?
Alex: Parli di tutte queste band copia delle copie? Non ho le informazioni per darti una risposta equilibrata e giusta. Non voglio offendere nessuno, ma una cosa la devo dire: dove non c'è originalità non vuol dire che non ci sia voglia di fare bene, hanno semplicemente sbagliato il modo …

Domenico: Sì, concordo con te, troppe uscite con proposte molto simili o addirittura uguali, sia per quanto riguarda il contenuto musicale che l’immagine. La mia opinione è che le ultime produzioni di alto livello siano quelle dei primi anni ’90: infatti, basta ascoltare LP come quelli dei primi Soundgarden, Alice in Chains e Pearl Jam per capire in quale modo questi artisti siano riusciti a prendere il vecchio rock anni ’70 (Black Sabbath e Led Zeppelin in primis) e renderlo personale, introducendo influenze di vario tipo. Se nel 2015 album come “Dirt” o “Badmotorfinger”, o anche l’unico LP dei Temple of the Dog, danno ancora forti emozioni (per non spingerci in periodi artistici/musicali ancora più datati) ci si dovrebbe fare qualche domanda. Come te, credo siano operazioni commerciali poiché al giorno d’oggi mancano le idee … Ogni forma o stile musicale nasce in un contesto sociale diverso, ed è sicuramente difficile essere credibili in alcune proposte, poiché i musicisti di riferimento vivevano nella misera e nella povertà, e non certamente nella ricchezza e nella virtualità odierna.
Ora una domandina un po’ “pericolosa” … vi chiedo un giudizio sul ruolo della critica musicale in questo mondo caratterizzato dall’opinionismo sfrenato …
Alex: Una critica negativa, fatta dalla persona giusta, può stroncare una carriera faticosamente costruita. Ognuno ha la propria opinione: non trovo sia tuttavia giusto censurare nessuno, basta che si abbia competenza e rispetto, non semplice interesse ... la cattiveria gratuita è dello stolto.

Domenico: Rimpiango i tempi in cui andavo a comprare la rivista cartacea con le interviste alle mie band preferite, e soprattutto quando potevi interagire con la redazione mandando mail o lettere con domande o argomentazioni che poi venivano inserite nelle varie rubriche.
Come dici tu, siamo dominati dall’opinionismo sfrenato e ci sono due effetti: uno positivo e l’altro negativo. L’aspetto positivo è che oggi abbiamo la possibilità di interagire in un modo più immediato e veloce, sia con i siti specializzati che con i vari musicisti, ma esiste un problema troppo grande che difficilmente verrà colmato: infatti noto una grossa carenza di cultura generica e si è smesso di leggere e di dare spazio all’Arte. Siamo stati la culla del cinema (Antonioni, Pasolini), della letteratura (Pascoli, Foscolo) e della poesia musicata (Battisti, De Andrè, Le Orme).
Purtroppo abbiamo scelto di essere il paese dei rotocalchi e degli opinionisti televisivi, e questo permette anche a chi non ha niente da dire di sentirsi presuntuosamente qualcuno, mentre invece è solo uno tra milioni di altri.
Ringraziandovi ancora una volta per il tempo concessoci e rinnovando i complimenti, non mi resta che lasciarvi il “microfono” per i commenti finali!
Alex: Ringrazio te per l'opportunità, e credo e spero che un giorno la luce della giustizia trionfi su questo malvagio disegno ipocrita e distruttivo …
Intervista a cura di Marco Aimasso

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