(11 novembre 2016) British Lion, 11/11/2016, Live Club di Trezzo sull'Adda (MI): il ruggito del Re Sole Steve

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Provincia:MI
Costo:€ 20 + diritti di prevendita | € 25 in cassa
Negli ultimi mesi, il mio feeling con le band di apertura è andato, ahimè, progressivamente scemando. L’umida serata di Trezzo non fa che conferir ulteriore conferma al trend negativo.
Varco così la soglia del Live mentre l’esibizione dei Voodoo Six volge alle battute finali; giusto il tempo di saggiarne una volta ancora le discrete capacità dal vivo, fruendo così di 15 minuti circa di sano, robusto hard rock iniettato di groove.

D’altra parte, tanto vale esser franchi: ai miei occhi accecati dal riverbero dell’amore, tutti gli “altri” musicisti impegnati stasera non sono che sparuti corpi celesti che orbitano intorno al Sole Harris. Lo stesso Steve, caparbio come suo solito nel ribadire che i British Lion sono una vera band, avverserebbe senz’altro una simile interpretazione. Eppure, il dato di fatto resta incontrovertibile: io sono qui per lui, ed il resto del -peraltro folto- pubblico pure.
Salutiamo quindi la compagine apripista e attendiamo l’ingresso della stella madre del sistema solare del metal… ok, la pianto.



BRITISH LION
Dieci di sera in punto: eccoli qui, annunciati da una breve intro sinfonica, i nostri amici leonini, che attaccano con “This is My God” -mai stata tra le mie favorite, ad onor del vero-. Il pubblico, invece, pare gradire, mentre i suoni si attestano già su buoni livelli. Miglioreranno ancora con la successiva “Lost Worlds”, anch’essa tratta dal disco d’esordio.
A rappresentare il nuovo corso del gruppo intervengono poi le inedite “Father Lucifer”, “The Burning” (senza dubbio la più maideniana del lotto… e infatti tra le migliori di serata) e “Spitfire”.

Seguono a ruota le già note “The Chosen Ones” e “These are the Hands”, che da un lato certificano la sostanziale riproposizione della setlist congegnata in occasione del tour inglese del 2015, e dall’altro permettono di stendere un primo bilancio.
Per quanto concerne il futuro compositivo del gruppo inglese, si ottiene conferma che la direzione intrapresa è quella giusta: i nuovi pezzi posseggono maggior brio compositivo, dinamica e robustezza rispetto a quelli più risalenti. Speriamo solo che, quando si tratterà di inciderli, non vengano sgonfiati dalla solita produzione involuta made in Steve
Con riguardo, invece, all'esibizione in senso stretto, possiamo spendere parole di elogio, senza tuttavia cedere al trionfalismo.

Se, infatti, sembra corretto iscrivere il drummer Simon Dawson e l’occhialuto chitarrista David Hawkins nel partito degli onesti mestieranti, non ci si può esimere dall’assestare una virtuale tiratina d’orecchie all’altra ascia Graham Leslie, invero piuttosto grossolano in taluni passaggi. La somiglianza fisica con Janick Gers si dimostra, alla riprova dei fatti, fuorviante: del brio anarchico di quest’ultimo non v’è traccia, della sua dirompente presenza scenica tantomeno.
A proposito di presenza scenica…

Affermiamolo sin d’ora: la voce di Taylor in sede live si fa preferire nettamente rispetto a quella, sottile ed esangue, messa in mostra in studio di registrazione. Però, Richard mio, se ci soffermiamo sulle doti da frontman andiamo maluccio. Si può anche sorvolare sulla mancanza di carisma, ma ti prego di rottamare quanto prima le mossette da pugile epilettico: creano davvero gelo tra gli astanti, oltre a materializzare sinistre analogie con la sfilata a due tra Derek Zoolander e Hansel McDonald (se non sapete di cosa parlo vergognatevi).
Per fortuna ci pensa babbo Steve a salvare la baracca, con la sua intensità strabordante, le sue leggendarie pose e le sue linee di basso sferraglianti. Il tutto mettendosi a pieno servizio della band, senza alcun atteggiamento di superiorità o smania di protagonismo. Patrimonio dell’umanità.



È presto tempo per due ulteriori inediti: la granitica “Bible Black” ed il mid tempo “Guineas and Crowns” rinsaldano la convinzione che le premesse per un secondo full length di buon livello ci sono eccome.
Prima però, come già trapelato sul web e confermato stasera da Taylor, verrà realizzato un live album, con registrazioni carpite da alcune delle date di questo tour. Chissà che, dopo la “Wasted Beers” (cit.) catturata a Milano nel ’99 ed inserita nel single “Out of the Silent Planet”, io non finisca di nuovo su una incisione ufficiale Maiden-related…

Va bene, abbandoniamo i nerdismi e concentriamoci sull’esibizione, ormai agli sgoccioli. Rimane il tempo, tra le altre, per le belle “Us Against the World” e “World Without Heaven” -un giorno in cui non avrò nulla da fare mi metto a contare quante volte Steve ha utilizzato i vocaboli “dream” e “world” nei suoi testi: saremo nell’ordine delle migliaia-.
Il compito di chiudere le danze, come ci si poteva attendere, viene assegnato alle contagiose melodie di “Eyes of the Young”.

Cala quindi il sipario su una esibizione compatta, energica ed onesta, che non avrà presumibilmente cambiato la vita di nessuno ma che ha comunque garantito 80 minuti di divertimento e coinvolgimento. Proprio come il buon vecchio hard rock dovrebbe fare, no?

Io e te, caro Steve, ci rivediamo a fine aprile in quel di Anversa. Ma questa è un’altra storia…

Live report di Marco Caforio
Foto di Giulia Bianchi

BRITISH LION setlist:
1- This is my God
2- Lost Worlds
3- Father Lucifer
4- The Burning
5- Spitfire
6- The Chosen Ones
7- These are the Hands
8- Bible Black
9- Guineas and Crowns
10- Last Chance
11- Us Against the World
11- A World Without Heaven
12- Judas
13- Let it Roll
14- Eyes of the Young
Report a cura di Marco Cafo Caforio

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