(26 luglio 2008) ROCKIN' FIELD 2008 - 26/07/2008 - Parco Idroscalo - Milano

Info

Provincia:MI
Costo:40 euro+prev. (posto unico)
La prima edizione del Rockin’ Field Festival parte subito sotto degli allarmanti auspici. Infatti, il ritardo nell’apertura della Cassa Accrediti fa perdere al sottoscritto, ed al resto della comitiva di Eutk, ben tre quarti dell’esibizione dei The Clairvoyants. Tuttavia l’aspetto peggiore è stato dover riscontrare che l’affluenza di pubblico nel parco dell’Idroscalo era decisamente inferiore alle aspettative. Sarà il periodo sicuramente non propizio o il timore di qualche brutto scherzo da parte del tempo, ma ad occhio e croce credo si siano superate di poco le 3000 persone.
Ad ogni modo tutti quanti belli carichi ed animati dalle migliori intenzioni, tanto da riuscire a resistere ad un temporale con annesso acquazzone, che ha penalizzato soprattutto lo show degli Epica, i quali visti da sotto il palco sembravano sinceramente dispiaciuti per i loro fans.
Dopo di che l’assalto delle feroci zanzare dell’Idroscalo è stata la ciliegina sulla torta.

THE CLAIRVOYANTS (14.00)

Ma partiamo dall’inizio. Quando dall’ingresso del parco avverto le prime avvisaglie dell’inizio del concerto, ho subito escluso che si potesse trattare dei Clairvoyants, dato che non riconoscevo in quelle note nessuna traccia di quegli Iron Maiden, dei quali i Clairvoyants sono una delle più note e migliori cover band. Invece quando arrivo a portata del palco vi riconosco la formazione lombarda intenta a presentare alcuni dei brani, di propria composizione, che andranno a comporre l’album d’esordio, cui è prevista l‘uscita nel prossimo autunno per la Valery Records.
Purtroppo l’unica canzone che ho potuto ascoltare nella sua interezza è stata la conclusiva “Sheer Hate”, che mi ha svelato il lato “inedito” dei Clairvoyants, che sembrano tenere le distanze dalle usuali sonorità maideniane a favore di un Heavy Metal dinamico ed articolato. Beh… ne riparleremo a tempo debito.

(Sergio Rapetti)

WHITE SKULL (14.40)

Ecco quindi i rinnovati White Skull, ed immediatamente si nota al centro del palco quella che è la nuova vocalist del gruppo, Elisa De Palma, brava e dalla più che discreta presenza scenica.
Con una nutrita discografia alla spalle non deve essere stato facile per i White Skull scegliere solo quattro canzoni. Ma una scelta andava fatto, e così si parte con la rocciosa “After the Battle”, subito doppiata dalle altrettanto trascinanti “The Roman Empire” e “Dark Ages”, dove al fianco dei due chitarristi, il carismatico Tony Fontò e lo scatenato Danilo Bar, si registra però l’assenza del bassista Steve Balocco. Ovviamente i ritmi sono dettati dall’altro membro storico del gruppo (assieme a Fontò), il batterista Alex Mantiero, il quale lascia il proprio marchio anche sulla conclusiva “Asgard”, che è ormai un vero e proprio cavallo di battaglia dei White Skull, sempre convincenti dal vivo, dove fa piacere vedere i presenti partecipare ai cori epici di questo brano.
I White Skull sembrano aver superato senza particolari problemi la separazione dal precedente cantante Gus Tabarro, inoltre credo che la scelta di avere puntato nuovamente su una cantante femminile non possa che aprire a soluzioni e prospettiva interessanti. Ora la palla passa a Fontò e soci per la conferma...

(Sergio Rapetti)

ELUVEITIE (15.10)

Dopo la conferma dei White Skull, ecco la sorpresa rappresentata dagli Eluveitie, con il cantante (e polistrumentista) Chrigel Glanzmann a prendere possesso del palco con una grinta invidiabile. Meno dinamici i musicisti che lo accompagnano lungo, sia i due chitarristi ed il bassista, sia le due ragazze che suonano gli strumenti tradizionali, come il flauto, la ghironda ed il violino.
Già, quello proposto da questa formazione svizzera è un mix di Melodic Death Metal (sul quale aleggia lo spettro dei Dark Tranquillity) e sonorità folk e mediovaleggianti. La cosa funziona, e così gli estratti dai due album del gruppo (l’esordio “Spirit” ed il recentissimo “Slania”) vengono ben accolti dal pubblico, che sia la più violenta “Bloodstained Ground” dove la componente Death Metal viene ammorbidita dal violino e dalla ghironda, oppure che si tratti di pezzi maggiormente influenzati dal Folk Metal, pur sempre in un contesto estremo, come “Your Gaulish War” e la saltellante “Tegernako” che chiude questa piacevole parentesi.

(Sergio Rapetti)

BIOMECHANICAL (15.40)

Primo, ed alla resa dei conti l’unico, passo falso nel bill del Rockin’ Field, dato che questa formazione inglese non riesce a convincere e non sembra particolarmente in serata.
Quello dei Biomechanical è un Heavy/Thrash metal articolato ed “evoluto”, che punta molto sull’aspetto tecnico e vede il cantante, e leader del gruppo, John K proporsi spesso in un cantato alla Rob Halford (…non basta indossare una maglietta dei Judas Priest ma non sempre efficace. E non sono nemmeno fortunati, dato che vengono penalizzati anche da diversi problemi tecnici, come quelli che affliggono il chitarrista Gus Drax al termine di “The Empires of the Worlds”. Anche la titletrack del loro ultimo disco, “Cannibalised”, forse il brano migliore tra quelli suonati stasera, non riesce a catturare l’attenzione e le simpatie dei presenti, così la loro esibizione scivola via senza colpo ferire.
A loro discolpa bisogna ammettere che la loro proposta sonora, perlomeno per questa occasione, era decisamente “fuori tema”.

(Sergio Rapetti)

THRESHOLD (16.10)

Erano quasi dieci anni che i Threshold non tornavano in Italia, da quando nel Marzo del 1999 la band inglese si era esibita in uno show esplosivo al Babylonia di Biella in compagnia di Pain of Salvation ed Eldritch. Naturale quindi che l'attesa dei fan fosse enorme, specialmente alla luce del ritorno nei ranghi della band dell'apprezzatissimo singer Damian Wilson, che da pochi mesi ha ripreso il suo posto dietro al microfono dopo la dipartita di Andrew MacDermott.
E' davvero bizzarro che un gruppo dell'importanza dei Threshold si esibisca in uno slot così basso, considerando anche la maggiore anzianità del gruppo di Karl Groom rispetto a Vision Divine ed Epica, ma i sei musicisti inglesi non si lasciano influenzare dall'esiguo numero di spettatori presenti e riescono addirittura a dar vita a quella che personalmente ritengo l'esibizione più emozionante dell'intera giornata.
Sono da poco passate le 16 quando le note di "Slipstream" segnano l'inizio del concerto. Come ci si aspettava è proprio l'opener del recente "Dead Reckoning" il brano scelto per scaldare il pubblico dell'Idroscalo, col suo sound potente e melodico, caratterizzato dai riff rocciosi della coppia Groom - Morten e da una discreta performance di Damian Wilson, costretto a cantare canzoni scritte e pensate per la voce di MacDermott. Si prosegue con la martellante "Pressure", in cui i Threshold evidenziano sì una buona coesione, ma anche una certa inadeguatezza nei cori, a malapena udibili. Wilson ha quindi la possibilità di esibirsi su un brano che conosce bene, la coinvolgente "Part of the Chaos" di "Extinct Instinct", suonata alla grande dai sei musicisti britannici, nella quale si fa notare il bel duetto tra la chitarra di Karl Groom e le tastiere di Richard West. I Threshold proseguono il concerto con la meravigliosa "Light and Space", brano davvero incisivo ed orecchiabile che mette ancora una volta in evidenza l'ottima tecnica strumentale di Groom e West, toccando successivamente il momento migliore dell'intero show con la lunga "Pilot in the Sky of Dreams", canzone che rappresenta al 100% lo stile dei Threshold e che per questo motivo è anche stata scelta come singolo del recente studio album. L'esibizione della band è emozionante ed intensa, con una grandissima interpretazione proprio di Wilson, alle prese con un brano piuttosto impegnativo dal punto di vista vocale. Il concerto si chiude con l'anthemica "Mission Profile", il brano d'apertura di "Subsurface" in cui il drummer Johanne James da' sfoggio delle sue ottime capacità strumentali con passaggi e rullate di pregevole fattura.
Il concerto dei Threshold è durato poco meno di un'ora, davvero troppo poco per ritenersi soddisfatti dopo tutti questi anni di assenza dall'Italia. Speriamo che tornino presto da queste parti perchè non vedo davvero l'ora di sentirli di nuovo!

(Marco Pessione)

Setlist:
SLIPSTREAM
PRESSURE
PART OF THE CHAOS
LIGHT AND SPACE
PILOT IN THE SKY OF DREAMS
MISSION PROFILE


VISION DIVINE (17.20)

L'abbandono dei Vision Divine da parte di Michele Luppi è stata probabilmente una delle peggiori notizie che questo 2008 metallico ci abbia riservato, sia per le eccellenti doti canore del singer, sia per la nitida evoluzione che la presenza di Luppi aveva provocato nello stile del gruppo di Olaf Thorsen. Fabio Lione torna così ad occupare quel ruolo che era già suo in origine, quando i Vision Divine nascevano come side-project di due delle personalità più carismatiche della scena metal italiana, e il Rockin' Field è una delle prime date in cui i fan hanno la possibilità di apprezzare il comeback del singer toscano.
L'inizio dello show dei Vision Divine è affidato a due brani di eccezionale caratura, proprio i brani che nel 2004 avevano fatto conoscere la voce di Michele Luppi ai fan del gruppo, ma che in realtà erano stati scritti dallo stesso Lione: "The Secret of Life" e "Colours of My World" vengono proposte con un sound un po' troppo confuso, con tastiere dal volume eccessivamente basso, e benché Lione dimostri di essere davvero in splendida forma, la differenza con la voce del precedente singer è sin troppo evidente.
Segue la title track del disco di esordio, "Vision Divine", brano un po' datato (e sinceramente neanche tra i migliori di quell'ottimo disco), ma che permette comunque a Lione di fare bella figura su linee vocali più adatte alla sua timbrica. Decisamente ottima la resa della bellissima "A Perfect Suicide", uno dei momenti migliori del recente "The 25th Hour", così come la successiva "The First Day of a Never-ending Day", in cui Fabio dimostra di trovarsi decisamente a suo agio su ritmi meno sostenuti, una situazione della quale beneficia anche il sound del gruppo, assai meno confuso rispetto ai minuti iniziali del concerto.
"Alpha & Omega" e "God is Dead" segnano purtroppo l'avvento di una bruttissima precipitazione sul parco dell'Idroscalo, rovinando gli ultimi minuti dell'esibizione dei Vision Divine, con gli spettatori costretti a trovare riparo dalla pioggia sotto gli alberi e gli stand presenti, prima che l'immancabile "Send Me an Angel" segni la fine del concerto.

(Marco Pessione)

Setlist:

SECRET OF LIFE
COLOURS OF MY WORLD
VISION DIVINE
THE 25TH HOUR
FIRST DAY OF A NEVER-ENDING DAY
ALPHA AND OMEGA
GOD IS DEAD
SEND ME AN ANGEL


EPICA (18.30)

I fan degli Epica si sono certamente meritati il titolo di "supporter più intrepidi" dell'edizione 2008 del Rockin' Field, dal momento che le avverse condizioni meteorologiche hanno funestato praticamente ogni minuto dello show della band olandese. Le numerose secchiate d'acqua non hanno però fermato i fan del gruppo di Simone Simons, da poco tornata alle esibizioni live dopo una lunga malattia, durante la quale la sua assenza è stata supplita grazie al contributo della singer Amanda Sommerville.
La setlist ricalca purtroppo, in maniera sin troppo marcata, quella del concerto dello scorso autunno, quando i sei musicisti si sono esibiti all'Alcatraz di spalla ai Sonata Arctica. Benché sia quasi del tutto assente la novità, la qualità della loro prova è però decisamente superiore rispetto a quella data, grazie alla voce più fresca ed allenata della frontgirl, che appare anche più comunicativa che in passato.
Infatti la travolgente "The Obsessive Devotion" dimostra la rinnovata vitalità della cantante, che permette alla band di trasmettere la giusta carica agli eroici fan. Con le successive "Sensorium" (brano molto amato dal pubblico e sempre presente in scaletta) e "Menace of Vanity" gli Epica sfoderano una prestazione senza dubbio convincente. Sorpresa gradita è la presenza della Sommerville in "Quietus", in cui il duetto con Simone è reso particolarmente piacevole dalla somiglianza timbrica tra le due vocalist. Si prosegue con l'eccellente "Façade of Reality" e con la notevole "Fools of Damnation", seguita dalla marziale "Sancta Terra", una tripletta di brani nei quali l'alternanza tra la voce cristallina della Simons ed il growling cavernoso di Mark Jansen crea il forte contrasto che da sempre caratterizza il sound del gruppo. A intevallare l'esecuzione tra il brano di "The Phantom Agony" ed i successivi due, facenti parte del più recente "The Divine Conspiracy", troviamo "Crystal Mountain" dei Death: come di consueto, il grintoso chitarrista esegue una cover per permettere alla cantante di poter riprendere fiato, con esito tutt'altro che spiacevole.
La chiusura del concerto è affidata alla suite "Consign to Oblivion", mentre un timido sole comincia a fare capolino alla destra del palco e la pioggia diviene meno intensa. Si conclude così un concerto godibile, che presenta poche pecche, che non ne hanno comunque pregiudicato la resa: la scarsa presenza di pezzi provenienti dall'apprezzabile "Consign to Oblivion" e del singolo dell'ultimo album, "Never Enough", senz'altro adatto a scaldare ancor maggiormente la platea.

(Marco Pessione)

Setlist:

THE OBSESSIVE DEVOTION
SENSORIUM
MENACE OF VANITY
QUIETUS
FAÇADE OF REALITY
CRYSTAL MOUNTAIN (DEATH COVER)
FOOLS OF DAMNATION
SANCTA TERRA
CONSIGN TO OBLIVION


HELLOWEEN (20.15)

A novembre, quando erano passati dalle nostre parti in compagnia dei Gamma Ray, gli avevo preferito Bruce Springsteen e la E Street band (si sa, ognuno ha le sue folli passioni) ma il rammarico di essermi perso quello che tutti avevano definito come un grande show era rimasto.
Oggi, a parecchi mesi di distanza, mi è data finalmente l’occasione di rifarmi. Ed è impossibile non provare brividi lungo la schiena quando, dopo l’intro “Crack the riddle” che apriva l’ultimo album, la band al gran completo fa il suo ingresso on stage e partono le note spettrali di “Halloween”. Se penso che sin da quando ero ragazzino avrei dato via un braccio per sentirla dal vivo… e oggi finalmente il sogno si avvera! Per fortuna l’esecuzione del gruppo rende pienamente giustizia a questo immenso capolavoro, e anche il buon Deris se la cava più che egregiamente, confermando il buono stato di forma in cui versa da circa due anni a questa parte.
Brividi a iosa anche per il secondo pezzo, quella “March of time” che, esattamente come tutto “Keeper…” ha marchiato a fuoco la mia giovinezza. Anche qui ottima esecuzione, potente e precisa quanto basta, e ottimo Deris dietro al microfono, a cui perdoniamo la svista clamorosa di avere annunciato la song come contenuta nel Keeper 1…
Chi c’era a novembre avrà sicuramente capito che la setlist non è variata di una virgola, se non per qualche taglio operato per ragioni di tempo. Con “As long as I fall” ci si tuffa in territori recenti, ma è solo una parentesi perché il passato storico della band avrà uno spazio a dir poco ingombrante questa sera (e lasciatemi dire che era ora!): “A tale that wasn’t right”, “Dr. Stein”, “Eagle fly free” vengono offerte al pubblico come manna dal cielo, e pazienza se bene o male il copione è sempre quello: con il gruppo che suona così c’è sempre da divertirsi! Peccato solo che si ostinino a riproporre “If I could fly”, un pezzo a dir poco scialbo e decisamente noioso da ascoltare dal vivo. Bello invece il medley conclusivo, che offre una carrellata su alcune hit del passato recente: si parte con l’intro di “Perfect gentleman” (dove Deris si presenta con immancabile cilindro e bastone, oltre che con una giacca rossa decisamente imbarazzante) seguita a ruota da “I can” (e due enormi zucche gonfiabili arrivano ai lati della pedana della batteria), poi “Where the rain grows”, ancora “Perfect gentleman”, durante la quale il singer si diverte a far cantare la folla, “Power” e un finale emozionante con il ritornello di “Keeper of the seven keys”. Non sarà stato come due anni fa, quando la riproposero per intero, ma anche stavolta ha fatto la sua porca figura. C’è ancora tempo per un paio di pezzi, nonostante sia già buio e il pubblico attenda spasmodicamente Sammet e soci.
“Future world” e “I want out” sono le immancabili ciliegine sulla torta di uno show assolutamente riuscito. Che dire? Gruppo rinato? Terza giovinezza in arrivo (la seconda è già stata consumata alla fine degli anni ’90!)? Non saprei, anche perché su disco non mi stanno convincendo per nulla. Eppure, sarà che finalmente è tornata l’intesa personale (mi pare che Weikath si diverta molto di più ultimamente), sarà che questa line up è decisamente valida (bravissimo Sascha Gerstner alla seconda chitarra, questo ragazzo sta crescendo sempre di più, e dire che era stato molto bistrattato all’inizio) o che finalmente Deris riesce ad offrire ottime prestazioni dal vivo, ma davvero gli Helloween di stasera ci sono piaciuti parecchio! Non resta che augurarci che vadano avanti così, e che magari riescano ad azzeccare il prossimo disco: ne avremmo tutti un gran bisogno…

(Luca Franceschini)

Setlist:

CRACK THE RIDDLE (INTRO)
HALLOWEEN
MARCH OF TIME
AS LONG AS I FALL
A TALE THAT WASN’T RIGHT
EAGLE FLY FREE
IF I COULD FLY
DR. STEIN
MEDLEY: I CAN, WHERE THE RAIN GROWS, PERFECT GENTLEMAN, POWER, KEEPER OF THE SEVEN KEYS

Encore:
FUTURE WORLD
I WANT OUT


AVANTASIA (22.05)

“We don’t like the true heavy metal but we get paid for it”. Questa la frase pronunciata da un istrionico Tobias Sammet poco prima dell’esecuzione di “Shelter from the rain”. E fatemi dire che ho il sospetto che non scherzasse affatto! Negli anni il singer e compositore tedesco ha dimostrato di avere una marcia in più, tanto che il rimanere ingabbiato all’interno delle solite etichette stava probabilmente cominciando ad andargli stretto. E così ecco arrivare “Rocket ride”, un disco bellissimo, che si discostava non poco dal classico trademark della band, e successivamente il terzo capitolo di Avantasia, un disco decisamente diverso dai precedenti, e che infatti ha ricevuto la sua buona dose di critiche. Questa sera assistiamo finalmente alla celebrazione live di quello che è indubbiamente uno dei progetti più interessanti degli ultimi anni, e la maggior parte dei presenti è qui soprattutto per sentire del buon power metal. Nessuno andrà via deluso, ma state attenti, perché ho la certezza che il buon Tobi sia molto di più di ciò che sembra, e che presto potrebbero arrivare delle belle sorprese…
Eccoci qui, dunque, con la consapevolezza che quella di stasera sia un’occasione più unica che rara: quando mai capita di vedere un tale cast di musicisti riuniti sullo stesso palco? Per fortuna le aspettative, che erano parecchio alte, non sono state tradite: quando il riff sabbathiano di “A twisted mind” irrompe dagli amplificatori e la band sale sul palco, abbiamo tutti la certezza che assisteremo ad uno show speciale. Tobi si presenta agghindato come nemmeno il peggior Steven Tyler, ma glielo perdoniamo alla grande! La sua voce è potente e passionale come al solito, non è un mostro di tecnica come i suoi compagni di avventura, ma per il ruolo che ha basta e avanza. Dopo questo antipasto, è la volta delle orchestrazioni celtiche di “The scarecrow”, una canzone che per me significa solo una cosa: arriva Jorn Lande! E difatti, quando il norvegese fa il suo ingresso dall’alto dello stage, e inizia a cantare “So you’re an angel meant to walk down here…”, la pelle d’oca è già alta un metro! Spaventoso, letteralmente spaventoso, decisamente meglio di quanto lo vidi coi Masterplan qualche anno fa. E sulla successiva “Another angel down” ogni altro aggettivo si spreca: bisognava esserci per capire. Siamo a tre canzoni, ed è già eccezionale: del resto con la band stellare che Tobi si è portato in giro, è difficile fallire il compito. Sascha Paeth (momento emozionante quando l’ho incontrato prima dell’inizio show e gli ho rivelato il mio folle amore per gli Heaven’s Gate… peccato mi abbia risposto che non ci sarà mai nessuna reunion) lo conosciamo tutti, Robert Hunecke è un altro reduce dagli Heaven’s Gate, che per chi scrive sono stati la più grande power metal band del globo (non esagero! Procuratevi “Livin’ in hysteria e sappiatemi dire). E poi Miro alle tastiere, Felix Bonhke degli Edguy alla batteria e alla seconda chitarra niente meno che il mitico Oliver Hartmann, ovvero uno dei più grandi talenti della scena hard rock ed heavy metal: cantante eccellente, compositore magistrale (vi rimando alle recensioni dei suoi due album solisti) e adesso anche chitarrista di tutto rispetto! Facciamo subito un monumento a quest’uomo! A sostenere egregiamente le parti vocali, ci sono poi Amanda Sommerville e un’altra cantante di cui non ho afferrato il nome. Non è una band vera e propria, ma l’affiatamento che dimostrano è ammirevole, specie se si considera che non hanno suonato molto dal vivo con questa formazione.
La setlist privilegia ovviamente i brani dell’ultimo disco, ma vengono eseguite anche cose più datate come “Reach out for the light”, nella quale fa la sua prima comparsa André Matos, che si occupa delle parti che sul disco erano di Kiske. Il singer brasiliano si presenta con look barocco come al solito, esalta il pubblico da vero frontman qual è, ma ha un microfono dannatamente basso, così che sarà il più penalizzato di tutta la serata.
Ma la vera sorpresa di questa sera (fino a un certo punto, dato che la notizia circolava da qualche giorno) è la presenza unica ed esclusiva di Bob Catley, che è potuto esserci all’ultimo momento grazie alla cancellazione di un concerto dei suoi Magnum. Insieme lui e Sammet eseguono “The story ain’t over”, una perla che è stata sciaguratamente lasciata fuori dalla tracklist del disco. Inutile dire che l’interpretazione del piccolo singer britannico è commovente: valeva la pena di esserci solo per questi pochi minuti! Si prosegue alla grande con la veloce “Shelter from the rain”, sulla quale compare di nuovo Matos e che è impreziosita da un altro, grandissimo, intervento di Bob Catley. Viene poi il turno di “Lost in space”, song che ha generato ogni sorta di polemica in merito al suo presunto carattere commerciale; lo stesso Sammet ironizza sulla cosa ma poi giustamente ci tiene a precisare che non gliene frega nulla di quello che la stampa può scrivere di lui e dei suoi pezzi, in quanto è convinto che se un pezzo è bello, lo rimanga comunque, pop o metal che sia. Come dargli torto? Calo di tensione solo durante “I don’t believe in your love”, che nonostante l’ottima prova di Hartmann rimane il pezzo più debole dell’intero disco.
Emozionante è invece il tuffo nel passato rappresentato da “Avantasia” (ovviamente cantata in coro da tutto il pubblico) e dalla meravigliosa “Serpents in paradise”, con un Lande sempre più stratosferico ad esibirsi nella parte che fu di David De Feis.
Graditissima sorpresa è poi la presenza di “Promised land”, altra outtake del disco di valore eccelso, che ci viene riproposta nell’ennesimo duetto da pelle d’oca tra Sammet e Lande.
Siamo alla fine, purtroppo: nei bis arrivano una tenebrosa versione di “The toy master” (si poteva anche evitare, senza Alice Cooper è un pezzo che ha poche ragioni di essere) e una toccante “Farewell”, sulla quale finalmente abbiamo l’occasione di ammirare la voce di Amanda Sommerville. Infine, a coronamento di uno show pericolosamente vicino alla perfezione, ecco arrivare una potente “Sign of the cross”, con la partecipazione di tutto il cast vocale al gran completo e con una divertentissima presentazione della band da parte di un Sammet sempre più frontman di razza. In coda, c’è anche tempo di infilare il ritornello della strepitosa “Seven angels”, che fa cantare e saltare i presenti, in un tripudio festoso che è il perfetto sigillo di una serata davvero riuscita.
Concerto metal dell’anno? Per quanto mi riguarda potete scommetterci! Anche se, da fastidioso pignolo che sono, non posso evitare di infilare un paio di appunti: il secondo capitolo di “Metal opera” è stato completamente trascurato e soprattutto, avendo a disposizione due pezzi da novanta come Bob Catley e Amanda Sommerville, non sarebbe stato meglio sfruttarli di più? Sinceramente avrei gradito “What kind of love” e “Cry just a little”...
Sono dettagli, comunque: quello di stasera è stato un concerto emozionante come davvero da molto tempo non ne vedevo. Grandi Avantasia! Adesso cominciamo tutti ad attendere il nuovo Edguy…

(Luca Franceschini)

Setlist:

A TWISTED MIND
THE SCARECROW
ANOTHER ANGEL DOWN
REACH OUT FOR THE LIGHT
THE STORY AIN’T OVER
SHELTER FROM THE RAIN
LOST IN SPACE
I DON’T BELIEVE IN YOUR LOVE
AVANTASIA
SERPENTS IN PARADISE
PROMISED LAND

Encore:
THE TOY MASTER
FAREWELL
SIGN OF THE CROSS/SEVEN ANGELS

A cura di Luca Franceschini, Marco Pessione e Sergio Rapetti.
Foto di Sergio Rapetti
Report a cura di Sergio 'Ermo' Rapetti

Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 30 lug 2008 alle 09:24

e questo devo dire che mi spiace davvero di essermelo perso...