(22 settembre 2015) Steven Wilson: live @ Auditorium Conciliazione (Roma)

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Area:Other Area
Provincia:RM
Costo:a partire da 25€ + ddp
Posto tra Castel Sant'Angelo e Piazza San Pietro, l'Auditorium Conciliazione di Roma è il luogo ideale per i grandi eventi. In occasione di una serata speciale durata più di due ore, si è trasformato in un santuario della musica dove si sono alternati momenti di profondo raccoglimento ad altri di stupita ammirazione. È l'effetto della magia di Steven Wilson, tornato nella capitale con un concerto impeccabile, intenso ed emozionante, capace di cristallizzare il tempo grazie a un'esperienza audiovisiva coinvolgente e d'impatto, coadiuvata da sequenze video proiettate sullo sfondo.

A piedi nudi sul palco, Wilson suona le prime canzoni tratte dall'ultimo album "Hand. Cannot. Erase.", prima di fermarsi e introdurre "una canzone molto triste, che si rispecchia nelle azioni ripetitive che ogni persona compie tutti i giorni". È la struggente Routine, che prosegue idealmente quella poetica del dolore e della perdita che il leader dei Porcupine Tree padroneggia da sempre con grande disinvoltura e sensibilità. Probabilmente perché conosce a fondo la sua dimensione esistenziale, che traspare chiaramente anche quando racconta alla platea, tra il serio e il faceto, quanto sua madre talvolta lo consideri una persona deprecabile. Scatta l'immancabile risata tra i presenti, ma sul suo volto impassibile si nota sempre quel fondo di profonda amarezza che è un misto di quieta accettazione e cupa rassegnazione. Non è chiaro se la confidenza condivisa col pubblico sia stata voluta o spontanea, ma forse non è proprio un caso che il pezzo eseguito subito dopo sia stato "Don't Hate Me", primo dei sei brani dei Porcupine Tree proposti duranti il concerto. Dopo la magnifica "Lazarus", che ha sul groppone ben dieci anni ma sembra ancora una delle canzoni più fresche e ispirate dell'artista inglese, è arrivato il turno di un inedito: "My Book of Regrets".
"Doveva essere originariamente incluso in 'Hand. Cannot. Erase.' ma all'ultimo momento il pezzo è stato scartato; non perché fosse brutto, ma perché differiva molto dal concept dell'album. È per questo che verrà pubblicato nell'EP in uscita all'inizio del prossimo anno", ha spiegato Wilson. La troppa foga nel presentarlo al pubblico, però, gli ha immediatamente fatto rompere una corda. Dopo una battuta sulla sua mancanza di professionalità, il brano è ripartito senza intoppi fino a sfumare nella lunga e suggestiva "Ancestral", innegabilmente tra le migliori tracce dell'ultimo album.

Quando le luci si spengono, il sipario che cala non decreta la fine del concerto: un drappeggio trasparente immerso nella penombra viene illuminato da fari che proiettano le lente increspature dell'acqua, creando un effetto di moto perpetuo che infonde al contempo una calma rilassante e un'inquietudine pulsante. La stessa che viene comunicata dalle canzoni successive prima di arrivare a "Dark Matter" e "Sleep Together", che chiudono il secondo gruppo di brani estratti dai vecchi lavori dei Porcupine Tree, cedendo infine il passo all'encore.
L'ultima parte del concerto regala ai presenti due pezzi di storia dei Porcupine Tree: "The Sound of Muzak" e "Open Car", cantati dai fan con gran trasporto. È il momento in cui finalmente il pubblico si scioglie e perde quell'aura di fastidiosa austerità, spezzando il clima surreale da teatro dell'opera che mal si sposa – in ogni caso – con un concerto. Ma è già troppo tardi, perché le note di "The Raven That Refused to Sing" squassano gli animi della platea raccontando un dramma consumato prematuramente, uno straziante lutto che si trasforma in sofferenza e negazione di se stessi. Tutti sono in piedi, gli applausi che scrosciano sembrano non terminare mai; la band s'inchina, ringrazia, raccoglie il caloroso apprezzamento e in punta di piedi si dilegua, lasciando la sala davanti ai titoli di coda di uno spettacolo memorabile e probabilmente irripetibile.

A cura di Domenico Musicò
Report a cura di Ghost Writer

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