(26 giugno 2010) Gods of Metal 2010 - Day II - 26 Giugno

Info

Provincia:TO
Costo:40 €
“Ti piace vincere facile?”
Beh… se per una volta organizzano un Gods of Metal a pochi chilometri da casa mia che ne posso io?

Contrariamente alle aspettative l’affluenza odierna sembra essere un filo inferiore a quella del venerdì, ed i vuoti si avvertono soprattutto nella presenza delle nuove leve del metal (anche se credo che tra pochi anni molti tra questi avranno già cambiato gusti musicali!) che ieri avevano parteggiato per Atreyu o Killswitch Engage e che domani si affolleranno sotto il palco dei Bullet for My Valentine.
Ed un vero peccato perché l’alternanza di nuove proposte (gli ottimi Ex Deo o gli Orphaned Land) e formazioni scafate, come i Raven o gli Exodus, sarebbe potuto essere un buon incentivo.
Tuttavia ho la sensazione che gli headliner odierni, per quanto bravi (come hanno poi dimostrato) e divertenti (per alcuni dei presenti pacchiani) siano ancora troppo di nicchia, e non in grado di richiamare le “folle”.
(Sergio “Ermo” Rapetti)

Ex Deo
Annunciata da un’intro “a tema” e capitanata dal “paisà” Maurizio Iacono, apre le esibizioni del sabato la “nuova” sensation death / black metal Ex Deo, con tutto il suo fardello concettuale di tipo storico.
Qualcosa mi dice che quello presentato come un side-project dei (pur bravi!) Kataklysm canadesi, avrà sicuramente un meritato seguito, rischiando addirittura di mettere in discussione il diritto di prelazione della navicella madre.
Se una band, ispirata completamente ai miti dell’antica Roma, con tanto di abbigliamento e scenografia attinenti, riesce a conquistare, anche “visivamente” e concettualmente, uno come me che di tutte queste ambientazioni epiche e fieramente belliche ne comincia ad avere abbastanza, e lo riesce a fare mentre il sole gli rosola a fuoco lento le carni, beh, significa che probabilmente c’è qualcosa di veramente attraente ed efficace nella proposta di questi ragazzi.
Le canzoni dell’unico lavoro discografico della band conservano, anche dal vivo e in condizioni non esattamente favorevoli, un impatto davvero notevole, con il singer sugli scudi anche quando sceglie di blandire il pubblico commentando la sconfitta calcistica dell’Italia ai Mondiali e istigandolo a salvaguardare gli aspetti positivi del nostro Belpaese (“Ce n’è solo una d’Italia, conservatela!).
In fondo, anche questo pizzico di demagogia nazionalistica non stona all’interno di un contesto che celebra un momento storico in cui la nostra capitale era il caput mundi, ma se gli Ex Deo oggi sono sembrati forti e convincenti è soprattutto grazie ai loro brani, con “Storm the Gates of Alesia”, “The final war (battle of Actium)”, “Blood, courage and the Gods that walk the Earth” e”Romulus” a rappresentare il meglio di un suono marziale, evocativo e spietato.
Chissà cosa potranno fare in situazioni un po’ più adatte alle loro caratteristiche. Gladiatori.
(Marco “Aimax” Aimasso)

Sadist
Il pupazzo di neve (la copertina del loro ultimo album “Season In Silence”) che campeggiava sul telo piazzato dietro la batteria di Alessio, non aveva niente a che fare con la giornata di sole che ci aspettava, ma la proposta dei Sadist non ha lasciato alcun appiglio a critiche, Trevor è un ottimo frontman e Tommy Talamanca, un signor musicista, in grado di suonare contemporaneamente chitarra e tastiere. Un’esecuzione perfetta, violenta ed affilata che non si nega a spunti tecnici di gran spessore, sia che si tratti delle canzoni più vecchie, come la conclusiva “Sometimes They Come Back” (tratta da quel piccolo capolavoro che risponde al titolo “Above The Light”) o “Christmas Beat “ quanto le più recenti “Tearing Away” o la stessa “Season In Silence”.
Gli Ex Deo fanno dell’ottimo metal ipirandosi alla storia d’Italia, ma i Sadist sono la storia del Metal in Italia!
(“Ermo”)

Kaledon (Stage 2)
Mentre i Sadist stanno ancora salutando, inizia il set dei romani Kaledon sul palco 2.
Ci affrettiamo, dunque, a raggiungere una posizione idonea all’ascolto, da cui emerge immediatamente la buona vena di Marco Palazzi e dei suoi pards, intenzionati a non perdere un’occasione importante per dimostrare le loro notevoli doti artistiche e la forza di coinvolgimento del loro rigoroso power / epic metal, anche in questo contesto di monopolio quasi totale di altri generi.
Peccato che se ne accorgano in pochi (il sole, però, era davvero forte!), ma i Kaledon non si scoraggiano e offrono, come anticipato, una prestazione di livello, coronato da “Surprise impact” e da “The God beyond the man” (impreziosita da bagliori prog-metal), i pezzi a mio modo di vedere più pregiati della mezz’ora scarsa a loro disposizione. Disciplinati.
(“Aimax”)

Orphaned Land
Ecco un altro gruppo non completamente compatibile alla situazione contingente. Un po’ perché suonano alle due del pomeriggio e un po’ perché il loro “nuovo corso”, dopo gli inizi decisamente più ruvidi, è probabilmente troppo raffinato ed avvolgente per conquistare istantaneamente chi non li conosce bene. Eppure l’estatico Kobi Farhi, scalzo e vestito (al pari del batterista) con una lunga tunica bianca che gli conferisce un’aria davvero mistica (tanto che arriverà a sottolineare “I’m not Jesus Christ, I’m Kobi from Tel Aviv!”) e i suoi “discepoli” mi sembrano davvero coinvolti dalla circostanza, stimolando spesso lo sparuto pubblico ad interagire con la band.
Personalmente sono un grande estimatore della musica del combo israeliano, e tuttavia appare chiaro che il loro suono fatto della sinergia tra folk, prog-metal e scorie death sia forse eccessivamente “difficile” in un ambiente come questo. Se aggiungiamo qualche elucubrazione vagamente “gratuita” che affligge ancora il loro approccio artistico, appaiono evidenti le cause di una reazione un po’ “freddina” (ed è strano vista la temperatura!) degli spettatori, all’apparenza mai completamente appassionati da quello che stanno vedendo e ascoltando. A “Birth of the three (The unification)”, “Olat ha'tamid”, “Ocean land”, “The kiss of Babylon (The sins)” “Sapari”, “The path part I treading through darkness” e “Norra el norra” (almeno così mi sembra di aver annotato, gli appunti sono anche loro un po’ “provati”), va la palma di momenti maggiormente convincenti di una buona prova, la quale stimola la curiosità di vedere gli Orphaned Land in una circostanza meno dispersiva e “bollente”. Speranza.
(“Aimax”)

Subhuman (Stage 2)
Quello che ci si aspettava: violenza allo stato puro ed altrettanta pazzia!
I Subhuman si presentano subiti in gran forma, con il cantante Fabrizio ‘Zula’ Ferzola abbigliato da diavolo, in omaggio alla Torino città magica.
Tra un bordata e l’altra (e non poco contribuisce il chitarrista Matteo Buti), trovano anche il tempo di gettare tra le file di metallari che si accalcano (e non erano pochi!) e si sbattono sotto il loro palco, un’orca gonfiabile, che alla faccia degli animalisti farà pure una brutta fine.
Viulenzaa!!!
( “Ermo”)


Behemoth
Mi avessero detto qualche giorno prima che questa formazione polacca sarebbe risultato come uno dei migliori ricordi del Gods, probabilmente non sarei stato capace di nascondere un sorrisetto ironico, invece…
Ore 15.15, nonostante il sole battente l’armata delle tenebre prende possesso del palco principale del Gods of Metal. Truci e cattivi, con tanto di face painting e abbigliamento da “battaglia”. i quattro musicisti che fanno parte dei Behemoth si stagliano maligni e indemoniati (anche le aste dei microfoni sono in tema), prendendo possesso del palco e della anime degli ignari spettatori, Per farlo vanno a pescare dalla loro nutrita discografia brani che hanno un impatto devastante, a partire da “Ov Fire and the Void”, scorrazzando poi per la ritmata e cadenzata “As Above So Below “ o la velocissima “Slaves Shall Serve” oppure “Decade of Therion”.
Al di a della ferocia fatta musica… beh… Metal … Nergal ed oscuri compagni tra una canzone e l’altra si rivolgono con inaspettata gentilezza e cordialità ad un pubblico, e tra questi il sottoscritto, che alla fine del loro concerto, chiuso da “Chant for Eschaton 2000”, li applaude con reale convinzione.
Tra i migliori della giornata!
(“Ermo”)

Nashwuah (Stage 2)
Metal-core, o meglio hate-core da Milano (il “ciao raga!” è immancabile!) per i Nashwuah, una formazione che onestamente non conoscevo e che mi ha lasciato sensazioni tutto sommato positive, anche se ammetto di averli ascoltati ancora un po’ stordito dalla prova devastante offerta dai polacchi Behemoth (che mi stia trasformando in un feroce black-metaller? A quarant’anni suonati andare in giro con il face-painting sarebbe una bella novità!).
Il palco “piccolo” non limita troppo la ferocia dei nostri che con “Crowns of illusion”, “Spiral” e “Kali Yuga's tales”, title-track del loro disco, dimostrano spinta dinamica, forza bruta e una discreta abilità nel songwriting. “Odiosi”, ma gradevoli.
(“Aimax”)

Exodus
Minchia…
La prima volta che li vidi (al fianco dell’amico Stonerman, che purtroppo piomberà arriverà al Gods solo nella giornata di domani) era sempre a Torino, ma nel lontano 1985.
Ma è stata anche l’ultima, dato che da allora le nostre strade non si sono più incrociate.
Tanta acqua, e metallo, sono passati sotto i ponti, e gli Exodus non sono più quelli di una volta, ritrovo, infatti, solo il batterista Tom Hunting ed un carismatico Gary Holt. Al loro fianco troviamo i “nuovi” Rob Dukes, certo bravo, ma chi lo ha preceduto aveva tutt’altro spessore, il bassista Jack Gibson e l’ex Heaten Lee Altus.
Sarò un nostalgico ma le cose migliori le fanno quando ci sparano in faccia il thrash di “A Lesson In Violence”, “Strike Of The Beast” e “The Toxic Waltz” (con il cantante degli Ex Deo, Maurizio Iacono, che si unisce agli Exodus).
Il concerto si era comunque aperto sulle note (roventi) di “The Ballad Of Leonard And Charles” e “Beyond The Pale”, accoppiata posta anche in apertura del loro ultimo album (“Exhibit B: The Human Condition), dal quale recuperano anche “Good Riddance”, canzoni discrete ma si fanno apprezzare maggiormente “War is My Shepherd” e “Blacklist”, entrambe tratte dall’ottimo album del ritorno (“Tempo Of The Damned”).
Indubbiamente un passo davanti a molte delle formazioni che hanno calcato le stesse assi in questi tre giorni, ma, forse per il caldo o per l’immeritata posizione nel bill, mi sono sembrati un po’frenati.
(“Ermo”)

Raven
Con i Raven sale sul palco del Colonia Sonora un pezzo di storia del rock britannico. E lo dico senza temere smentite anche se, è giusto ammetterlo, non sono mai stato un grande estimatore dei fratelli Gallagher.
Della loro ricca discografia solo il debutto “Rock until you drop” e il devastante “Live at the Inferno” sono ancora parte integrante della mia collezione di vinili, mentre per alcuni degli altri lavori prodotti negli anni dagli inglesi, il destino ha riservato solamente fugaci apparizioni prima di essere utilizzati come merce di scambio dal mio fedele “spacciatore” dell’usato.
Vederli dal vivo, però, è tutta un’altra faccenda, anche perché questi “vecchietti” sanno ancora come rendere uno spettacolo di energetico rock n’ roll un’esperienza entusiasmante e totalizzante.
Considerando, poi, che la band non si esibiva in Italia dal 1981, ecco che la circostanza odierna assume i contorni dell’evento vero e proprio.
Insomma, il loro rock atletico (per poterlo onorare al meglio i nostri hanno scelto, gli unici assieme ai Dragonia, microfoni ad “archetto” che non ne limitassero la mobilità!) ha infiammato il palco di Collegno e i sensi dei presenti, compresi quelli che, come il sottoscritto, non potevano essere annoverati tra i loro die-hard fans.
In tale contesto di energia incontenibile e voglia di “spaccare”, i pezzi migliori diventano irresistibili e quelli meno efficaci (un esempio su tutti … "On and on”) acquistano una nuova verve, assicurata dagli instancabili e vigorosi Mark e John, coadiuvati nell’occasione da Joe Hasselvander, uno per il quale è necessario parlare di una gradevolezza estetica inversamente proporzionale all’intensità esecutiva.
La citazione di “Take control”, “Live at the Inferno”, “Rock until you drop”, "Speed of the reflex”, “Mind over metal”, “Architect of fear” (durante la quale il pubblico entusiasta improvvisa un “trenino”) e “For the future”, appare, dunque, come un dovuto corollario alla cronaca di una performance assai coinvolgente, accesa ancor di più da una lunga versione conclusiva della vibrante "Break the chains”, nella cui esecuzione fa capolino anche la favolosa “Symptom of the Universe”, per la gioia dei presenti che evidentemente hanno nel cuore anche qualche più “fortunato” e celebre conterraneo dei Raven. Uno show che ha convinto tutti credo, anche quella “new generation of metal fans” cui si rivolge espressamente ad un certo punto l’esuberante Mark. Rigenerati.
(“Aimax”)

Amon Amarth
La piazza d’onore per i vichinghi Amon Amarth è forse un azzardo, probabilmente Johan Hegg ha trascinato i propri compagni fuori dal loro Drakkar, più velocemente di quanto hanno saputo fare le legioni infernali dei Behemoth e le falangi della XIII Legio degli Ex Deo.
Ben accolti, dedicano “Valkyries Ride” a tutte le ragazze presenti, anche loro non hanno lesinato sudore e scariche di watt, ma sia gli estratti più recenti, l’opener “Twilight Of The Thunder God”, “Free Will Sacrifice”, “Valhall Awaits Me”, sia quelli (comunque la minoranza, con i primi lavori completamente ignorati) pescati dal passato, come la marziale “Pursuit Of Vikings” e “Thousand Years Of Oppression”, mancano di quell’enfasi epica che me li avrebbe fatti gradire maggiormente.
Invece si limitano (ma lo fanno bene!) a pestare.
(“Ermo”)

Lordi
Nati come progetto industrial, i finlandesi Lordi sono progressivamente diventati delle autentiche celebrità (prima in patria e poi nel resto d’Europa) grazie ad una ricetta tutto sommato apparentemente semplice: un heavy rock melodico sotto il profilo musicale e un’attitudine al travestimento di stampo horror sotto quello estetico. E allora qual è il loro segreto? Esperienza (Mr. Lordi non è esattamente un ragazzino!), non prendersi troppo sul serio pur senza apparire esclusivamente una “funny-band” e saper scrivere grandi pezzi capaci di conquistare istantaneamente un po’ tutte le generazioni di musicofili, dosando perfettamente modernità e tradizione.
Kiss, Alice Cooper, White Zombie, Gwar e persino il desaparecido Andrew WK sono figure facilmente rintracciabili nella musica dei nostri, ma il “trucco” piace e molto soprattutto se si ha la possibilità di apprezzarlo dal vivo e con i favori del buio, lentamente sceso su questa torrida e abbacinante giornata torinese.
Fuochi d’artificio, fiamme, razzi, bazooka spara coriandoli, stelle filanti, impianti scenografici e siparietti horror-osi (con tanto di balletti tra zombie, decapitazioni, arti mozzati, teschi, autopsie improvvisate, motoseghe, …), ma sempre conditi da grande ironia, offrono un’adeguata attrazione per gli occhi, mentre sono i suoni penetranti di “Girl go shopping”, “Rise sell in heaven”, “Bite it like a bulldog”, “Who's your daddy”, “Man skin boots”, “Deadache”, “Wake the snake”, "The doctor is in" e “They only come out at night” a completare l’opera di espugnazione sensoriale … note forti e vibranti, grandi tastiere e ritornelli che si possono finalmente cantare a squarciagola, anche alla prima audizione.
Ancora meglio fanno "Devil is a loser” e “Would you love a monsterman?”, due hit a cui sono particolarmente legato e “Hard rock hallelujah”, roba che entra in circolo con la velocità di una droga sintetica e anche per il semi-inedito “This is heavy metal”, con il suo refrain straordinariamente istantaneo, è facile prevedere un futuro radioso.
Per dovere di cronaca menzioniamo anche il guitar-solo di Amen (condito da accenni a “Sweet child o’ mine” e “Cold gin”), del quale si festeggia anche il compleanno (con immancabile “Happy birthday” e la torta offerta poi al pubblico) e sottolineiamo l’abnegazione, in nome del r’ n’ r’, di questi scandinavi che sopportano il caldo con questi costumi di scena davvero impegnativi ed ingombranti. Un bello spettacolo, dunque, divertente e “studiato” senza darlo troppo a vedere. E poi dicevano che la Finlandia era la culla della depressione e dello struggimento “gotico”. Mostruosi.
(“Aimax”)
Report a cura di Sergio 'Ermo' Rapetti

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