E’ raro trovare tanto equilibrio in un disco di hard ‘n’ heavy.
Potenza, melodia e tecnica sopraffina, questi sono gli elementi che gli Eden’s Curse sono riusciti ad armonizzare in una maniera davvero strabiliante nel loro full-length d’esordio e se a questo aggiungete una registrazione nitida e spettacolarmente incisiva, addirittura superiore ai pur già assai elevati consueti standard di lavoro di un certo Dennis Ward, appare chiaro che abbiamo a che fare con un gran disco.
Ma chi sono gli Eden’s Curse? Si tratta della creatura voluta, innanzi tutto, dal cantante Michael Eden e dal bassista Paul Logue (ex Cry Havoc), ai quali si aggiungono il chitarrista Thorsten Koehne (Demon Drive, Code Of Perfection), il batterista Pete Newdeck (Paul Dianno’s Killers, The Steve Grimmett Band) e il celebre tastierista Ferdy Doernberg (Axel Rudi Pell, Uli Jon Roth, Rough Silk), che tutti insieme sembrano aver trovato un’alchimia davvero preziosa, realizzando un’autentica “macchina da guerra” per forza d’urto, competenza ed intensità complessiva.
Volendo scendere un po’ meglio nelle singole specificità del personale esecutivo, mentre la sezione ritmica si manifesta poderosa ed estrosa quanto basta, sono la laringe cristallina di Eden, capace di raggiungere vette non facilmente accessibili senza sacrificare il range espressivo (per referenze immediate ascoltatelo nella riproposizione di “We all die young”, canzone degli Steelheart diventata, sempre con la voce straordinaria di Miljenko ‘Michael’ Matijevic, uno dei pezzi forti dei fantomatici Steel Dragon nel film “Rock Star”: un confronto sicuramente non agevole dal quale il nostro esce senza alcun imbarazzo … se poi questo brano non Vi scatena una produzione copiosa di scariche adrenaliniche, forse questo non è il genere di musica adatto a Voi!) e la chitarra virtuosa e pure così sensibile di Koehne (una specie di fusione, estremizzando il concetto, tra Malmsteen e Schon … un “mostro”, insomma), ad “infuocare” gli oltre sessanta minuti di durata dell’albo, contrappuntate, inoltre, dal sempre misurato e pregiato apporto delle tastiere di Doernberg.
Un vero “sollazzo uditivo”, dunque, senza flessioni di sorta, capace di accontentare chi ama i cori catalizzanti e le conciliazioni melodiche, ma ritiene anche che le cromature metalliche siano elementi “estetici” comunque imprescindibili per la riuscita di un prodotto musicale.
In un disco che vale più per la sua globalità che non per singoli episodi, eccovi qualche menzione quasi “casuale” all’interno di tanta generosità artistica … “Eyes of the world”, scritta da Carsten Schulz (Domain, Midnite Club, Evidence One) e Bobby Bobel (Frontline), “The voice inside”, un’eccellente ballata priva d’eccessi “zuccherini”, “After the love is gone”, istantanea e vitale, “Fly away”, groovy e poderosa, o ancora la bella title-track o l’entusiasmante incrocio tra Dokken e Def Leppard che prende il nome di “Heaven touch me”, per finire con il riff vagamente Queensryche-iano della drammatica e adescante “Fallen king”.
Michael Eden e i suoi “pards” non raggiungono l’eccellenza assoluta solo a causa di un songwriting che, anche se d’alta qualità, risulta un po’ “prevedibile”, ma se c’è qualcuno che, in questo settore, visti i presupposti, sembra avere le carte in regola per aspirare alla sua conquista (magari già con il prossimo Cd), quelli sono indubbiamente gli Eden’s Curse.
Per il momento, in ogni caso, play it LOUD and enjoy!