Pur senza saperne fornire una motivazione logica, fin dal primo istante in cui mi è stata affidata l’analisi di questo disco omonimo dei Rose Hill Drive, ho avuto la netta impressione che mi sarebbe piaciuto. E non è che la copertina avesse qualcosa di particolarmente attraente - una scarna raffigurazione su sfondo nero dei volti di tre “ragazzotti” per niente “vistosi” - eppure “sentivo” che ci sarebbe stato di che gioire in questi solchi, quasi come se sapessi che all’austerità dell’aspetto estetico sarebbe poi corrisposta una notevole ricchezza di quello squisitamente artistico.
Che sia stata casualità o “divinazione”, alla fine questo “power-trio” americano mi ha davvero impressionato favorevolmente e tale configurazione non appare affatto fortuita dacché i nostri si rifanno essenzialmente, per la loro performance, a quel famigerato heavy blues che ha visto i fantasmagorici Cream tra i suoi fondamentali protagonisti, capaci di dimostrare al “mondo” che il “tre”, quando ci si muove in un’armonica e strepitosa creatività, può essere veramente il numero perfetto.
Assieme all’arte prodotta dai leggendari Bruce, Clapton e Baker, nella proposta dei Rose Hill Drive, troviamo anche sfavillanti riflessi di quella altrettanto magica e rigogliosa generata dai Led Zeppelin, nonché quella ugualmente seminale distribuita da altri quattro clamorosi figli di Albione, passati alla storia come i Beatles.
Come si può vedere si tratta di nomi non esattamente “banali” e sebbene ci si trovi di fronte ad una situazione tutt’altro che “progressista”, l’atto di devozione verso quelle inarrivabili icone si manifesta competente e sorprendente, eludendo il tangibile rischio di un revival sterile e limitativo.
Le scosse di “Showdown”, le cadenze irresistibili di “Cold enough” (un numero da applauso a scena aperta!), “Cool cody”, “The guru”, “Reptilian blues”, “Man on fire” e “Cross the line”, gli squarci acustici di “In the beginning ...”, l’inebriante profumo psichedelico e la suggestiva atmosfera sixties di “Brain novocaine...”, “Declaration of independence ...” e “It’s simple” o ancora le ritmiche brunite e le melodie di “Raise your hands”, sono tutte dimostrazioni piuttosto efficaci delle qualità “narrative” di cui è dotato l’act statunitense, in grado di coniugare sostanziosa cultura e cospicuo temperamento, in un confronto con il “passato” sicuramente improbo.
Il “recupero” di un certo hard-rock classico (cosiddetto “vintage”) sembra aver dato buoni risultati in questo nostro sempre più intasato panorama musicale e anche se i modelli ispiratori rimarranno per sempre, probabilmente, irraggiungibili e insuperabili, è bello costatare che parecchi gruppi “nuovi” hanno saputo apprendere la lezione dai maestri per poi (almeno i migliori di loro) fonderla con “l’urgenza” dei tempi attuali.
Insomma, se Vi sono piaciuti, ad esempio, The Answer e Wolfmother, anche i Rose Hill Drive potrebbero essere degni della Vostra collezione di dischi, nella quale, voglio sperare però, non manchino neanche i loro formidabili “progenitori”.
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