Copertina SV

Info

Anno di uscita:2007
Durata:52 min.
Etichetta:Code666
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. EXILE (IN SERENITY)
  2. MICROPHONES & FLIES
  3. ZOMBIE CHILDREN DO SYNTETHIC DREAMS
  4. WELCOME TO THE GOLDEN DOVE SOCIETY
  5. THE NIGHT MR. CLENCHMAN DIED
  6. PILOT PARTE 1
  7. PILOT PARTE 2
  8. PILOT PARTE 3
  9. A GASOLINE HERO

Line up

  • Kundahli: vocals, synths
  • H:Kashchej: guitars
  • X-Trinity: guitars
  • Nordvarg: bass
  • E.V.A.nghelya: synths
  • Drakon: drums

Voto medio utenti

Lo ammetto, dopo il primo paio di ascolti della nuova fatica del collettivo Maldoror, ero fermamente convinto di dover stroncare, per il bene della musica, questo “Pilot (Man With The Meat Machine)”. Un disco troppo cervellotico, praticamente senza capo né coda, un pastone infarcito di mille e una influenze, senza però mai che una di queste possa emergere definitivamente e rendersi intelligibile, categorizzabile, omologabile. Approvare questo disco sarebbe stato come autorizzare qualsiasi pazzo sulla faccia della terra ad assemblare tutte le proprie frustrazioni, turbe psichiche e paranoie e riversarle su un cd. Senza contare che le note di presentazione di questo disco erano quantomeno pretenziose, si parlava di questo disco come del “punto di impatto tra il noir di John Huston e il sassofono di John Zorn, tra Aleister Crowley e Il buono, il brutto e il cattivo, tra quello che ci si aspetta da TMK e la certezza che, alla fine, TMK farà sempre quello che vuole”.
La verità mi è stata rivelata solo quando, abbandonando i miei schemi preconcetti, ho cercato la fusione con questa musica, una fusione senza compromessi, senza se e senza ma, una totale adesione ad uno schema artistico che disvela il proprio impianto solo se gli permettiamo di penetrarci nel profondo, sì da scardinare le nostre certezze, da abbattere il solido edificio delle nostre convinzioni. Destrutturare, ibridare, sezionare, distruggere, ricostruire, annientare la forma canzone, l’idea che vi possa essere razionalità in un universo parallelo, quale quello della musica, dove il brodo primordiale è fatto di emozioni e dove la classica “forma canzone” è solo uno degli stati di aggregazione di questo brodo primordiale. Da questo punto di vista i TMK tornano alle radici, a quel bing bang iniziale, eliminando tutto il costrutto che separa la musica, e le sue emozioni, dall’ascoltatore. Ciò che ci viene regalato è appunto un concentrato di emozioni nella forma più pura, dove bisogna chiudere gli occhi e lasciarsi andare alle sensazioni e alle visioni che questa ispira, dove la cosa più importante non è capire cosa sta avvenendo, in quanto l’unica cosa che conta è che sta avvenendo!
“Pilot (Man With The Meat Machine)” è la colonna sonora non di un film, ma del Cinema, perché non solo è capace di omaggiare diversi generi (Da Houston a Sergio Leone, passando per Tarantino e David Lynch) ma soprattutto perché possiede quell’intensa forza visionaria, quei tratti onirici in costante bilico tra sogno e realtà, follia e lucidità, che rappresentano le stigmate di un percorso cominciato oltre cento anni fa dai fratelli Lumière.
Musicalmente poi troviamo davvero tantissime influenze, che è quasi impossibile, oltre che citarle, anche ritrovarle tutte.
L’iniziale “Exile” parte con un sassofono che, sebbene sia un omaggio a John Zorn, è anche un evidente richiamo al Fred Madison (interpretato da Bill Pullman) di “Lost Highway”, capolavoro di David Lynch, cui sicuramente i Maldoror sono debitori, come più volte dimostrato nel corso del disco. La stessa struttura della canzone ricorda l’andamento del film, suddiviso in due parti, perché ad un certo punto il mood cambia e si passa ad un ritmo techno/industrial più frenetico, allucinato, oscuro, sconvolgente. Si precipita in un rituale esoterico, caro alla tradizione della band di Kundhali, di crowleyana memoria, un vortice di terrore puro. Da brividi.
La successiva “Microphones & Flies” sembra una radiolina impazzita, che si auto-sintonizza a casaccio su molteplici frequenze in rapida successione. È così possibile ascoltare orchestrine jazz, jingles pubblicitari, speakers afoni, lounge da club dandy, prima che il trillo di un telefono ci svegli da questo sogno (o incubo?), trasportandoci da un’atmosfera onirica ad una tremendamente reale, dove eppure non siamo ancora capaci di capire se siamo svegli o stiamo ancora sognando, in virtù di patterns techno dall’incedere mantrico, ipnotico e surreale. Ma ecco ritornare quel jingle, un maledetto e snervante jingle, che verrebbe voglia di prendere il fucile e sparare alla maledetta radiolina!
“Zombie Children” è Black Mamba (Uma Thurman) che con la sua decappottabile, corre su polverose e assolate strade per uccidere Bill, tributo al cinema di Tarantino e a tutta la b-culture di cui Quentin si fa portavoce. Un tributo ad un periodo del cinema, quello anni ’60 e ’70, che si tramuta in un tributo alla musica di quegli stessi anni con il sample di “Stand By Me” (coverizzata anche dal nostro pessimo Celentano con il titolo “Pregherò”).
“Welcome To The Golden Dove Society” sembra giocare con i richiami crowleyani della sua “Golden Dawn”. Musicalmente siamo di fronte ad un pezzo di techno spinta che si alterna a sinuose e bluesy chitarre acustiche, prima di un intermezzo drammatico che prelude ad uno “spoken word” da parte di una donna, che si esprime minacciosamente in spagnolo, e che onomatopeicamente sembra minacciare l’ascoltatore.
“The Night Mr. Clenchman Died” ci riporta ad un Giovanni Lindo Ferretti che jamma con i Black Widow, sotto acido pesante abbandonati nel deserto messicano, mentre danno vita ad un rituale sciamanico, lisergico, orgiastico, con tastiere psichedeliche di settantiana memoria e beats ossessivi, prima di arrivare a sonorità che sembrano tratte da dischi degli Shape Of Despair, funeral doom apocalittico e desolato, le quali, pur tuttavia, preludono al convulso e assillante finale noise/industrial. Esperienza assoluta.
Ecco quindi arrivare i tre episodi di “Pilot”, nel primo dei quali ritroviamo il sax, stavolta accompagnato dalla suadente ed eccitante voce di Helen, novella pupa del boss in uno dei gangster movies degli anni ’40 con James Cagney. Ce la immaginiamo adagiata su un pianoforte, bellissima, inarrivabile. Le altre due parti di “Pilot” sono quasi dei nonsense, anche se musicalmente opposti, che pur tuttavia hanno il pregio di portarci alla conclusiva “A Gasoline Hero” (della quale è presente anche un video molto innovativo), un tunnel oscuro, visionario, progressivo, cinematico, che conduce all’uscita, preannunciata da una voce femminile che ci sussurra all’orecchio “initiating shutdown sequence”. Finalmente riapriamo gli occhi, siamo svegli, anche se sicuramente più stanchi di quando ci eravamo addormentati, spossati dal flusso onirico e ininterrotto delle visioni, sensazioni ed emozioni che la musica dei Maldoror ha saputo suscitare.
È impossibile citare ogni singola influenza, artistica, musicale e cinematografica, così come è impossibile quantificare numericamente il valore di questo disco che, per inciso, è un gioiello. Non dimentichiamo di sottolineare il bellissimo artwork, nel quale spicca la copertina dove compare Suzi Lorraine, modella protagonista anche di una serie di b-movies horror.
I Thee Maldoror Kollective danno alle stampe il loro capolavoro, un disco che abbatte tutti i canoni precostituiti, che osa con una nonchalance disarmante, un disco che purtroppo potrà essere apprezzato solo da pochi. La consolazione è però sapere che il disco si presta a differenti interpretazioni, nessuna vincolante, nessuna portatrice di verità assoluta, nessuna capace di esaurire in toto il concept del disco. Un po’ come un film di Lynch, di cui, questo “Pilot (The Man And The Meat Machine)”, potrebbe essere la colonna sonora dell’ultimo INLAND EMPIRE (rigorosamente tutto in maiuscolo, come vuole il Maestro). Geniali.
Recensione a cura di Luigi 'Gino' Schettino

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