Copertina 8,5

Info

Anno di uscita:2006
Durata:63 min.
Etichetta:Inside Out
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. NEVERMORE
  2. RELICS OF THE TEMPEST
  3. WHEN THE RAINS COME
  4. ON THE EVE OF THE GREAT DECLINE
  5. PHYSIC
  6. OSVALDO'S GROCERIES
  7. THE VIGIL
  8. OLD NUMBER 63
  9. MELICUS GLADIATOR
  10. PICTURE THIS

Line up

  • Lynn Meredith: vocals, narration
  • John Bolton: flute, saxophones
  • Kerry Livgren: guitars, keyboards, backing vocals
  • Dan Wright: organ, keyboards, backing vocals
  • Craig Kew: bass, backing vocals
  • Mike Patrum: drums

Voto medio utenti

Non smetterò mai di ringraziare la lungimiranza della piccola label Cuneiform, per aver agevolato, contattandoli nel 2002 per la pubblicazione del loro vecchio materiale, la ricostituzione di questi Proto-Kaw, in sostanza una versione primordiale dei Kansas, con Kerry Livgren, a svolgere la funzione d'elemento di continuità tra le due strepitose esperienze musicali.
Se pensiamo che la band si riformò dopo circa trenta anni d'inattività e che, a parte Livgren, gli altri membri del gruppo si erano allontanati dallo show-biz (al punto che John Bolton riacquistò un flauto poco prima di rientrare in studio per le nuove registrazioni e che Lynn Meredith dovette abbandonare la sua carriera d'allenatore di football!), appare chiaro quanto grosso sia stato il rischio di non poter più godere dell'arte straordinaria che la formazione statunitense è in grado di produrre.
Dopo quel ritorno ("Proto-Kaw: early recordings from Kansas"), ci ha pensato la Inside Out a supportare a dovere il "gruppo del Bisonte", prima con un eccellente (e per quanto mi riguarda, molto sorprendente) "Before became after" ed oggi con questo nuovo "The wait of glory", forse complessivamente addirittura superiore al suo pur grandissimo predecessore.
Il disco in questione è, per l'appunto, incredibilmente affascinante, ripropone in modo molto convincente quell'armonia prog screziata di jazz che mi aveva così tanto conquistato, consolidandola al meglio, e anche a dispetto del fatto di non usufruire più "dell'effetto sorpresa", stimola le medesime sensazioni del suo illustre antesignano.
Le composizioni risultano costantemente rigogliose, attraenti, varie nei temi proposti, con quel pizzico di sperimentazione e genialità tipica della scuola progressiva e su di loro aleggia leggera una certa aura che evoca intuizioni di Jethro Tull, King Crimson, degli stessi Kansas, del Canterbury sound di Soft Machine e Caravan, oltre a qualcosa di Genesis, Pink Floyd e Asia, il tutto orchestrato con personalità e distinzione, come si conviene a dei veri e propri maestri del settore.
Nonostante il suo innegabile ruolo di "mastermind" (tutte le canzoni sgorgano, infatti, dalla sua penna), sarebbe comunque riduttivo etichettare i Proto-Kaw solamente come il "nuovo" mezzo espressivo del mitico (ex) chitarrista dei Kansas, dal momento che ogni membro del combo si dimostra un autentico "pezzo da novanta" nel suo ambito di competenza, in uno scenario fantastico dove tecnica, classe, fantasia e sensibilità melodica sono costantemente abbaglianti, rendendo davvero arduo stilare delle graduatorie di merito; tutti i brani a partire dalle delizie struggenti ed incessantemente suggestive di "Nervermore", fino alla magica intensità di "Picture this" (bellissima!!), dimostrano in maniera inequivocabile la fertilità inventiva e le qualità comunicative di questa band che distribuisce copiose emozioni in ogni suo gesto artistico.
In tale situazione così collettivamente appagante, mi limiterò ancora ad indicare "Relics of the tempest", l'incredibile suite "When the rains come", con i suoi sprazzi un po' sinistri ed oscuri e con il suo svolgimento avvincente, la pulsante delicatezza di "On the eve of the great decline" (in pratica, la materializzazione in note della "pelle d'oca"), la trascinante "Old number 63" e ancora il pathos soulful/bluesy di "Melicus gladiator", come le ulteriori occasioni capaci di stimolare la produzione maggiore di brividi "endorfinici" (ma, come detto, il livello è sempre molto elevato), lasciando che sia l'ascoltatore appassionato ad eleggere liberamente le proprie preferenze tra una pletora così imponente di momenti illuminati, sicuro che non potrà che essere messo in difficoltà da un "imbarazzo della scelta" tanto problematico quanto piacevole.
"The wait of glory" è un concentrato di musica senza tempo, da gustare e sorseggiare senza fretta nella varietà delle sue sfumature, che colloca questi "ragazzacci" di diritto nell'olimpo dei grandi del rock, per i quali la "gloria", almeno dal punto di vista creativo, non deve affatto essere "attesa".
Recensione a cura di Marco Aimasso

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