Heavy Metal Kids e UFO sono i due principali cardini della feconda carriera di
Danny Peyronel, avviata con profitto fin dai primi anni settanta.
E allora diciamo che dovendo scegliere quale delle suddette esperienze professionali ha avuto un impatto maggiore nella realizzazione di questo "
It happens when you look the other way”, mi sento d’indicare innanzi tutto gli autori di “
Heavy metal kids” e “
Anvil chorus”,
album eventualmente da riscoprire, a cui il nostro ha fattivamente contribuito prima di approdare (brevemente) alla corte di
Phil Mogg & C.
A beneficio di chi non conoscesse (ancora) una delle
cult-band dello spumeggiante
rockrama britannico dei
seventies, precisiamo che si tratta di “roba” in cui convivono
rock n’roll,
blues e
glam, con plausibili riferimenti che si chiamano Kinks,
Bowie, Rolling Stones e
Alice Cooper.
Il secondo albo solista di
Peyronel (debutto nel 2005 con “
Make the monkey dance”) sembra proprio partire da quei presupposti stilistici per approdare nel 2025 corredato da buone dosi di
verve espressiva, da cui affiora una spiccata sensibilità
pop.
Un
sound, insomma, che basa le sue velleità attrattive su una capacità innata di scrivere canzoni gradevoli, magari non particolarmente “sorprendenti” e complesse, eppure abbastanza appaganti, confacenti ad una fruizione dagli intenti disimpegnati e ricreativi.
Nella raccolta troverete, quindi, esempi di
glam-rock screziato di attitudine
punk (la
title-track dell’opera, qualcosa tra Mott The Hoople, Ramones e … Twisted Sister!), ballatone cinematografiche e barocche (“
Heaven’s in a chevy tonight”), squarci grintosi e seducenti (“
Down down down”, “
Run away Rashid”) e svariate avvolgenti suggestioni sonore, tra
slow glitterati (“
Lost”, “
You won’t have to say goodbye”), lirismi
blues (“
A different kind of blue”), atmosfere notturne e
poppettose (“
Chance”, “
Love is a vicious thing”) e fumosità
rhythm n’ soul (“
When the devil’s in”).
Non mancano nemmeno sconfinamenti in ambiti più beffardi (“
From Russia with love”, dall’omonimo
classicone di
James Bond, in una versione che potrebbe piacere agli ammiratori di
Tyla) e pure un paio di graziose
quisquilie soniche, intrise di scorie
punk n’ roll in salsa
rootsy (“
Upside down”, con annessa citazione
Hendrix-iana) e nostalgie
sixties (“
The last goodbye”).
Due
bonus track (una è la trascrizione in spagnolo di “
You won’t have to say goodbye”) che non modificano il
mood dell’albo, completano un ascolto di certo non proprio “sbalorditivo”, ma comunque complessivamente godibile, a testimonianza di una generazione di musicisti che difficilmente cambierà le regole del “gioco” e tuttavia raramente delude i suoi estimatori.
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