Nel mio instancabile e avido girovagare tra gruppi e generi musicali, avevo abbastanza apprezzato i Bloodflowerz e il loro
gothic-metal di stampo teutonico (in particolare quello contenuto in “
Dark love poems”), tanto da avvicinarmi a questi
My Merry Machine con notevole curiosità.
Il terzetto in questione è infatti formato da ex membri dei suddetti
goth-metallers, a partire da
Kirsten Zahn-Massing, dotata di un’ugola perfetta per il genere.
Ora, nel passaggio tra una formazione e l’altra deve essere successo “qualcosa” che l’ha fatta arrabbiare di brutto, dal momento che in “
Days of doom” la brava
vocalist sfoggia, assieme alle sue ben note prerogative timbriche seduttive e fosche, un
growl da paura, conforme al
mix di
melodic death e
alternative metal che sostiene l’opera.
In realtà nel disco “sopravvive” anche qualche barlume espressivo della precedente esperienza professionale dei nostri, tale da renderlo una “faccenda” sonora adatta a chi ama trascorrere il suo “tempo di qualità” in compagnia di Crematory, Lacuna Coil, Jinjer e Arch Enemy.
Nonostante per gusto personale preferisca i momenti caratterizzati dalle
clean-vocals, che tra l’altro sfruttano al meglio la fascinosa versatilità di
Kirsten, mi ha sorpreso abbastanza la disinvoltura con cui si cimenta anche in linee canore rabbiose e brutali, magari ostentando qualche piccola “forzatura” e tuttavia senza incorrere in eccessive difficoltà.
Ciò detto, e addentrandoci nei meandri di “
Days of doom”, troviamo subito una “
From another world” che irrompe negli
speaker con furente irruenza, appena stemperata da un altisonante
refrain, seguita da una “
I will confess” che per aggredire i sensi dell’astante sfrutta un approccio espressivo più strisciante e morboso, alimentato da un
groove nevrotico di retaggio
nu-metal.
Si continua con la forsennata e sprezzante “
God of destruction”, mentre “
Monster inside”, in ossequio al suo titolo, alterna melodie soavi a squarci di animalesca isteria, riproducendo ad arte un’inquietante forma di psicosi paranoica.
Con “
Until the end” il clima diventa, nonostante la virulenza di base (e l’accattivante ritornello), meno “impressionante” dal punto di vista emotivo, e se “
Funeral march” è intrisa di solenne e struggente materia
oscuro-sinfonica, “
The morning after” è forse il brano più affine alle intenzioni stilistiche dei Bloodflowerz, qui (ri)proposte in una versione maggiormente aggressiva.
Inserirsi con autorevolezza nella scena contemporanea del “metallo moderno”
mainstream, non esente da fattori di attrattiva extra-musicali, non è un’impresa facile, ma, escludendo tali imponderabili valutazioni, direi che i
My Merry Machine, pur senza “scombussolamenti”, garantiscono un discreto numero di catartiche vibrazioni a tutti gli estimatori del settore.
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