Copertina 6,5

Info

Genere:Death Metal
Anno di uscita:2025
Durata:non disponibile
Etichetta:Transcending Obscurity Records
Distribuzione:Transcending Obscurity Records

Tracklist

  1. ENGULFED IN AGONY
  2. EUNUCH MAKER
  3. CALL TO THE FALLEN
  4. AWFUL MANGULATION
  5. ROT IN THE PIT
  6. ALIGNED WITH SATAN
  7. BLINDING OBLIVION
  8. LEGACY
  9. CATASTROPHIC CONTAGION

Line up

  • Ainsley Watkins: Bass
  • Louis Rando: Drums
  • Lynton Cessford: Guitars
  • Jarrod Curley: Guitars
  • Jamie Kay: Vocals

Voto medio utenti

Con "Bestial Possession" (Transcending Obscurity Records), i Depravity arrivano al terzo capitolo della loro discografia, portando avanti un death metal che cerca consapevolmente di fondere la tradizione della vecchia scuola con le tendenze più moderne del genere. Il riferimento principale resta il death americano — quello di Morbid Angel, Immolation e Drawn and Quartered — ma qui la band australiana spinge il suono verso una dimensione più brutale e tecnica, evocando in diversi passaggi i Suffocation e gli Hour of Penance delle ultime releases. Proprio da questi ultimi due i Depravity sembrano ereditare quella spinta verso un’estetica contemporanea, fatta di suoni corposi, produzione cristallina e textures oscure sullo sfondo, che danno profondità senza sacrificare la violenza. È un equilibrio ricercato: da un lato la muscolarità dell'old-school, dall’altro la precisione chirurgica del death moderno, dove la brutalità si unisce a una certa eleganza in fase di produzione (assai levigata).
In alcuni momenti affiora una matrice più calda, quasi passionale, che rimanda ai Sulphur Aeon, mentre altrove si intravedono innesti di matrice più deathcore, non lontani da certi passaggi dei Kataklysm. Tuttavia, pur nella solidità dell’insieme, "Bestial Possession" non riesce per niente a sorprendermi: il lavoro è convincente per la potenza del suono e per la perizia tecnica, ma a livello compositivo resta ancorato a formule già fin troppo collaudate. L’impatto, più che dal fuoco interiore del nichilismo, sembra derivare dal muro sonoro e dall’efficienza del produttore.

Un disco ben costruito, suonato con mestiere, che conferma i Depravity come una realtà professionale ma ancora in cerca di una scintilla identitaria.

Recensione a cura di James Curzi

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