Con
"Bestial Possession" (
Transcending Obscurity Records), i
Depravity arrivano al terzo capitolo della loro discografia, portando avanti un death metal che cerca consapevolmente di fondere la tradizione della vecchia scuola con le tendenze più moderne del genere. Il riferimento principale resta il death americano — quello di
Morbid Angel,
Immolation e
Drawn and Quartered — ma qui la band australiana spinge il suono verso una dimensione più brutale e tecnica, evocando in diversi passaggi i
Suffocation e gli
Hour of Penance delle ultime releases. Proprio da questi ultimi due i
Depravity sembrano ereditare quella spinta verso un’estetica contemporanea, fatta di suoni corposi, produzione cristallina e textures oscure sullo sfondo, che danno profondità senza sacrificare la violenza. È un equilibrio ricercato: da un lato la muscolarità dell'old-school, dall’altro la precisione chirurgica del death moderno, dove la brutalità si unisce a una certa eleganza in fase di produzione (assai levigata).
In alcuni momenti affiora una matrice più calda, quasi passionale, che rimanda ai
Sulphur Aeon, mentre altrove si intravedono innesti di matrice più deathcore, non lontani da certi passaggi dei
Kataklysm. Tuttavia, pur nella solidità dell’insieme,
"Bestial Possession" non riesce per niente a sorprendermi: il lavoro è convincente per la potenza del suono e per la perizia tecnica, ma a livello compositivo resta ancorato a formule già fin troppo collaudate. L’impatto, più che dal fuoco interiore del nichilismo, sembra derivare dal muro sonoro e dall’efficienza del produttore.
Un disco ben costruito, suonato con mestiere, che conferma i
Depravity come una realtà professionale ma ancora in cerca di una scintilla identitaria.
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