Avevo lasciato gli svedesi
Ambush col video di "
Hellbiter", tratto dal precedente album "
Infidel", credendo che volessero tentare la carta della svolta "good looking": sonorità un po' più accessibili, maggiore melodia, chitarre meno presenti ed un approccio vocale più misurato, meno urlato ed aggressivo.
Per carità, mi piaceva eh, ma di fronte all'ascolto del nuovo "
Evil in All Dimensions" mi rendo conto che ero completamente fuori strada: e sì che il loro quarto album sulla lunga distanza esce per
Napalm Records, che insomma poteva lasciar presagire questo ammorbidimento, specie se si proviene da una label bella arzilla come la tedesca High Roller.
Tutto il contrario. Sembra che gli Ambush siano stati tenuti sei mesi in una stalla con dei cinghiali e qualche ettolitro di birra. Tanti ettolitri di birra.
Ne esce fuori un disco meraviglioso, di pieno e puro HM, fatto sempre di melodie curatissime e vincenti ma bello grezzo, ignorante, sudato, sudicio; il look non è più curato, il rifframa dei nostri attinge a piene mani dall'immortale coppia
Downing/Tipton ma il carisma che ci mettono fa trasparire una grande personalità, celata dietro gli occhiali da sole e quei baffoni che praticamente quasi tutta la band "indossa" con nonchalance.
E così
Karl Dotzek ed
Oskar Andersson, nuovi alla chitarra ed al basso, aiutano gli Ambush a compiere il triplo salto carpiato in avanti: da una band valida, discreta, si passa a competere ad altissimi livelli con un disco che rasenta la perfezione, "
all killers no fillers" come si diceva una volta.
Linus Fritzson alla batteria è meno importante che come (ottimo) corista, anche lui sembra un
Dave Holland, quadrato ma non certo il top del dinamismo, e poi inutile nascondersi c'è l'ugola di
Oskar Jacobsson che rappresenta l'highlight totale, tanto più che adesso ce ne sono di chorus maestosi da cantare ed urlare a squarciagola: l'opener "
Evil in All Dimensions" mette le cose in chiaro, si vola alti tra video horrorifici e bpm in deciso aumento, e VIVADDIO la produzione! miracolo dei miracoli, suona bene, non è compressa, è personale e non si adegua agli standard odierni: solo per questo si assicurano la lode.
Ma siamo solo all'inizio del viaggio e vi dirò subito che dei nove brani presenti ce n'è solo UNO che è sotto la media elevatissima, rimanendo comunque più che degno: a parte la priestiana al 100% "
Bending the Steel", è tutto un trionfo: dall'epica e cadenzata "
Maskirovka", semplice ma trascinante come poche, alla pazzesca "
Iron Sign", insieme alla conclusiva "
Heavy Metal Brethren" non solo il brano migliore del disco ma due autentici inni di fratellanza metal che si stampano in testa candidandosi ad anthem migliori degli ultimi anni di metal.
C'è spazio per drammatici mid-tempos "
The Night I Took Your Life" (e a volte non vi nascondo che l'ombra di
King Diamond fa capolino) o la magneficente "
The Reaper" che aspetta solo che noi poveri umani ci sfasciamo le corde vocali, con reminescenze dal class metal laccato anni '80 di Dokken e Ratt, power-ballads come "
I Fear the Blood", gli assalti all'arma bianca di "
Come Angel of Night".
C'è tutto.
L'heavy metal è tutto qui.
Si sono superati e non ci avrei mai creduto, sperato. Ma adesso canto e sogno, me li devo assolutamente andare a vedere ovunque, in giro per l'Europa.
Eroi senza tempo, come noi.