Agli
Sweet Freedom piace l’
hard rock “classico” britannico, magari screziato di
prog.
Del resto il
monicker stesso della
band fondata da
Jörgen Schelander forniva qualche indizio in merito, ma in realtà, assieme a qualche intuibile bagliore degli Uriah Heep, in “
Blind leading the blind” troverete una vera devozione per Rainbow, Deep Purple e Whitesnake.
Un’affezione tutt’altro che inusuale, oggi come ieri, particolarmente avvertita nei paesi nordici, e che portata alle estreme conseguenze può rischiare di condurre a tentativi di plagio, tanto sterili quanto impraticabili.
Fortunatamente i nostri svedesi scansano il “pericolo” e infarciscono la loro prestazione musicale di solido buongusto, di un tipo che anche i più esigenti estimatori dei suddetti giganti del settore finiranno per percepire e accogliere con favore.
Assieme alla classe compositiva, al risultato finale contribuisce pure la competenza tecnico / interpretativa ed ecco che poter contare sull’ugola “educata” ed esperta di
Matti Alfonzetti (chi se lo ricorda, lungo-crinito, nelle file dei Jagged Edge?) rappresenta sicuramente uno di quei valori aggiunti da associare ad una preparazione complessiva priva di debolezze.
In sintesi, se vi piace il genere, e non v’infastidiscono le evidenti analogie espressive con chi lo ha codificato, sono certo apprezzerete il “tiro” multicolore (proprio come un
Arcobaleno …) di “
Infinity”, l’avvincente e pastosa linea melodica di “
Tears of the sun” (con un grande
Alfonzetti, capace di appianare, nella sua voce, l’annosa diatriba
Coverdale /
Hughes) o ancora le sfumature
Porpora di “
Another day”, avvolgente e pulsante, e di “
Skin and bone”, dall’incedere
funk-eggiante e circolare.
E sempre a proposito di riferimenti illustri, non è difficile scorgere riflessi dei Bad Company nell’h
ard-blues “
Innocent child”, mentre “
Live from the heart” mescola Led Zeppelin e Uriah Heep senza imbarazzi.
Con le scosse di
funk n’ soul di “
Skeleton key” si ritorna in territori cari a
The Voice of Rock, mentre la nervosa “
I push too hard” e, soprattutto, “
Solid ground” (una sorta di Whitesnake sotto effetti lisergici) e le scorie
doom-psych-prog di “
Outcry” svelano il lato più “creativo” degli
Sweet Freedom, quello che ritengo meriti di essere maggiormente “coltivato” nel futuro.
Tra i molti dischi fedeli alla “tradizione”, “
Blind leading the blind” si distingue per un approccio espressivo che tenta di non abbandonarsi esclusivamente alla reiterazione di dogmi consolidati … magari spingersi a parlare di “evoluzione” appare ancora un po’ avventato, ma la strada intrapresa in tal senso sembra corretta.
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