Il caro buon “vecchio” (non me ne voglia per l'aggettivo, ha pure un anno meno di me)
Janne Warman!
E’ sempre un piacere sentirlo suonare col suo inimitabile stile, capace di rievocare, in tutta la nostra generazione, dolci ricordi mai sopiti di una giovinezza piena di sogni e speranze, ma altrettanto tormentata, dalle tipiche insicurezze e delusioni che contraddistinguono questa età, stati d’animo perfettamente descritti dai primi dischi dei
Children Of Bodom, merito soprattutto della chitarra di Alexi, ma anche alle indimenticabili tastiere di
Janne.
Il progetto
Warmen, portato avanti con il fratello chitarrista
Antti, e giunto ormai al suo venticinquesimo anno di vita, si arricchisce di un altro tassello, dal titolo emblematico,
Band Of Brothers, che sembra rafforzare il loro legame.
La band finlandese, oltre ai due musicisti, annovera, tra le sue fila, anche
Petri Lindroos (già negli
Ensiferum) alla voce e alla seconda chitarra,
Jiri Helko al basso e
Seppo Tarvainen alla batteria, proponendo il consueto sound a metà strada tra power e melodeath, anche se l’ago della bilancia pende dalla parte del primo elemento.
Il disco è caratterizzato da una struttura decisamente solida, a cui contribuiscono sia le chitarre di
Antti Warman che ispessiscono il muro di suono, sia il growl di
Lindroos, ma naturalmente si fa anche apprezzare per la validità delle sue trame melodiche, sottolineate dagli effetti e dai virtuosismi di
Janne.
A tal proposito, é doveroso un approfondimento sulle tastiere.
Da una parte, si assiste all’ormai prevedibile tentativo di riesumare certe atmosfere (trite e ritrite), tipiche del Lago di Bodom e, a tratti, in alcuni brani (
One More Year, Nine Lives, Kingdom Of Rust, Untouched) la band sembra perfino riuscirci, anche se il tutto, è riconducibile agli ultimi e meno convincenti, album della band originaria di Espoo. Tuttavia, in altre circostanze, i
Warmen tentano di percorrere delle nuove strade rispetto alle ormai abusate soluzioni del passato, dando luogo a interessanti esperimenti che vanno dalle elaborate
Out For Blood o
Dethroned , a tracce più dirette e incisive, come
Coupe de Grace o
March Or Die.
Rivedibile infine, la scelta della cover degli
Stratovarius,
The Kiss Of Judas, ove il vocione di
Petri ha oggettivamente poco a che spartire con l’ugola pulita di Kotipelto, anche se, musicalmente l’interpretazione è godibile.
Nel complesso
Band Of Brothers, pur non stravolgendo nulla rispetto a quanto già stato fatto, è un discreto lavoro, in cui finalmente la band, seppure ancora parzialmente appesantita dalla zavorra dell'indimenticabile passato del proprio leader, tenta finalmente di guardare verso nuove direzioni stilistiche, senza stravolgere la sua identità, ma semplicemente rinvigorendo il proprio sound, rendendolo meno scontato e più efficace.