Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2022
Durata:40 min.
Etichetta:Relapse Records

Tracklist

  1. BEHIND THE EYE
  2. DEATHTOUCH
  3. ENGULFED
  4. A SEQUENCE OF ROT
  5. HEX, CURSE, & CONJURATION
  6. THE TRANSCENDING HORROR
  7. DISSOLUTION

Line up

  • Brent Satterly: bass
  • Jason Pearce: drums
  • Alex Awn: guitars
  • Mike Erdody: vocals
  • Don Durr: guitars

Voto medio utenti

Diciamoci la verità: la Gloria che perseguiamo noi scribacchini di Metal.it non è certo quella personale. Al tempo stesso, azzeccare qualche pronostico ogni tanto, darsi una virtuale auto-pacca sulla spalla e bisbigliare tra sé e sé “L’avevo detto io” è senz’altro fonte di soddisfazione.

Ecco qui: in occasione dell'ottimo “Lords of Death” (2017) avevo rintracciato un possibile sbocco evolutivo nel gothic britannico e nell’utilizzo di clean vocals, mentre nella recensione del precedente “The World That Was” (2020) auspicavo la realizzazione di un capolavoro nel prossimo futuro dei Temple of Void.
Com’è andata?

Beh, direi bene ma non benissimo.
Sullo sbocco evolutivo, tutto sommato, avevo indovinato; per il capolavoro, invece, si dovrà attendere ancora un po’.
Il motivo, a parere di chi scrive, risiede proprio nella progressione sonora della compagine statunitense, tanto stuzzicante quanto, ad oggi, incompleta.

Di fatto, il sepolcrale death / doom cui i Nostri ci avevano abituati rimane preponderante anche in “Summoning the Slayer”: basti posare le orecchie sulle contusive bordate dell’opening trackBehind the Eye”, sull’allucinata litania (ai limiti del funeral) di “Engulfed” o sul sanguinolento riffing di “Hex, Curse & Conjuration” (la più squisitamente death del lotto).

A sparigliare le carte, tuttavia, intervengono episodi dal piglio più melodico come “The Transcending Horror”, che sin dai primi istanti materializzerà sull’ascoltatore lo spirito dei primi Paradise Lost, “Deathtouch”, che invece chiama in causa Anathema e Katatonia dei tempi che furono, o ancora la conclusiva “Dissolution”, spettrale scorribanda acustica dal gusto seventies in bilico tra i Black Sabbath di “Planet Caravan” ed i Moody Blues.

Se dunque il profilo qualitativo non costituisce affatto un problema, qualche dubbio su un'identità artistica non ancora perfettamente tarata è lecito adombrarlo, anche considerato che ormai non si discute più di giovinotti di belle speranze, bensì di una realtà ormai consolidata e giunta al quarto full length.

Sappiate che non intendo lanciarmi in previsioni sul quinto, essendomi già esposto sin troppo coi Temple of Void. Posso però sbilanciarmi su “Summoning the Slayer”: non sarà un masterpiece, ma saprà comunque conquistarvi.

Recensione a cura di Marco Cafo Caforio

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