Copertina 7

Info

Anno di uscita:2022
Durata:47 min.
Etichetta:Solid State

Tracklist

  1. SHADOWS
  2. PEACE THAT STARTS THE WAR
  3. KISS THE WAVE
  4. LIGHTS _ FIRE
  5. EULOGIES
  6. WEIGHT OF GLORY
  7. DEADWEIGHT
  8. NO TOMORROW
  9. STOP THE BLEEDING
  10. WHITE FLAG
  11. OUT OF SIGHT
  12. EMBRACING ACCUSATION
  13. SILENT ANTHEM

Line up

  • Steve Cobucci: rhythm guitar, clean vocals
  • Ben Summers : bass
  • Nick Detty. dirty vocals, piano
  • Abishai Collingsworth. drums
  • Joey Alarcon: lead guitar

Voto medio utenti

Della band che nel 2012 spaccò le classifiche con il terremotante debutto "Captors" è rimasto ben poco, ovvero la bella vocetta del leader Steve Cobucci, anche alla ritmica, ed il basso di Ben Summers, ma gli Wolves at the Gate non hanno cambiato granchè nella loro proposta, fatta ancora a tutt'oggi di un metalcore "classico", ovvero piuttosto roccioso in fase di strofe, supportate da vocalizzi graffianti, fino all'immancabile arrivo della voce in clean che va a suggellare ritornelli quasi sempre piuttosto azzeccati e dalle melodie facilmente replicabili e memorizzabili, sebbene invero molto simili l'un l'altro e non certamente il massimo della personalità, suonando di un "già sentito" solo quella milionata di volte.

Se vogliamo un barlume di personalità i nostri lupetti l'hanno invece sempre dimostrata schierandosi sin dal principio come band cristiana, cosa che nel panorama metal non è propriamente l'asso pigliatutto e forse anche il motivo per cui i loro streams non sono al livello di diversi colleghi che gli sono diverse spanne sotto a fronte di una carriera in cui i cinque ragazzi dell'Ohio (stato confederato di cui ricordiamo il motto "With God, all things are possible" che spiega molto riguardo le loro idee) non hanno mai commesso alcun passo falso, con 5 album su 5 assolutamente convincenti sotto ogni punto di vista.

"Eulogies" non è certo la pietra apicale del metalcore moderno ma gli Wolves at the Gate senza dubbio sanno come si scrivono dei brani validi, anzi vi si affidano fin troppo dato che la struttura dei medesimi è pressochè perennemente ricopiata in manera invariabile, addirittura quasi con gli stessi interventi posti allo stesso identico minutaggio... A fronte di una evidente staticità delle composizioni bisogna comunque riconoscergli una qualità di fondo che non ammette cedimenti, anzi stavolta non c'è nemmeno bisogno di un certo Tim Lambesis come aiuto dietro la console, dato che anche la produzione è fatta in casa grazie al tuttofare Cobucci ed al chitarrista solista Joey Alarcon: insomma, baciati dalla fortuna.
E da Dio, naturalmente.

Recensione a cura di Gianluca 'Graz' Grazioli

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