Copertina 5

Info

Anno di uscita:2002
Durata:48 min.
Etichetta:Lion Music
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. HYPNOTICA
  2. FOOL IN LOVE
  3. INTO THE LIGHT
  4. YOU'RE ALL THAT I'M LOOKING FOR
  5. SPREAD MY WINGS
  6. BAD, BAD BOY
  7. HERE I AM
  8. I WILL ALWAYS BE THERE
  9. A DIFFERENT SIGN
  10. SHELTER
  11. BACK TO ME
  12. ANOTHER PLACE, ANOTHER TIME

Line up

  • Neil Murray: bass
  • Rolf Munkes: guitars
  • Gerald Kloos: drums
  • Lance King: vocals

Voto medio utenti

L’ex Vanize e Condition Red Rolf Munkes non poteva scegliere una line-up più blasonata di questa per il debut album degli Empire “Hypnotica”, che vide la luce nel 2001 ed ora, a soli tre anni di distanza, viene ristampato.
Nomi come Mark Boals (Malmsteen, Ring Of Fire), Anders Johansson (Malmsteen, Hammerfall), Don Airey (Black Sabbath, Deep Purple) e Nail Murray (Whitesnake, Black Sabbath) dovrebbero essere garanzia di successo così come la produzione ben fatta e i brani in stile anni ’70. In realtà questo album sembra essere stato concepito apposta per soddisfare le manie di onnipotenza di Munkes che scrive 15 brani esageratamente guitar-oriented e costringe i suoi compagni d’avventura in forzati viaggi indietro nel tempo scimmiottando le vecchie glorie del passato. Anzi, una più attenta riflessione porta a capire che in realtà qui si tratta delle vecchie glorie del passato che scimmiottano se stesse.
Non che ci sia un solo strumento mal suonato ma i brani sembrano troppo forzati nel tentativo di sembrare nati nell’epoca sbagliata, quindi tanto vale cercare di tornare indietro nel tempo. Il problema qui è che nessun tentativo è stato fatto per rendere l’album in qualche modo originale e i cliché si sprecano. A cominciare dalle interpretazioni di Mark Boals, ancora una volta troppo mentale e poco passionale, troppo impegnato a far vedere che sa cantare ma autore di vocalizzi davvero poco ispirati, a finire alle chitarre che occupano troppo spazio sotto i riflettori. Come non cominciare con un intro, “Hypnotica”, che pare il decollo di un volo charter? E come non introdurre il primo brano “Fool In Love” con un assolo di chitarra che fa un esagerato sfoggio di sé su un tappeto di possente batteria? E perché non introdurre testi iper-inflazionati (“Into The Light”) e vocalizzi quasi strozzati (“You’re All That I’m Looking For”) o la classica power-ballad “Spread My Wings” che ricorderà senz’altro almeno 5 altri gruppi ad ogni ascoltatore che abbia più di vent’anni, riproposta poi in una immancabile (!) versione unplugged?
Il resto dei brani vagola tra atmosfere pseudo-solenni ed esibizionismi tecnici del tutto fuori luogo. C’è da chiedersi l’effettiva utilità di ristampare (dopo soli tre anni, poi) un album del genere. Attendo una risposta.
Recensione a cura di Elena Mascaro

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