Forse è vero, come sostiene qualcuno, che le suggestioni più creative del
metal attuale sono rintracciabili nelle varie trasformazioni che ha subito uno dei movimenti trainanti dell’intero
underground musicale europeo degli anni novanta.
Pur non riservando una forma di particolare predilezione per il
black norvegese, perché è di questo che stiamo parlando, devo ammettere di essere attratto da molte delle sue mutazioni, a partire da quelle elaborate da “gente” come Shadow Dancers, Arcturus, Solefald e Borknagar.
In particolare sono gi ultimi due nomi citati a condurmi con interesse all’ascolto di questo “
Anti”, debutto dei
White Void, la nuova avventura artistica di
Lars “Lazare” Nedland, proprio uno degli agitatori dei suddetti gruppi.
Con il supporto di
Tobias Solbakk (In Vain, nonché collaboratore di Ihsahn),
Vegard Kummen ed
Eivind Marum, il nostro sforna un albo concettualmente ispirato alla teoria dell’
Assurdo di
Albert Camus e musicalmente non facilmente etichettabile in una rigida categoria, tanti sono gli influssi stilistici che alimentano i quarantasei minuti di musica dell’albo.
Il crogiolo di
hard-rock,
dark-wave,
blues,
folk,
prog e psichedelia che scaturisce da questi solchi potrebbe indurci a menzionare Ghost, Hallas e (in parte) Anathema come plausibili pietre di paragone, ma è anche necessario asserire come lo stile obliquo con cui sono plasmati gli insegnamenti di Blue Oyster Cult, Sarcofagus, Mission, Warlord, Genesis e addirittura Dire Straits, possieda indubbiamente delle affascinanti peculiarità.
La melodia accattivante di “
Do. not. sleep.” è, infatti, solo una delle molteplici sfumature di un programma che con “
There is no freedom but the end” diventa più sinistro, ipnotico ed evocativo, per poi affidare alla successiva “
Where you go, you'll bring nothing” tutto il malessere decadente che deve alimentare una ballata malinconica madida di tensione espressiva.
“
The shovel and the cross” può essere accostata a una versione allucinata e particolarmente
bluesy dei Ghost, mentre sorprende ancor di più il
mood visionario di “
This apocalypse is for you”, che alterna in maniera assai interessante pause e accelerazioni, dilatazioni oniriche e chitarre incalzanti.
La carica immaginifica dei
White Void assume poi piena emancipazione con “
All chains rust, all men die”, bizzarra e riuscita commistione tra oscurità, epicità, metafisica e istantaneità (con un
Marum scintillante emulo di
Mark Knopfler!), nel tocco celtico della contagiosa “
The fucking violence of love” (in cui affiorano persino tenui bagliori di The Cranberries e Big Country) e nelle collisioni
progressive di “
The air was thick with smoke”, vero e proprio
showcase dell’istinto melodico e dell’irrequietezza della
band.
Seducente e spesso spiazzante, ricco di angolosità intriganti, sebbene magari non sempre pienamente “compiute”, “
Anti” ci porta a scommettere sulle qualità artistiche e sulle importanti possibilità evolutive dei
White Void, la cui apparizione (ci auguriamo non effimera) nello stagnante
rockrama contemporaneo è sicuramente da annoverare tra le buone notizie dell’anno in corso.