Copertina 8,5

Info

Anno di uscita:2019
Durata:43 min.
Etichetta:Frontiers Music

Tracklist

  1. DON’T SAY YOU LOVE ME
  2. SHELTER OF THE NIGHT
  3. FREEDOM ROAD
  4. A LITTLE DROP OF POISON (FOR AMY W.)
  5. WHAT A FOOL I’VE BEEN
  6. OVERLOAD
  7. HEART OF STONE
  8. THE NIGHT
  9. NEW ORLEANS
  10. ALL THE RIGHT MOVES

Line up

  • Mick Fortune: drums
  • Richard Fortune: guitar
  • Larry Greene: vocals
  • Ricky Rat: bass
  • Mark Nilan: keyboards

Voto medio utenti

Penso che nessun attento conoscitore del melodic-rock abbia dubbi sul fatto che l’eponimo album dei Fortune del 1985 sia da annoverare tra i “classici” minori del genere, destinato a perdurare nella memoria degli appassionati come l’esempio di una felice “congiunzione astrale” artistica, dove tutto funziona in maniera pressoché perfetta.
Ad accentuare quell’effetto di “culto” che tanto esalta i musicofili, ricordiamo che dopo quella fulminante testimonianza discografica, della formazione americana si erano finora completamente perse le tracce, con i soli Larry Greene e Roger Scott Craig (non presente in questa reunion) che avevano continuato a frequentare la scena a certi livelli (insieme negli ottimi Harlan Cage e il secondo con i validi 101 South).
Insomma, per affrontare con il dovuto distacco critico “II”, l’inaspettata replica a quel disco così speciale, bisognerebbe (come di consueto in queste circostanze, ormai sempre più frequenti …) reprimere ogni forma di “nostalgia” e attenuare le altissime aspettative, ma qui siamo di fronte ad un raro caso in cui non è necessario impegnarsi in sforzi problematici e spesso fallimentari.
Il percorso espressivo dei Fortune riprende esattamente da dove si era bruscamente interrotto e nei solchi dell’opera ritroverete le medesime atmosfere e la stessa fulgida qualità tecnico-compositiva che li ha resi un ascolto imprescindibile per chi ama Survivor, Journey, Giuffria e Asia.
Un lavoro fortemente “ottantiano” dunque, che non prova nemmeno lontanamente ad “aggiornare” le caratteristiche di un suono che comunque fa del rigore stilistico una prerogativa importante.
Tra tanti tentativi di emulazione (più o meno riusciti) che affollano il rockrama contemporaneo, “II” si segnala per la sua superba e genuina capacità di adesione alla nobile tradizione del pomp-AOR yankee, e l’ardente forza emotiva delle interpretazioni e lo strepitoso gusto nelle costruzioni melodiche rappresentano le qualità maggiormente appariscenti di un programma davvero suggestivo nella sua totalità.
Una collezione di “vere” canzoni, raffinate, molto coinvolgenti e splendidamente “familiari” nelle modalità operative, avvolgerà l’astante fin dalla scintillante openerDon’t say you love me”, seguita da una “Shelter of the night”, ancora più avvincente nell’unire in maniera sopraffina “pressione” melodica e un’irresistibile presa emozionale, abilmente condotta dalla pastosa ugola Wetton-esca di Greene.
Chitarre, tastiere e una forma di trionfante empatia sonica s’intersecano in “Freedom road”, mentre con “A little drop of poison (For Amy W.)” il gruppo rivela tutta la sua profonda vena romantica, ostentata in un momento di struggente melodramma sentimentale.
Un synth sibilante inaugura l’aggressione sensoriale di “What a fool I’ve been”, che prosegue senza cali evidenti per merito della notturna “Overload” e della toccante “Heart of stone” (che qualcuno ricorderà inclusa tra le bonus nella ristampa di “Fortune” del 2004), un altro gioiello di pura passionalità in note.
Il groove intrigante, dalle moderate tinte hard, della pulsante “The night” conduce alla favolosa “New Orleans”, un piccolo monumento d’incisiva ed evocativa eleganza, e all’adescante “All the right moves”, disinvolto sigillo a un albo incastonato di perle e assolutamente privo di controindicazioni.
Il passato è irrimediabilmente “passato”, ma con i Fortune sembra che il tempo sia stato particolarmente indulgente e remissivo, incapace di intaccare ispirazione, attitudine e talento, dimostrando che talvolta il “ricordo”, anche il più bello ed emozionante, può ancora essere accantonato grazie ad una coerente e inossidabile “realtà”.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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