Copertina 7

Info

Anno di uscita:2020
Durata:47 min.
Etichetta:Black Lodge Records

Tracklist

  1. RINGS OF SATURN
  2. THE UNINVITED
  3. RISE
  4. PARADIGM OF DECEIT
  5. ALL FOR YOU
  6. UNTAMED
  7. CONDEMNED
  8. BED OF NAILS
  9. WASHED AWAY
  10. TEMPEST
  11. DON'T SAY GOODBYE

Line up

  • Thomas Bartholin: bass
  • Henrik Been: drums, keyboards
  • Nicklas Sonne: vocals, guitars
  • Frederik Duus Møller: guitars
  • Mikkel Christensen: drums

Voto medio utenti

E cosi... anche per i Defecto è arrivato il cosiddetto “esame del terzo album”

Negli anni scorsi il combo danese aveva attirato le attenzioni di molti amanti del prog-power metal, dando alla luce due lavori pieni di spunti interessanti, come Excluded (2016) e soprattutto il successivo Nemesis (2017). Ora la band, dopo 3 anni di silenzio, torna questo nuovo Duality, e lo fa con tutte le caratteristiche che hanno contraddistinto il gruppo sin dal suo esordio ovvero, esaltazione della tecnica, aggressività, ma anche ricercatezza melodica e soprattutto tanta, tantissima sfacciataggine!
I ragazzi di Copenhagen hanno ormai una line-up consolidata da anni, l’unico volto nuovo è quello del batterista Mikkel Christensen, che va ad affiancare gli storici Nicklas Sonne (voce e chitarra), Thomas Bartholin (basso), Henrik Been (tastiere) e Fredrik Duus Moeller (all’altra chitarra), questa stabilità permette alla band, da un lato di riprendere da dove erano rimasti con i precedenti lavori, portando avanti tutte quelle influenze di Symphony X (in primis), Pagan’s Mind, Circus Maximus, Status Minor ecc...ma dall’altra parte di provare coraggiosamente a sperimentare nuove soluzioni musicali che alla lunga si riveleranno più o meno riuscite.

Duality parte benissimo, con una opener come Rings Of Saturn che, con le sue sfumature “jazzate”, quasi cinematografiche, che vanno di pari passo con le influenze progressive, conferisce una dimensione teatrale al sound dei Defecto (e qui i riferimenti vanno inevitabilmente agli Evil Masquerade di cui Nicklas Sonne fa tuttora parte), tale enfasi verrà poi ripresa in maniera più drammatica (grazie al lavoro di tastiere) successivamente da Untamed. Queste sperimentazioni (sicuramente riuscitissime), vengono poi abbandonate in occasione di altre tracce, in cui i nostri decidono di tornare su territori più sicuri e a loro più congeniali, dando vita ad una serie di brani che avrebbero potuto tranquillamente essere partoriti da uno degli ultimi album dei Symphony X, è questo il caso di The Uninvited, della successiva Rise, di Condemned e Bed Of Nails, tutti pezzi in cui le influenze della band di Romeo vengono reinterpretate secondo lo stile dei Defecto ed in cui c’è da segnalare l'ottimo lavoro delle chitarre (non potrebbe essere altrimenti) oltre alla prova magistrale dell'ugola di Sonne, soprattutto nei momenti più tirati.

Fin qua tutto benissimo...e, se anche il resto dell’album avesse proseguito su questa strada, avremmo parlato di un mezzo capolavoro, ma...sarebbe stato troppo bello!

Difatti, prima si parlava di “sfacciataggine” della band, in riferimento alla sua continua voglia di sperimentare; il fatto è che, finchè si osa entro determinati territori, conferendo epicità e teatralità ai brani, come già detto, i risultati ottenuti sono sicuramente di pregevole fattura, ma quando il gruppo danese esagera con la ricercatezza di nuove soluzioni, rischia di sconfinare verso aperture melodiche eccessive e banali o direzioni musicali distanti dal metal stesso.
Questo rischio per fortuna non si concretizza del tutto in Duality (come ad esempio successe a mio parere nel 2016 per Havoc dei Circus Maximus, un disco che non ho mai digerito nonostante adori la formazione norvegese, comunque questo è un altro discorso...), ma l’eccessiva sperimentazione talvolta non fa altro che allontanarti dalla strada maestra, rischiando di fare solo confusione, generando composizioni melodiche dal sound troppo scontato e moderno, questo avviene ad esempio in Washed Away, in Tempest o nel ritornello di Paradigm Of Deceit, un lento senza dubbio elegante, ma effettivamente banale nel suo refrain, a tal proposito, come ballad è molto meglio la conclusiva Don’t Say Goodbye, che recupera quei toni teatrali di cui si parlava precedentemente e che potrebbe essere tranquillamente la colonna sonora di una pellicola cinematografica dalle tinte drammatiche.

In conclusione, che i Defecto fossero bravi, non lo scopriamo certo con Duality, ma indubbiamente il disco ha messo in mostra il coraggio di questi ragazzi nel volersi cimentare in soluzioni musicali alternative rispetto a quelle tradizionali (comunque presenti), con tutto ciò che ne consegue: risultati talvolta validi e in altre circostanze confusionari, con tutti gli accorgimenti del caso da adottare. Una cosa è certa, quest'ultima fatica discografica contribuirà sicuramente alla crescita artistica della formazione di Copenhagen!



Recensione a cura di Ettore Familiari

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