Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2020
Durata:35 min.
Etichetta:Kozmik Artifactz

Tracklist

  1. ANABASIS
  2. MADE FOR THE AGE
  3. HAND OF BEAR
  4. LATE NIGHT
  5. GOD DAMN WOLF MAN
  6. BRIGHT LIGHT
  7. A CAT NAMED HAKU
  8. THE PROFESSION
  9. VERA CRUZ
  10. IDLE HANDS

Line up

  • Tripp Shumake: vocals, guitar
  • Matthew Qualls: guitar, percussion, backing vocals
  • Wally Anderson: bass
  • Eric Garcia: drums

Voto medio utenti

Dopo la realizzazione del loro notevole terzo album, "He dreams of lions" (2015), i The Heavy Eyes sembravano scomparsi dalla circolazione. I veterani di Memphis sono infatti andati incontro ad una serie di problematiche personali che li avevano portati ad un passo dallo scioglimento. Fortunatamente, grazie anche all'ingresso in formazione di Matthew Qualls, ingegnere del suono degli statunitensi fin dagli esordi, è tornato il sereno sulla band che ora pubblica un nuovo lavoro, in forma digitale con la collaborazione di Kozmik Artifactz e successivamente anche in versione vinile.
Questo "Love like machines" è un concentrato di fuzz-rockblues ad altissima gradazione, com'è caratteristica di questo gruppo. Classici brani da tre minuti di media, diretti e spediti, pieni di riff saturi e melodie catchy ed intriganti, assoli brucianti ed atmosfera da piccolo locale sporco e fumoso. Impatto viscerale ed epidermico ma con stile, songwriting efficace e varietà di soluzioni.
Piace subito "Anabasis" con il suo inizio dolce ed impalpabile che si trasforma in un solido heavy rock ricco di energia. "Made for the age" sembra un hard blues suonato dai Fu Manchu, fuzz a manetta ed ottimo impatto melodico ed accattivante. Chiaro che gli americani conoscono il loro mestiere, componenti classiche e tradizionali ma espresse con la giusta attitudine. C'è tiro grintoso, ottimo groove ed il giusto tasso di orecchiabilità. In alcuni episodi la band spinge di più sulla rocciosità cadenzata, calda e distorta alla Mos Generator ("Hand of bear","The profession","Idle hands"), in altri prevalgono vibrazioni southern stoner che ricordano nomi come Clutch, All Them Witches, Sasquatch ("Late night","A cat named Haku") grazie anche alla timbrica sudista di Tripp Shumake.
Qualche incursione trippy/acida ("Bright light") e perfino un chiaro tentativo di emulare il sound spigoloso, robotico e catchy dei QotSA ("Vera Cruz"), per un disco che offre davvero molti spunti interessanti. Un mix di esperienza e freschezza di buon livello, senza particolari cali di tensione o passi falsi, giusta atmosfera trasversale sospesa tra presente e passato, soprattutto brani che funzionano.
Se amate il genere stoner, con elementi southern-bluesy, non lasciatevi scappare i The Heavy Eyes.

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