Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2006
Durata:51 min.
Etichetta:Load Up

Tracklist

  1. I’LL NEVER BELONG HERE
  2. A PERFECT STATE OF NERVOUSNESS
  3. COLD
  4. MARY’S JAIL
  5. BITTER SWEET
  6. DARKSIDE
  7. PSILOCYBE
  8. A NEW DAWN
  9. SECRET GARDEN
  10. LAST GOODBYE
  11. SONG ELEVEN

Line up

  • Christian Strain: vocals, guitar
  • Gigi Nicastro: guitar
  • Andrea Padovan: bass
  • Gianluca Tavernar: drums

Voto medio utenti

Un gran bella canzone apre l’album dei Mary’s Jail, quartetto di Bolzano. “I’ll never belong here” è limpida e diretta, avvolta in una trasparente atmosfera dai colori autunnali, innervata da una corrente di tensione compressa in lenta crescita, esaltata dalla splendida impennata ariosa nel momento del ritornello. Una linearità semplice ma espressiva, una vena melodica che trasmette emozioni e mi ricorda in qualche modo i sottovalutati Soundtrack of your Lives.
E’ l’interessante inizio di un lavoro dai forti sentori di post-grunge e di indie-rock dell’ultima generazione. Brani costantemente in chiaroscuro, sviluppati in modo spigoloso con intrecci di accellerazioni nervose e pause profondamente immerse nell’ombra. La voce di Christian Strein che spesso presenta vibrazioni d’angoscia, garantisce quel tocco di malinconia che talvolta sfocia nello sconforto, aprendoci gli occhi su immagini di giornate vuote e disperate, speranze deluse, occasioni sprecate, sogni spezzati.
Il gruppo mostra una certa eleganza nella stesura delle canzoni, puntando più sul fascino di una riflessione matura e su frequenti trame rarefatte che non sull’urto potente o sulle articolate fasi strumentali. Le migliori qualità dei Mary’s Jail emergono durante la prima parte del lavoro, grazie al buon livello di episodi come “Cold” e “Mary’s jail” dall’andamento asciutto ma non esangue e sempre avvolti da un piacevole alone notturno ed invernale.
Echi di Alice in Chains, Pearl Jam, Screaming Trees, esecuzione intensa con qualche momento di raffinatezza melodica, sviluppo che sfrutta bene i contrasti tra esplosioni elettriche e pause statiche, ben sottolineate da arpeggi delicati ed impalpabile mood psichedelico.
La lunga ed un po’tediosa “Bitter sweet” funziona come spartiacque del disco, perché è la barriera che segna il passaggio ad una seconda fase piuttosto ripetitiva e dall’atmosfera molto appesantita.
Le melodie agrodolci si tingono sempre più di colori cupi, gli spazi riflessivi prendono il sopravvento diventando uggiosamente pensosi e sulle canzoni scende un plumbeo velo di tristezza. A parte la sostenuta “Darkside” il tema dominante diventa quello depressivo, con il culmine nella lenta e soffocante ballata “A new dawn”, credo dedicata ad un amico scomparso, capace di smorzare il minimo rigurgito di allegria e di provocare l’insopprimibile desiderio di spalancare le finestre per lasciare entrare la luce del sole.
Sensazione alimentata dal monotono insistere su toni languidi e sofferti, non tanto da una bassa qualità dei brani. Anzi, una “Secret garden” con le sue leggere pennellate psych-rock, presa singolarmente è anche un buon episodio. Ma è il feeling d’insieme che non decolla, anzi tende piuttosto ad appiattirsi, vedi la scarsa mobilità degli otto minuti elettro-acustici di “Last goodbye” seguiti dai tre del mesto strumentale “Song eleven”, totalmente acustico, che chiudono il lavoro all’insegna dell’amaro scoramento.
Il fatto che tutti i brani siano firmati dalla stessa ed unica mano può avere inciso sull’insistenza dei Mary’s Jail verso un certo tipo di tematica, ma è una questione che riguarda le dinamiche interne del gruppo e non è opportuno formulare ipotesi.
Diciamo allora che la formazione del Trentino da un lato mostra di saper formulare una proposta rock adulta e soprattutto corredata da buona finezza melodica, dall’altro pecca di scarsa versatilità risultando nell’insieme un po’monotematica. E’ comunque un discreto esordio, ideale per chi ha amato quel rock degli anni ’90 che faceva leva sui sentimenti di afflizione nascosti in ognuno di noi.

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