Copertina 7

Info

Anno di uscita:2003
Durata:53 min.
Etichetta:Kozmik
Distribuzione:Brainstorm

Tracklist

  1. INTRO
  2. HERE IT COMES
  3. SPLITFIRE
  4. DEVIL DOWN
  5. HALLUCINATION
  6. THE MARK OF BRAHM
  7. BLACK BAT
  8. MINA’S SONG
  9. CAVEMAN
  10. REDUX

Line up

  • Marc Star: guitar, vocals
  • Yosh: bass
  • Dan Forando: drums

Voto medio utenti

Gli splendidi artworks della Malleus sono ormai indissolubilmente legati alle produzioni stoner/heavy-psych come un marchio di fabbrica.
Se poi ci aggiungiamo un moniker come Smoke, uno schieramento triangolare, un gruppo che opera a Los Angeles formato da ex-membri dei Thunderfuck 69, non è difficile intuire quale sia il genere proposto nel presente album d’esordio.
Stoner poderoso, pulsante e muscolare, assai sporco ed acido, con la chitarra di Marc Star a spadroneggiare con trame spesse sopra una ritmica agile e ricca di groove.
Tutto qua, nessuna rivoluzione, niente soluzioni strampalate, neppure nulla che non si sia già sentito. Ma fatto bene, con i suoni belli ruvidi voluti dal produttore Bobby Tamkin, l’emergente che ha lavorato con i The Warlocks la nuova “next big thing” in campo psichedelico.
I dieci brani sono collegati tra loro da piccoli intermezzi, a formare un fluido continuo ed una sorta di concept: un ipotetico viaggio nelle profondità della mente di un uomo morente. Sebbene il tema trattato porterebbe a pensare ad una musica magari nebbiosa e malinconica, la realtà è un sound diretto e granuloso nel quale a tratti si colgono riferimenti ai primi Magnet, vedi ad esempio “Hallucination”.
Incandescenti cavalcate fuzz-rock che si attorcigliano attorno ritmiche molto heavy ma fantasiose e mai monotone, vocals rauche e nervose, similitudini con le formazioni dell’area estrema dello stoner, quelle che più si avvicinano al metal come Roachpowder, Calamus, Generous Maria.
Pienamente Bluecheeriano l’assalto tumultuoso e speditamente grintoso di “Splitfire”, che possiede lo stesso fuoco del titolo, ma gli Smoke mettono a segno colpi ancora migliori giocando su brevi rallentamenti oscuri, improvvise e violente ripartenze, con l’evidente desiderio di traboccare nella jam soffocante, cosa che puntualmente si verifica nella bella pesantezza di “Devil down”, dove troviamo un nocciolo centrale doomeggiante che prelude alla sventagliata wha-wha dell’assolo conclusivo. Costante che si ripete con la stessa tensione in “The mark of Brahm”, ottima traccia che mi ricorda gli altrettanto ottimi compatrioti That’s All Folks!, anche qui fase rocciosa ed acida seguita da coda lenta e plumbea.
Proseguendo nel disco e nel viaggio mentale i toni si fanno più cupi e l’irruenza lascia il posto ad un passo marziale il quale permea “Craveman”, cadenzata e con interessanti elementi di melodia sofferta, per sublimare infine nei sei minuti noise-lettici di “Redux”, rarefatti rumorismi cosmici che farebbero inorridire i fans dei coretti baby-fantasy, mentre qui rappresentano un senso di distacco dalla fisicità terrena per orizzonti molto più vasti ed eterni.
Debutto valido, ancora un po’carente di personalità ma già positivamente ruvido e selvaggio. Un gruppo che può crescere ancora.

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