Copertina SV

Info

Anno di uscita:2019
Durata:42 min.
Etichetta:Napalm

Tracklist

  1. ON THE TOP
  2. PIT OF CONSCIOUSNESS
  3. JUDGEMENT (& PUNISHMENT)
  4. RETROSPECTION
  5. PAUSING DEATH
  6. NOAH
  7. HOME BACK
  8. THE PROPHECY
  9. IAINNEREP

Line up

  • Tatiana Shmailyuk: vocals
  • Roman Ibramkhalilov: guitars
  • Eugene Abdukhanov: bass
  • Vladislav Ulasevich: drums

Voto medio utenti

Rilasciato il 25 ottobre 2019, esattamente nove mesi e quattordici giorni dopo il notevole EP Micro - perfetto antipasto a base di un tecnico e ben suonato groove metal progressive con svariate influenze attinte da altri generi a cui i quattro ucraini sono affezionati oltre, ovviamente, al metal estremo - Macro, il quarto LP della band segna sicuramente un punto di grossa evoluzione, degno di essere preso in considerazione ed analizzato.

Atteso con ansia da un’affezionatissima e dedicata fanbase in costante crescita (basti vedere le date dei loro ultimi tour, per i tre quarti sold out e bisognose di venues upgrade, come anche di quello europeo, iniziato da pochi giorni e che toccherà l’Italia il 14 dicembre ai Magazzini Generali di Milano, upgradata e già sold ut da tempo), quest’ultima fatica rispecchia a pieno lo spirito della band di Tatiana Shmailyuk (voce), Eugene Abdiukhanov (Basso), Roman Ibramkhaliov (Chitarra) e Vlad Ulasevich, batteria: un groove metal core progressive, con elementi Djent, math rock e di tutto quello che passa nella mente di questi talentuosi musicisti, capaci di creare ogni volta un prodotto originale, difficilmente definibile con assoluta certezza, ma assolutamente riconoscibile vista la marcata cifra stilistica del loro sound.

È innegabile che la forte presenza scenica e la grande capacità tecnica della front woman, capace di passare con naturalezza e con cognizione di causa da un extreme singing (non solo Growl) a un cantato clean con venature soul, jazz ma anche reggae, possa risultare l’attrazione principale, ma questa, senza il sostegno della complessa ma precisa e poderosa sezione ritmica, magistralmente intersecata ad originali e incisivi fraseggi chitarristici molto Djenty, sarebbe incompleta.

Macro è un album, per chi un po’ conosce questa band, che lascia sorpresi ed anche un po’ sconcertati. Il motivo è presto detto. Nel momento in cui scrivo, il brano Pisces (tratto dall’album King of Everything, 2017, Napalm Records), che ha fatto conoscere i Jinjer al mondo del web, conta 28 milioni e mezzo di visualizzazioni. Se si aggiungono le migliaia e migliaia di visualizzazioni ai cosiddetti video reaction (se non sapete cosa sono, non vi perdete nulla. Si tratta di youtubers che si mostrano più o meno sorpresi e/o scandalizzati nel momento in cui Tatiana passa da un melodico e accattivante clean singing venato di pop e soul al suo extreme vocals del ritornello. Ps: quasi nessuno nota il bellissimo tapping di Eugene e il 7/4 della metrica ritmica, come anche i passaggi suonati con naturalezza dal 4/4 al 6/8 della parte finale), così si superano sicuramente le trenta milioni di views.

Potevano fare un altro pezzo del genere ed avere il successo assicurato, ancora maggiore di quello che stanno riscuotendo ora. Non lo hanno fatto. Ne con Micro né tantomeno con Macro. Ai Jinjer non piace ripetersi, a quanto pare. L’evoluzione, l’ibridazione del loro unico way of playing è in continua evoluzione, ma sviluppandosi sempre nel loro stile. Sembra che il messaggio principale dietro la loro musica sia il seguente: “Facciamo quel c…o che ci pare, ma lo facciamo credendoci”.

Ma prima di passare alla recensione di Macro, ripercorriamo un po’ la storia di questa ragazzi. Formatisi nel 2009 a Donetsk, nella martoriata regione del Donbass, nell’Ucraina orientale ma capeggiata dalla talentuosa Shmailyuk a partire dall’anno successivo, i Jinjer iniziano a lavorare intensamente alle proprie idee musicali, pubblicando nel 2012 l’album Inhale, don’t Breath. L’attività live è da subito intensissima – come oggi, d’altronde – e negli anni successivi vengono votati, per ben due volte come Best Ukranian Metal Band. L’Ucraina è un paese molto grande, ma i confini sono stretti per i quattro ragazzi del Donbass, come anche è difficile viverci a causa della situazione politica della loro regione di provenienza, martoriata da uno scontro fratricida, una guerra civile, cosa che nel tempo li ha portati a trasferirsi nella capitale Kiev (NdA tale conflitto è magistralmente raccontato con molta enfasi e pathos in molte delle loro composizioni. Si ascolti, per esempio When two empires collide, oppure Home back, in Macro, di cui parleremo tra poco).

Il 2014 è l’anno di Cloud Factory, album che segnala al pubblico una cresciuta maturità tecnica, un songwriting più complesso e una maggiore apertura verso sperimentazioni, come, per esempio, l’outro reggae di Who is gonna be the one?, oppure chicche come Outlander o la title track dell’LP). La fama del gruppo continua a crescere e i confini ucraini ad essere valicati. Notati dalla Napalm Records, nel 2016 pubblicano l’album King of everything, acclamato sia dalla critica sia dai fans, trainati anche dall’enorme successo riscosso su Youtube del succitato brano Pisces. Partono, quindi, per un tour mondiale infinito (non è un eufemismo, basti guardare il numero delle date dei loro tour!), prima come supporter a mostri sacri quali gli Arch Enemy, i Cradle of Filth e i Devildriver che, assieme ai vari festival, li portano in ogni parte del globo.
Il 2019 è l’anno della svolta. Questa estate parte il loro tour come headliner, battezzato dall’uscita in gennaio dell’EP Micro e consacrato questo ottobre con il nuovo LP.
Si diceva prima, difficilmente classificabili al cento per cento, ma questo è, secondo l’umile parere di chi scrive, il loro punto di forza. Introdotto questa estate dal singolo Judgment (& Punishment) - potentissimo brano dalle sonorità djenty, con sezioni metal core molto complesse e serrate, con un dirompente blastbeat intervallati da fluide strofe reggae che ben si sposano con tutta l’economia del brano – è uno di quei brani che difficilmente riesci a dimenticare per la sua originalità. Anche il video, stile creepy horror, ricorda (volutamente?) gli horror movie di serie B del cinema italiano di migliore annata.

Seguito a ruota da On the top, secondo singolo rilasciato ad ottobre, poco prima della pubblicazione dell’album, brano che parte come un tir impazzito, mosso da una violenza a dir poco allucinante, una corsa, come dice il testo della canzone (NdA sui testi mi soffermerò alla fine della recensione, poiché meritano un discorso a parte), verso un punto di non ritorno, senza speranza, ma che fortunatamente, durante il folle tragitto ha momenti di respiro grazie alle parti cantate in clean da Tatiana e da sezioni più articolate e meno core delle altre. Ma ripeto: tutto, nell’economia del loro modo di comporre, ha un senso compiuto.

Il terzo singolo rilasciato è Pit of consciousness, altro violento attacco frontale, molto tecnico e progressive, che prende respiro nella parte clean, quasi pop, dalla melodia difficilmente dimenticabile, avente come tema la profondità del nostro io e il modo in cui ci rapportiamo ad esso e con gli altri.
Retrospection è un’altra sorpresa del disco. Il potente assalto sonoro del brano è anticipato da una sorta di nenia, di ninna nanna composta attingendo dal folklore russo, cantata in questa lingua, che funge da preludio ad un pezzo contrassegnato da una interessante poliritmia mai banale, alternante momenti dolci a parti decisamente più devastanti. Il tutto si sposa con la natura intimista delle liriche, aventi per oggetto il rapporto coi genitori.
Con Noah i Jinjer riscrivono il sesto capitolo della Genesi, soprattutto il finale, con un brano dall’alto tasso di drammaticità e con un ritornello cantato in clean dai tratti ipnotici e che ricorda l’incerto fluttuare tra le onde della nota arca. Home Back parla della situazione politica del Donbass e della voglia di ritornare a casa dei nostro quattro ragazzi. I blastbeat di Vlad, le chitarre distorte di Roman e il roboante basso, mai banale, di Eugene creano un granitico capolavoro metal core, che ricorda a tratti le sonorità di Cloud Factory nel quale trova spazio anche una sezione dalle caratteristiche quasi Jazz. Pausing death e the Prophecy, infine confermano la voglia e la capacità di sperimentare di questi quattro validissimi musicisti, rimanendo sempre nei ranghi del loro proprio unico “Jinjer style”.
Chiude l’LP lainnereP, un pezzo d’atmosfera costruito sui temi di uno dei loro cavalli di battaglia di Micro, Perennial, perfetto brano da usare come intro o come outro nei loro futuri show.

Prima di concludere, qualche considerazione sui testi. Essi sono connotati da una profondità davvero rara. Le tematiche spaziano ma hanno sempre come riferimento l’umano, le difficoltà nei rapporti intrapersonali e con se stessi, la visione dell’uomo sul mondo circostante, la disillusione, ma anche la forza necessaria per andare avanti nonostante le varie difficoltà. Qualcuno potrebbe trovarci del pessimismo, una sorta di rinuncia alla voglia di trovare un senso all’esistenza. Piuttosto lo definirei realismo. La lotta tra i simili, l’homo homini lupus di hobbesiana memoria portata alle estreme conseguenze.

Un punto di vista schietto su di un mondo che sembra quasi abbia perso la bussola, che annaspa per provare a cercare un senso alla propria esistenza. E tenendo conto del passato di questi quattro ragazzi, da dove vengono e come hanno vissuto, beh, diventa comprensibile come la rabbia e la forza contenuta nelle loro composizioni funga da completamento al messaggio che vogliono trasmettere al mondo intero con la loro arte. Canta la Shmailyuk in Judgment (& Punishment): We came from the land, where kindnesss equals weakness. Feelings are unconditional and help is something supernatural.

C’è una visione disattesa, soprattutto dall’ignoranza, altro tema caro ai nostri e ben sviluppato in molti dei loro brani, e visto come uno dei mali principali della società contemporanea.
Resta ora da attendere quale sarà il loro prossimo passo, la loro prossima evoluzione, la quale di certo sorprenderà il numeroso seguito di fan che, a quanto pare, non cessa di crescere.

Recensione a cura di Caveman

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